Appunti biografici

Enrico Medi nasce a Porto Recanati il 26 aprile 1911: suo padre esercita nel paese la professione di medico chirurgo. Frequenta le elementari nella scuola dell'allora Corso Vittorio Emanuele IIIº (oggi Corso Matteotti). Medi è ancora giovanissimo quando lascia le sponde dell'Adriatico per approdare a Roma, dove, appena diciassettenne, entra nell'università laureandosi a 21 anni in fisica pura con Enrico Fermi.

Libero docente di Fisica terrestre nel 1937, è chiamato nel 1942 alla cattedra di fisica sperimentale dell'Università di Palermo. La prima tesi al mondo sul neutrone è opera sua, così come le prime esperienze sul radar che raccolsero però l'ignorante supponenza delle autorità pubbliche del tempo. Anche i suoi studi sulle fasce ionizzanti dell'alta atmosfera subirono la stessa sorte. Occorrerà attendere cinque anni e la segnalazione dell'americano Van Allen per rendersi conto, con colpevole ritardo, che Medi aveva ragione.

Dopo la triste esperienza della guerra e del fascismo, nel 1946 Medi è eletto nell'Assemblea Costituente e successivamente è deputato al parlamento nella prima legislatura della Repubblica. La sua carriera politica giunge al culmine nel 1971 quando risulta primo degli eletti (75.000 voti di preferenza) al Consiglio Comunale di Roma. Ma, come ricorda Federico Alessandrini, egli era un uomo che "mal si adattava al compromesso, alla concessione sistematica, alla reticenza.... preferì, dunque, ritirarsi per continuare un'azione volta a formare gli uomini...".

Già dal 1949 è direttore dell'Istituto Nazionale di Geofisica e titolare della cattedra di Fisica terrestre presso l'Università di Roma: nel 1958 è nominato Vice-Presidente dell'Euratom. Il suo nome divenne noto al grande pubblico soprattutto per i suoi interventi alla televisione. Con chiarezza e semplicità di espressione svolse un ruolo importante nel campo della divulgazione scientifica e con grande successo personale il 21 Luglio 1969 commentò a tutti gli italiani lo sbarco sulla Luna dell'astronauta Armstrong.

 Lo sbarco umano sulla luna (21 luglio 1969)

Edwin Aldrin (Apollo 11) mette piede sulla Luna (20 luglio 1969)

 

 

"Questo Enrico Medi - scrive Marino Scalabroni - dalla mente di scienziato e dal cuore di poeta, questo diffusore della scienza fuori dalle paludate assise accademiche, questa coscienza che dalle immensità dei mondi o degli infinitesimali cosmi atomici ha saputo raggiungere accenti di grande poesia, questo Medi nostro, è nato qui (Porto Recanati), in questa terra dove si sposa il dramma infinito di Leopardi alla umile e ultraterrena dolcezza del mistero Lauretano...".

Scienziato credente, offrì tutte le sue energie per l'avvento di una umanità migliore. Rivolse la sua opera soprattutto ai giovani, visti nella luce di un superiore modello: il Cristo.

Enrico Medi concluse la sua giornata terrena sul tramonto della domenica del 26 maggio 1974. Riposa nella tomba di famiglia, nel cimitero di Belvedere Ostrense. Il 26 maggio 1996 viene introdotta la causa di beatificazione.

 

 

 

Gli aspetti principali della sua vita

“Lo animava il senso della missione e noi ci chiediamo quale sia stata la missione dell’intera vita di Medi. Egli è stato un esempio vivente e propugnatore chiarissimo dell’armonia che regna tra la scienza e la fede, un’armonia che diventa in lui testimonianza di carità e di servizio, intelligente, competente, generoso, trasparente alla comunità ecclesiale e civile” (Mons. Odo Fusi-Pecci nell’Omelia per l’introduzione della causa di beatificazione e canonizzazione del prof. Enrico Medi).

