Quando vi siete presentato alla Chiesa, - disse, con accento ancor più grave, [il Cardinal] Federigo, - per addossarvi codesto ministero, v'ha essa fatto sicurtà della vita? V'ha detto che i doveri annessi al ministero fossero liberi da ogni ostacolo, immuni da ogni pericolo? O v'ha detto forse che dove cominciasse il pericolo, ivi cesserebbe il dovere? O non v'ha espressamente detto il contrario? Non v'ha avvertito che vi mandava come un agnello tra i lupi? [...] E se non sapete questo, che cosa predicate? Di che siete maestro? Qual è la buona nuova che annunziate a' poveri? (MANZONI A., I promessi sposi, cap. XXV).

 

 

 

 

 

Un discorso sincero per una fede più matura

 

 

 

I ricatti morali

Succede, ogni tanto, di incontrare persone più o meno risentite perché avvicinando un sacerdote non hanno trovato quello che cercavano. Di rado si sente dire: "Forse non mi sono saputo spiegare". Spesso tutto si risolve con uno sfogo: quel prete è incompetente, non è disponibile, non capisce la gente, è insensibile, non ha mai tempo, è retrogrado... e via dicendo. La lista sarebbe davvero troppo lunga per stenderla tutta in una pagina. Magari quel prete è solo, in una parrocchia che conta diecimila anime, ma pare che questo non abbia importanza. È un prete perciò deve accontentarci, noi siamo poveri peccatori ma lui è pur sempre un sacerdote! Quante volte si sentono questi piccoli ricatti morali? Quante volte dietro il preteso "Don Abbondio" c'è solo un uomo con i suoi limiti, al lavoro in una messe enorme? Bisogna imparare a distinguere il vero dal falso Don Abbondio. Quante volte, dietro un quadro tratteggiato a tinte fosche, si cela solo un sacerdote che compie il suo dovere come meglio può. E poi, anche le "pecorelle" nascondono i loro lati oscuri. Quante critiche, quanto umorismo e ironia nella vita di una parrocchia. Molti amano la fede "in pantofole", la fede "economica", una fede "a costo zero", priva di sacrifici, esente da sforzi e impegni di qualsiasi tipo.

Sotto sotto, nelle pieghe più recondite dell'anima c'è la convinzione che la fede sia un optional, oppure una specie di tassa da pagare priva di reale utilità pratica, ecco perché... deve pesare il meno possibile. Non che si manchi di generosità, tutt'altro. Quello che non si accetta è la "perdita" di tempo. Un'offerta ogni tanto la si fa... non si sa mai... ma offrire il proprio tempo è tutta un'altra cosa. Molti il tempo da concedere alle cose dello spirito lo misurano con il contagocce, lo riempiono di gesti formali il cui adempimento, quasi fosse un rito magico, dà la sicurezza di aver compiuto il proprio dovere. Un esempio fra tanti è quello della Messa domenicale, accettata come una sorta di "pedaggio della settimana". Mai il dubbio che questi gesti formali servano a poco o a nulla? Anche con la confessione molti sono soliti mettere tutto a posto, ma hanno vissuto quel sacramento come un vero momento di conversione? Mai posta una domanda del genere? Stanchi di questo modo di vivere la fede? Forse si! Ma di chi è la colpa? Del prete! Sarà vero? Sì, quando il prete non è una sorta di comodo capro espiatorio. Non è possibile stilare una statistica sul numero degli autentici Don Abbondio in circolazione, comunque è appurato che esistono, perciò vediamone uno da vicino.

 

 

Un vero Don Abbondio

Per conoscere questo personaggio... abbiamo già scomodato nientemeno che il Manzoni, ora puntiamo un po' più in alto. Per trovare l'approccio giusto al nostro Don Abbondio scomodiamo addirittura Francesco d'Assisi. So anch'io che i due personaggi distano fra loro di circa seicento anni, ma i Don Abbondio c'erano anche nel Duecento, e ce n'era uno addirittura in mezzo al collegio apostolico! Ebbene cosa afferma Francesco? Stiamo a sentire, perché quello che ci dice attraverso questi brani è davvero fuori del comune:

«Dobbiamo anche visitare frequentemente le chiese e riverire i sacerdoti, non tanto per loro stessi, se sono peccatori, ma per il loro ufficio di ministri del Santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesù Cristo, che essi consacrano sull'altare e ricevono e distribuiscono agli altri. E ricordiamoci bene tutti che nessuno può essere salvo se non per il sangue del Signore nostro Gesù Cristo e per il ministero della parola di Dio che i sacerdoti proclamano e annunciano e amministrano, ed essi soli debbono amministrare, non altri» (FF 193-194).