 

Amore alla santità

Con i Santi, il Professor Medi ebbe un rapporto straordinario. Ad essi dedicava i piú bei discorsi, molti dei quali, purtroppo sono andati persi perché spesso spontanei e mai trascritti, tale era l’amorevole slancio e la sincera riconoscenza dai quali traevano origine. Molti altri invece nascevano da una riflessione. Il Professore si documentava a fondo sulla vita, sulle eventuali opere e solo dopo una lunga full immersion nel suo mondo e nelle sue idee, scriveva i migliori discorsi. Discorsi che arrivavano sino al profondo dell’animo di coloro che li ascoltavano, coinvolgendoli e commovendoli al tempo stesso. Spesso il Professore era in grado di trovare spunti innovativi, particolari sconosciuti ai piú, che facevano brillare la figura del santo preso in esame di una luce nuova.

I suoi sforzi non miravano solo a ricordarne le opere, ma soprattutto a riattualizzarne ogni singolo messaggio. “La Santità - scrisse una volta - è un’opera d’arte dello Spirito Santo e come di un opera d’arte non si possono dare definizioni. Se l’arte fosse definibile non sarebbe piú tale perché sarebbe ripetibile e finita, come una macchina. Un capolavoro ha sempre il carattere dell’unicità e non ha vere ragioni della sua bellezza; è bello perché lui realizza una particolare bellezza e, con ciò stesso, la definisce. Quello che si può dire, con poverissime parole è appunto che ogni santo risplende di una luce tutta propria inconfondibile: piú i vertici sono alti e piú sono distinti”.

Fu cosí che parlò a lungo nel 1948 di Giacomo Cusmano, fondatore del “Boccone del povero” a Palermo. A Torino nel 1956 parlò di Francesco Faà di Bruno, santo della Restaurazione, e poi ancora di Luigi Orione, a Napoli, nel 1965. A Forlí nel 1971 parlò di Benedetta Bianchi Porro e in un’altra occasione del nuovo beato - ora santo - Massimiliano Kolbe. E cosí, per madre M. Caiani la fondatrice delle Suore Minime del S. Cuore e per tanti altri ancora.

 

 

 Enrico Medi e padre Pio

Enrico Medi e padre Pio

 

 

 

Il Professore e Padre Pio

Un cenno particolare circa l’amicizia che legò Medi a padre Pio è doveroso. L’incontro con Padre Pio, cambiò la vita di Enrico Medi per sempre. Il primo incontro fu seguito da tanti altri. Si intrecciò cosí una relazione straordinaria che durò per tutta la vita. Spesso il Professore si tratteneva alcuni giorni a S. Giovanni Rotondo, amava stare vicino a padre Pio e assisterlo in ogni cosa, godere il piú possibile del suo consiglio e del suo affetto. Approfittava di ogni occasione per poter correre da lui e ricevere la sua benedizione. Egli, infatti, vedeva nel Padre le virtú del credente vissute alla perfezione e non perdeva occasione per metterne in risalto l’umiltà, la serenità, sforzandosi di trasmettere a chi lo ascoltava il soffio della sua santità.

Ma non era solo il Professore a correre dal Padre, spesso era lui a chiamarlo soprattutto nel periodo delle elezioni a San Giovanni Rotondo. A Pietrelcina, tutte le porte erano aperte per il Professore, tutti lo conoscevano come uno dei figli prediletti di padre Pio. Ma ciò che piú affascinava Medi, riempiendogli il cuore di gioia, una gioia che poi era in grado di trasmettere nei suoi discorsi, era assistere alla messa di padre Pio. Come un qualsiasi pellegrino, alle 4:30 aspettava dietro il portone della chiesa, poi entrava e si sistemava in coro per servire la messa. “La messa di Padre Pio era rivivere fisicamente tutta l’agonia del Getsemani, del Calvario, della Crocefissione e della morte. Quando assistevamo alla messa si vedeva l’ansia di una creatura che da una parte era presa da una sofferenza immensa, dall’altra non voleva che questa sofferenza si riversasse sui fratelli che aveva accanto. Come il Signore quando fu sul Calvario. Era un fremito continuo un’immensa ansia” scrisse il Professore per una lunga conferenza a Cerignola nel giugno 1969.

Ma i suoi non erano solo sospetti, sensazioni evinte dall’assistere alla messa, le sue erano certezze derivate dalle stesse confessioni che il santo era solito regalargli durante i loro profondi incontri. Al Professore non bastava dimostrare continuamente il suo amore e la sua devozione al Padre, essergli sempre vicino, condividere le sue angosce e i suoi crucci, volva fare qualcosa di piú, voleva essere il figlio migliore, voleva dimostrare concretamente il suo amore profondo, aiutandolo a realizzare un grande desiderio: la casa Sollievo della Sofferenza. Che fosse la piú grande, la piú tecnicamente e umanamente perfetta, con tanti medici e chirurghi, che prestavano la loro opera gratuitamente.