«Avevano scelto come confessore un sacerdote secolare che era tristamente noto per le sue enormi colpe e degno del disprezzo di tutti a motivo della sua depravata condotta; ma essi non vollero credere al male che si diceva di lui e continuarono a confessargli i propri peccati, prestandogli la debita riverenza» (FF 403).

«Ho udito raccontare questo episodio. Mentre il beato Francesco attraversava la Lombardia, un giorno entrò nella Chiesa di un villaggio per pregare. Ma un certo uomo, patarino o manicheo, cui era ben nota la fama di santità che riscuoteva tra il popolo, si avvicinò a lui, con l'intenzione di trascinare il popolo nella sua setta per mezzo di lui, e distorcerlo così dalla vera fede e screditare la dignità sacerdotale. Il parroco del luogo, infatti, era diventato occasione di scandalo perché viveva con una concubina. Chiese, dunque, al Santo: "Di', si deve credere alle parole e prestare credibilità alla vita di uno che vive in concubinaggio ed ha le mani immonde avendo avuto rapporto con una meretrice"? Il Santo capì la malizia di quell'eretico e, portandosi da quel sacerdote, sotto gli occhi dei parrocchiani, si inginocchiò davanti a lui e proclamò: "Io non so se le mani di costui sono quali le descrive quest'uomo; ma se anche lo fossero, io so e credo che ciò non può indebolire la forza e l'efficacia dei divini sacramenti. E attraverso queste mani che Dio riversa benefici e doni sul suo popolo. Perciò io le bacio queste mani, per riverenza ai sacramenti che amministrano e per la santità di Colui che ha conferito ad esse tale potere". E, pronunciando queste parole, si inginocchiava davanti a quel sacerdote e baciava le mani di lui. Gli eretici e i loro simpatizzanti, che assistevano alla scena, furono pieni di confusione» (FF 2253).

La misericordia e lo spirito di comprensione però, non facevano dimenticare a Francesco il dovere dell'ammonizione, soprattutto quando aveva a che fare con persone dalle intenzioni tutt'altro che rette:

«Nel tempo in cui il Santo giaceva malato a Rieti, portarono da lui, steso su un letticciuolo, un canonico, di nome Gedeone, vizioso e mondano, colpito da una grave malattia. Il canonico lo pregava piangendo, insieme con i presenti, di benedirlo col segno della croce. Ma il Santo gli replicò: "Come potrò segnarti con la croce, se finora sei vissuto seguendo gli istinti della carne, senza timore dei giudizi di Dio? Ad ogni modo, per la devozione e le preghiere di queste persone che intercedono per te, ti benedirò col segno della croce in nome del Signore. Tu, però, sappi che andrai incontro a castighi più gravi, se una volta guarito, tornerai al vomito (cfr. Pr 16,11). Perché il peccato di ingratitudine si merita sempre punizioni peggiori delle prime". Appena ebbe tracciato su di lui il segno della croce, colui che giaceva rattrappito si alzò risanato e, prorompendo nelle lodi di Dio, esclamò: "Sono guarito"! Le ossa della sua schiena scricchiolarono, come quando si rompe legna secca con le mani: furono in molti a sentire. Ma costui, passato un po' di tempo, si dimenticò di Dio e si abbandonò di nuovo alla impudicizia. Ebbene, una sera che era andato a cena in casa di un altro canonico e vi era rimasto per passare la notte, improvvisamente il tetto della casa crollò. Ma, mentre tutti gli altri riuscirono a sfuggire alla morte, solo quel misero fu sorpreso e ucciso» (FF 1192).

Di fronte a questi fatti della vita di Francesco e a personaggi come Giuda (cfr. Gv 12,4-7) si percepisce in modo straordinario come il cuore umano sia un mistero. Dio non viola questo mistero, conoscendolo fino in fondo ne rispetta le dinamiche illuminandole però con la luce del suo amore. Anche nel cuore di quelle persone che a noi sembrano perdute e lontane ci sono delle capacità latenti che messe a servizio del Vangelo sarebbero in grado di capovolgere in meglio interi contesti sociali. A volte vien da pensare che la parabola dei talenti (Mt 25,14-30) si realizzi all'inverso. Chi ha dieci talenti li sotterra e chi ne ha uno lo investe. Il fatto che Dio, nella sua sapienza, conosca il nostro destino ultimo, non gli impedisce di attendere la sua naturale e libera evoluzione. Anche questo fa parte della legge dell'amore. Dio non sbaglia quando fa piovere o quando fa splendere il sole su quelli che noi classifichiamo in buoni o cattivi, giusti o ingiusti. Francesco d'Assisi diceva:

«Questa è la nostra vocazione: curare le ferite, fasciare le fratture, richiamare gli smarriti. Molti, che ci sembrano membra del diavolo, possono un giorno diventare discepoli di Cristo» (FF 1469).

Ecco il punto. Dio vede la santità, e soprattutto può realizzarla, là dove l'occhio umano vede solo il male, come un buon educatore che vedendo il bambino aggressivo di oggi, comincia a presentire l'atleta imbattibile di domani. L'azione dell'educatore pertanto deve essere correttiva e non ottusamente e puramente repressiva. Un torrente impetuoso lo si imbriglia con una diga, non con una frana che ne ostruisca invano il corso. Chissà quante volte dietro uno spirito inquieto e insoddisfatto ci sono risorse sconosciute, energie sprecate, qualità anche volutamente dimenticate! È davvero un dono della Sapienza conoscere il cuore umano e scoprirne le vie. Chi lo possiede può scoprire tesori incalcolabili. Il concetto biblico dell'uomo tratto dalla terra è realmente straordinario. Ogni uomo è come la terra, una terra da coltivare o che nasconde sotto una superficie brulla risorse inaspettate, a volte vere e proprie miniere d'oro.

 

 

Perché possa risorgere...

Che dire allora dei casi più gravi? Sono casi che generalmente hanno all'origine una scelta vocazionale radicalmente sbagliata. A volte si tratta di scelte fatte per orgoglio, per la ricerca di una posizione sociale, scelte portate avanti solo per l'incapacità di ammettere i propri errori, per la paura di una riprovazione sociale, spesso ipocrita e ingiusta. Colui che, sinceramente, si rende conto di aver fatto una scelta sbagliata ha il grave dovere di chiedere che la sua condizione canonica venga riconsiderata. Chi accede indegnamente al sacerdozio, senza la necessaria umiltà, senza le necessarie qualità umane e spirituali può fare molto male sia a sé che agli altri. C'è un'espressione terribile che rende l'idea della triste esperienza di chi credeva di incontrare un amico, un amico di Dio e invece ha trovato ostilità e derisione: «abominio della desolazione» (Mt 24,15). Pare che il profeta Daniele designasse con ciò un altare pagano che Antioco Epifane aveva fatto erigere nel 168 a. C. all'interno del tempio di Gerusalemme (cfr. 1Mac 1,54). Nel caso del testo evangelico questo si realizzò quando la città santa ed il suo tempio furono occupati dagli eserciti pagani di Roma (cfr. Lc 21,20). Non si tratta forse di «abominio della desolazione» quando i fedeli anziché trovare Dio nel nostro cuore trovano gli idoli dell'orgoglio e della sensualità, il disprezzo e la derisione al posto della stima e della comprensione?

Sono toccanti le parole di un laico esemplare come il prof. Medi quando dice: «Sacerdoti ve ne scongiuriamo, siate santi! Se siete santi voi, noi siamo salvi. Se non siete santi voi, noi siamo perduti». Quale sacerdote non ha mai fatto l'esperienza della sete di Dio nel cuore della sua gente? Padri di famiglia e lavoratori che approfittano dell'unico momento libero della giornata per riconciliarsi con Dio, giovani e vecchi che attendono anche per ore, sopportando tanti disagi, l'apertura della chiesa o l'arrivo del confessore. Chi ha fede, proprio come Francesco d'Assisi, vede Dio attraverso le apparenze umane. È con questa fede, spesso nel segreto del confessionale, che avvengono i miracoli più grandi, dove delinquenti incalliti cambiano vita, persone che avevano percorso la strada dell'adulterio riscoprono quella del vero amore e, non di rado, chi ne ha la possibilità apre il suo cuore a chi è nell'indigenza. Quanti di fronte alla bontà di un sacerdote hanno sperimentato quanto dice il salmo 42: «Come una cerva anela verso rivi di acqua, così l'anima mia anela verso di te, o Dio» (IEP - Sal 42,2). Eppure c'è chi deride perfino le esperienze più alte e più belle tacciandole di sentimentalismo e bollandole con un ghigno di disprezzo e di derisione. Sono le persone più povere di tutte perché la loro interiorità è ridotta ad uno sterile deserto privo di vita. Sono persone non di rado dotate di una lucidità mentale pericolosa perché staccata dal cuore, il centro equilibratore, insieme alla ragione, di tutto il nostro essere. Sono questi, i più poveri dei poveri, ad aver bisogno più che mai della preghiera della comunità dei credenti perché anche nel loro cuore Cristo possa finalmente risorgere.

 

 

 

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