“Dal punto di vista spirituale e medico la casa è un successo: solo la Provvidenza per le preghiere della santa creatura che è padre Pio, poteva far rifiorire nel deserto una pianta cosí ricca di frutti” scrisse il Professore. Ma il desiderio di compiacere padre Pio andava ancora oltre, egli sognava infatti anche un altro dono, quello di un centro di ricerche scientifiche nel campo medico-biologico che fosse da esempio per il mondo intero. Centro al quale affiancarne un altro riservato esclusivamente alla formazione dei laici che desideravano, in qualsiasi campo, mettersi al servizio della Chiesa. Quest’ultimo sogno però, nonostante fosse stato fortemente voluto dallo stesso padre Pio, non si realizzò.

Il Professor Medi, fu partecipe, fino alla fine delle gioie e dei dolori del frate santo. Fu infatti uno degli ultimi a vederlo vivo. La notizia della morte lo colse lontano, durante un viaggio di lavoro. Incontenibile fu il dolore per non poter averlo potuto assistere in quel momento. Tornò subito a San Giovanni Rotondo e là veglio la notte intera, accanto alla salma. Il Professore non smise di visitare San Giovanni Rotondo e non perse occasione per parlare del Padre e ricordarne la figura grandiosa, soprattutto ai Gruppi di preghiera sparsi in tutt’Italia.

 

Una devozione mariana autentica

A testimonianza della grande e autentica devozione che Enrico Medi nutrí verso la Madre di Dio, ci sono innumerevoli discorsi. Amava chiamarla la “Bella Signora” e a lei dedicava preghiere bellissime. Il rapporto con la Madonna è una delle chiavi di volta della spiritualità straordinaria di quest’uomo umile e grande. Nulla di sterile o di infantile vi era in questo suo guardare sempre verso la Madre di Dio, era anche questo un modo per avvicinarsi a Cristo: “Non disperiamo, se è, com’è, mediatrice di tutte le grazie, è per eccellenza la mediatrice della Misericordia. Lasciamo nelle sue mani la libertà di tessere la tela del mondo, essa che legge negli occhi di Dio, saprà trarre il piú meraviglioso disegno d’amore e di gioia”.

Spesso nei suoi scritti si fa riferimento alla “Bella Signora”, ai loro incontri, alle sue straordinarie apparizioni: “Sono andato ora a trovare la bella Signora, tutta Bianca sorride dall’alto dicendo grazie, sorride al mio sguardo dicendo vengo”. Sempre soavi, lucenti e eterei i termini con cui il Professore soleva descriverla. E sempre ne parlava e ne scriveva come un’immagine concreta che gli stesse davanti in quell’istante. Fin dall’infanzia aveva sviluppato con la Madonna una familiarità commovente, una familiarità testimoniata dal tono filiale col quale le si rivolgeva di continuo. Amava il Magnificat che considerava il canto piú bello e non si stancava mai di ascoltarlo e intonarlo per Lei.

“È il canto piú bello e piú poetico che mai donna abbia pronunciato. A volte non ci pensiamo, ma nel Magnificat, ci sono le vere parole di Maria, Magnificat anima mea Dominum. Queste parole sono proprio di Maria. Mai poetessa ha tratto dal fondo del suo cuore un brano cosí filosofico, di sintesi, di grandezza, di teologia, di costruzione del mondo, di profezia della storia; qui dentro c’è tutto! C’è il problema sociale, c’è la politica, c’è la grandezza, c’è l’amore, c’è la potenza di Dio, c’è la visione dell’ultimo giorno. C’è Tutto!” disse durante la conferenza L’Ora di Maria, nel 1954.

Per questo recitava il Rosario, con passione, anche piú volte al giorno, era un momento di straordinario contatto con la Madre, era un modo per sentirla ancora piú presente, per godere della sua pace e della sua perfezione. Anche in questo caso, il segreto stava tutto nella concretezza dell’atto, nel poter pronunciare parole di conforto e devozione stringendo fra le dita i grani del rosario. “Sui grani della tua corona saliremo uniti verso di te , con i grani della tua corona ci leghi cosí forte che nulla potrà separarci”.

 

 Enrico Medi e Pio XII

Enrico Medi e Pio XII

 

 

 

Amore al Papa

Il legame tra il Professore e i Papi, aveva radici profonde. Nacque con Pio IX che gli aveva conferito il diploma di cultura religiosa superiore alla Pontificia Università Gregoriana. Alla prima Conferenza Internazionale sugli usi pacifici dell’energia atomica, che ebbe luogo a Ginevra, Papa Pio XII inviò come capo della delegazione Pontificia il Prof. Enrico Medi. La Conferenza fu un’importante occasione per entrare in contatto con ambienti cattolici soprattutto giovanili, giornali italiani ed esteri. Fu richiesto persino un suo intervento, che fece in francese a chiusura della conferenza. Di quest’episodio il Professore serberà negli anni un caro ricordo.

Medi incontrò Papa Pio XII nel 1946. Nacque subito un rapporto di reciproca stima: “Come ti ho scritto sabato sono stato ricevuto dal Santo Padre nel suo studio privato: per la prima volta ho parlato col Papa seduto alla sua presenza. La bontà del santo Padre, l’acutezza e paternità sono doti singolari che ha avuto da Dio. Ho affidato a Lui studi, politica e famiglia. Mi hanno dato un Rosario bianco per te e uno nero per la creatura che deve nascere” scrisse alla moglie in quell’occasione. Ben presto il rapporto si trasformò in qualcosa di piú di una semplice conoscenza, il Santo Padre mostrò verso Enrico un amore paterno, si fidava di lui e lo stimava. Il professore divenne il suo tramite col mondo scientifico, il suo traduttore e il suo consigliere.

Egli da parte sua si sentiva onorato di poter mettere il suo amore per la scienza al servizio della Chiesa e del Santo Padre: un suo desiderio si era tramutato in realtà, la complementarietà della fede con la scienza. Questo rapporto, continuo e intenso perdurò fino alla morte di Papa Pio XII. In quell’occasione il Professore prestò il suo ultimo servizio a quel suo Padre tanto amato, commentando il viaggio del feretro alla Radio Vaticana.

Con Paolo VI il professore ebbe un rapporto molto cordiale. Quando, dopo essere stato suo Assistente Ecclesiastico presso la FUCI, salí al soglio pontificio, gli inviò come suggello della loro amicizia un esemplare in argento della medaglia del Concilio. In seguito lo volle parte della Consulta del Laici. Paolo VI, appresa la morte del Professor Medi, inviò un telegramma alla vedova e alle figlie. Tuttavia, neanche la morte riuscí a spezzare un legame tanto forte.

Nel 1985 quando Papa Giovanni Paolo II affrontò l’argomento “Gli uomini di scienza e Dio”, non poté non fare riferimento a quel figlio che tanto valorosamente e umilmente mise al servizio di Dio e del suo rappresentante in terra le sue conoscenze scientifiche: “Sarebbe assai bello far ascoltare in qualche modo le ragioni per cui non pochi scienziati affermano positivamente l’esistenza di Dio e vedere da quale personale rapporto con Dio, con l’uomo e con i grandi problemi e valori supremi della vita essi stessi sono sostenuti. Basti qui il riferimento ad uno scienziato italiano, Enrico Medi, scomparso pochi anni or sono”.

 

 Enrico Medi

Enrico Medi

 

 

Enrico Medi tra scienza e fede

“Se non ci fosse pericolo di essere fraintesi, verrebbe da dire che il cristianesimo è esattamente scientifico; ma la verità è un’altra, è che la scienza per natura sua è cristiana: cioè ricerca della verità, cioè attenta indagine su quella che è la volontà di Dio che si esprime nell’ordine naturale (scienza) e nell’ordine soprannaturale (fede e teologia). Quindi è inconcepibile e assurdo qualsiasi ipotetico contrasto fra fede e scienza, fra vero progresso scientifico e teologia e morale”.

Il Professor Medi era fermamente convinto che scienza e fede fossero in continuo dialogo e superassero ogni ostacolo grazie all’intervento della filosofia che offriva alla scienza stessa gli strumenti per operare e soprattutto la possibilità di sintetizzare le conoscenze via via accumulate. “La filosofia ha i suoi metodi e i suoi fini, la scienza metodi e finalità proprie, ma esse non possono, pur nella distinzione, ignorarsi. Nell’ultimo fine della verità di incontrano, si aiutano, si intendono. La scienza porge alla filosofia i risultati delle sue certezze, la filosofia offre alla scienza la potenza della sua luce” disse il Professore in un discorso tenuto a Roma nel 1950, alla conferenza L’avvenire della scienza, presso l’università di S. Tommaso.

Questa idea affascinava il Professore, come pure il pensiero del percorso arduo e tormentato per raggiungere la conoscenza; percorso voluto da Dio e che a Dio porta sempre piú vicini. Questa, la chiave del rapporto stretto che in lui univa fede e ragione. Questo il segreto della loro complementarità. Da qui la sua incredulità davanti all’ateismo, che considerava una vera e propria sconsideratezza. Non vedere, infatti, nella scienza la suprema manifestazione del divino era per lui assolutamente impossibile. Segno di squilibrio era poi vedere scienza e fede come avverse, quasi fossero saperi di due mondi inconciliabili.

“La mente dell’uomo è fatta per la luce, ogni sorgente di luce che si accende nella sua anima non fa che diradare le rimanenti caligini. Dio è autore della natura e della rivelazione. Sono due strade diverse che portano alla sua parola nella quale non può essere contraddizione. La fede è piú diretta, tocca argomenti di valore infinito, Dio direttamente; la scienza indaga la natura coi mezzi che le sono propri. E man mano che la ricerca scientifica procede, la fede ne riceve conforto” (da alcune conferenze tenute a Siena nel 1970).

Ma come si possono trovare e capire quei segreti se si nega la fonte stessa che li ha pensati e generati? Come si può studiare o dominare qualcosa del quale si disconoscono le radici stesse? Queste le grandi domande che poneva a tutti coloro che si professavano atei e tuttavia scienziati rincorrendo una verità che mai potrebbero cogliere e capire ultimamente.

Gli stessi studi scolastici - sottolineava - si orientano su una errata e menzognera concezione di separazione degli ambiti: dalla pratica passano alla teoria, dal fisico all’immateriale. Il Professor Medi sosteneva invece che “la rivelazione e la teologia hanno illuminato e permesso il nascere e lo sviluppo della scienza”. Solo correggendo all’origine questo terribile errore, permettendo ai giovani di crescere con la giusta visione delle cose, si permetterà lo sviluppo di una società consapevole e dedita all’amore di Dio.

La scienza infatti, con l’appoggio della fede, avrebbe una valenza fortemente sociale, proprio perché in grado di accomunare tutti davanti ad una verità oggettiva e inattaccabile. Attraverso la scienza il Signore migliora le condizioni di vita dei suoi figli, rendendoli però consapevoli e attivi, non passivi e incapaci. Le meraviglie che la scienza crea migliorano nettamente la qualità della vita. Proprio in questo suo grande potere tuttavia sta nascosto il pericolo della scienza, quello di portare l’uomo che la pratica, che ne coltiva le leggi, verso il culto del potere. La scienza per essere compresa e utilizzata al servizio degli altri deve essere sempre e comunque accompagnata dall’umiltà. E solo chi vive nella luce di Cristo può conoscere la vera umiltà. “L’uomo fa della vera scienza quando dimentica se stesso e si affida interamente alla luce che dalla natura promana: egli sa di non essere creatore di nulla e che la sua grandezza è solo nella fedeltà con cui accetta il vero”.

 

 Conferenza del prof. Medi

Una conferenza di Enrico Medi

 

 

 

Il professore e la problematica giovanile

“L’uomo è piú grande delle stelle. Ecco la nostra immensa dignità immensa grandezza dell’uomo, della vita umana. Giovani, godete di questo dono che a voi è stato dato e che a noi fu dato. Non perdete un’ora sola di giovinezza, perché un’ora di giovinezza perduta non ritorna piú. Non la perdete in vani clamori, in vane angosce, in vani timori, in folli pazzie, ma nella saggezza e nell’amore, nella gioia e nella festa, nel prepararvi con entusiasmo e con speranza. Da una cosa Iddio vi protegga: dallo scetticismo, dal criticismo e dal cinismo; il giovane sprezzante di tutte le cose è un vecchio che è risorto dalla tomba. Guai se la giovinezza perde il canto dell’entusiasmo”.

Medi amava i giovani. Gli si rivolgeva con continuo e crescente entusiasmo, come un padre, come un maestro, ma soprattutto come uno di loro. Questo il Professore si sentiva, un giovane amante della vita in quanto dono di Dio, e di tutte le ricchezze che essa portava. La vita, vissuta con coscienza e responsabilità, affrontata con gioia, umiltà e buoni propositi. Anche negli anni delle contestazioni non perdette mai la fiducia nei giovani, né la voglia di rivolgersi a loro, di dedicargli discorsi ricchi di consigli e apprezzamenti.

“La nostra gioventú è buona. Non guardi alle centinaia di scavezzacolli che fanno confusione. Pensi alle generazioni che vengono su, parlo di quelli che oggi hanno quindici, sedici anni: istintivamente si accorgono che gli altri perdono tempo e che la vita sarà loro, domani. La gioventú attuale, con tutte le doti di cui è carica, pone un problema grave a noi adulti e anziani. Sono loro i figli disastrati della guerra, perché le guerre distruggono le case, ma anche gli spiriti. Mentre le case si ricostruiscono rapidamente, per gli spiriti ce ne vuole. Bisogna andare incontro a questi giovani, cercare di dare un esempio valido, che possano capire, apprezzare e accettare. I giovani d’oggi urlano perché hanno il vuoto dentro e il vuoto fuori. I vuoti dentro perché gli abbiamo tolto i fondamenti della fede, la certezza nella verità, la gioia di potersi donare, lo spirito di sacrificio, ogni ideale insomma. Fuori poi, non vedono né speranze né appoggi, vedono solo manovre, opportunismo e furberie. La loro non è protesta ma sentimento del dolore, paura del vuoto, come i bambini hanno paura del buio. Quel loro andar cappelloni significa il loro disprezzo per le cose attuali cui noi diamo tanta importanza” dichiarò durante un’intervista.

 

La contestazione del 1968

Medi accusava quindi la società di aver trascurato la Fede e di aver quindi educato i propri figli privandoli dei punti fissi che la religione dà, costringendoli a vivere nel buio e nella confusione. Questa la ragione del 1968 e delle proteste imperanti di quegli anni. I giovani si sono allontanati da Dio a causa di un’educazione scolastica e familiare manchevole. I giovani chiedono aiuto, chiedono di riavere quei pilastri che gli sono stati tolti, e lo chiedono a modo loro, nell’unico modo che conoscono e che ritengano sia valido. In questo senso l’urlo della protesta giovanile deve risvegliare la società dal sonno in cui è piombata, deve servire non solo per riavvicinarla ai suoi figli ma soprattutto per riavvicinarla a Dio.

Egli, a differenza di molti, faceva di tutto per stare vicino agli ambienti giovanili proprio negli anni piú caldi, per capire il loro disagio e non chiudergli la porta in faccia come invece facevano tutti coloro che li avrebbero dovuti ascoltare: famiglie e docenti in primo luogo. Il Professore si dichiarava spesso profondamente addolorato da questo muro d’incomprensione che s’innalzava sempre piú alto tra generazioni che insieme avrebbero potuto e dovuto cooperare per costruire il futuro.

Questa la ragione per cui Medi si sentiva sempre e comunque dalla parte dei giovani, sinceri interlocutori del Signore, sui quali egli ripone la speranze di un futuro migliore. La risposta dei giovani all’amore che il Professor Medi gli dedicava, era pronta e sincera. Essi lo capivano, lo apprezzavano e lo ricambiavano con affetto e simpatia. I suoi discorsi arrivavano direttamente al loro cuore, restando impressi per tutta la vita e portandoli spesso a profonde riflessioni, alle quali egli era sempre pronto a dare consiglio e supporto.

“Perché tanto affetto? - rispose a chi gliene chiese ragione - I giovani sono la gioia della vita, la freschezza e la semplicità, il disinteresse e la speranza di un futuro migliore per l’umanità”.

       

 

 Medi in automobile

Enrico Medi in auto

 

 

 

Enrico Medi e la società contemporanea

Il Professore giudicava severamente la società del dopoguerra, cui rimproverava prevalentemente l’attaccamento al denaro e la conseguente perdita di valori spirituali. Nonostante stesse vivendo una delle sue età piú floride e ricche, la società moderna aveva perso tutta la sincerità e la freschezza di quelle precedenti. Tutti i progressi raggiunti, non facevano che degradarne il valore e l’intelligenza, assoggettati alla produzione e al successivo consumo sfrenato di beni. Lo spessore spirituale di tale società andava assottigliandosi in maniera direttamente proporzionale a quanto invece cresceva il suo stato di “benessere” concreto.

Il fascino che in lei sortivano il denaro, la ricchezza, la concretezza l’aveva imprigionata in un circolo vizioso dal quale diventava sempre piú difficile poterla liberare. Cosí la definí una volta: “una società irreale, sbagliata, antinaturale, che si ritiene essere sicura espressione della concretezza, si affanna a produrre beni, che si affretta a distruggere; moltiplica le comunicazioni commerciali e le ferma con cumuli di restrizioni; proclama la libertà e la soffoca per proteggerla”. Il valore del denaro, la ricerca forsennata del benessere avevano spogliato la società del suo vero credo, allontanandola sempre di piú dalla fede. La ricchezza aveva privato l’uomo dei vecchi valori, sostituendoglieli con altri fittizi e insoddisfacenti. La società moderna era lontana da Dio, sempre piú distante dalla sua luce e proprio per questo, contraddizione in termini, non riusciva a godere dei suoi trionfi. L’intelligenza moderna era un’intelligenza fredda e senza spessore che non riusciva a portare gioia ai cuori di chi la possedeva ma solo pena, ansia e fame perenne. Fame di significati, fame di certezze, cercati sempre piú... nei modi piú sbagliati: “Oggi purtroppo noi siamo rimasti privi di maestri e privi di filosofia; siamo prosciugati, consumati, inariditi, sbandati”.

In tutto ciò, tronfia delle sue vittorie, la società moderna aveva sviluppato un elevato grado di superbia che la rendeva immune da critiche o anche solo consigli. Era proprio la superbia ad aver allontanato l’uomo moderno dal Signore, ad avergli tappato occhi e orecchie per non permettergli di ascoltare piú la verità del Vangelo. Una profonda ignoranza contraddistingueva questo atteggiamento. Venivano ormai trascurate scienze come la filosofia e la teologia, non si coltivava piú l’intelligenza produttiva, la razionalità logica. L’ignoranza era sorella dell’indifferenza, nella quale l’uomo moderno viveva ormai da tempo immemorabile. I primi sintomi della “malattia della società moderna”, erano infatti da ricercarsi, secondo Medi, nell’inizio del processo di secolarizzazione, che durante il dopo guerra era notevolmente aumentato.

“Hanno deificato la libertà e nel suo nome hanno costruito l’immensa gabbia economica per un mondo di schiavi. Hanno gridato fraternità e si sono uccisi senza misericordia, hanno alzato il vessillo dell’eguaglianza e l’hanno ottenuta solo in sterminati cimiteri”. Medi era profondamente inquietato da una società che non nominava affatto il nome di Dio, ma lo ignorava totalmente. Davanti ad una tale posizione era difficile trovare un rimedio. Per questo condannava chi cercava di sedare nel silenzio la rivolta giovanile, che lui invece accoglieva come un grido nel silenzio forzato, un grido liberatore, davanti al quale tirare un sospiro di sollievo. I giovani soffrivano di quella mancanza di guide ai quali la società dei loro padri li aveva condannati. In loro Medi riponeva le sue speranze: i giovani come ponte tra la società e Dio.

 

 

 

 

Breve bibliografia

 

AA. VV., Il matrimonio. Ve ne parlano Enrico Medi... [et al.], opera in collaborazione diretta da Antonio Ugenti, 3. ed., Cinisello Balsamo, 1973.

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MEDI E., Inno all’amore, Ed. Cantagalli, Siena, s. a.

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MEDI E., L’ora di Maria. Conferenze mariane tenute nell’Aula magna dell’Angelicum, Roma, s. a.

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MEDI E., Se guardo il tuo cielo, Ed. Cantagalli, Siena, s. a.

MEDI E., Siamo all’alba o al tramonto?, Roma, 1972.

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Sezione Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Prof. Enrico Medi

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Brani scelti dai discorsi di Enrico Medi - Documenti audio