Il sistema filosofico sviluppato dal francescano beato Duns Scoto viene chiamato "scotismo". Si differenzia dal "tomismo", frutto dell'opera di san Tommaso d'Aquino (1225-1274), perché riconosce il primato dell'amore e della volontà su quello della conoscenza e dell'intelletto. Anche in campo teologico lo scotismo apporterà una visione nuova e - per molti versi - piú aderente alla struttura personale dell'uomo: la realizzazione definitiva dell'uomo - in Scoto - consiste primariamente nell'amore (e non nella visione) di Dio. È a Duns Scoto che si deve la dottrina dell'Immacolata Concezione di Maria.

Lo stesso mistero dell'incarnazione non è una pura conseguenza dell'opera della redenzione avvenuta a causa del peccato. L'Incarnazione, secondo Scoto, era preesistente nel disegno di Dio dove Cristo non è solo il Redentore ma anche colui che ricapitola in sé tutte le cose (Ef 1,10). In certo qual modo si può dire che lo stesso Teilhard de Chardin è discepolo di Scoto nella sua visione cristocentrica ed entrambi sono figli dell'apostolo Paolo che pone Cristo come il Mistero nascosto da secoli eterni nel cuore del Padre e rivelato all'umanità.

Addentrandoci in una visione piú dettagliata del rapporto dell'uomo con Dio, Scoto afferma che Dio - per l'uomo - esiste come rivelazione interiore e per questo non è dimostrabile dalla scienza. Malgrado ciò, e diversamente da San Tommaso, per Scoto il Creatore e le cose create sono costituite dalla stessa sostanza (univocità dell'essere). Scoto afferma che, pur esistendo un'ovvia differenza ontologica tra l'essere divino e l'essere creato, tutti gli enti (tutte le cose esistenti) si possono considerare di fatto appartenenti "allo stesso infinito". Ciò implica che l'uomo non è per sua natura limitato alla sola percezione sensoriale, come invece sosteneva Tommaso. L'uomo porta in sé l'infinito del suo Creatore, seppur di fatto limitato dal peccato originale nel mondo della materia. Egli non riconosce, come Tommaso, che le capacità gnoseologiche (conoscitive) dell'uomo siano limitate al solo mondo dei sensi, in quanto questo implicherebbe l'impossibilità umana di attingere al divino.

Altra problematica tipica nello scotismo è quella degli "universali" (problema degli universali): constatato che la realtà creata ha come caratteristica l'individuale. Tutto in natura è finito, ossia limitato ed unico, e ha in sé una sola combinazione di caratteri. Ogni uomo, ogni essere, vivente e non, è diverso dagli altri, perciò si pone il problema del come dimostrare l'esistenza dell'universale, ossia l'esistenza di esseri e sostanze infinite e assolute, quali, ad esempio, Dio. Duns Scoto risolve la questione con incomparabile sottigliezza: l'universale non ha la stessa sostanza dell'individuale, anzi, l'universale è universale per l'intelletto e particolare nella realtà, ciò vuol dire che costituisce un terzo stato, una terza sostanza, la quidditas. L'universale e il particolare sono dunque le due facce di una stessa medaglia, o di una stessa sostanza, che è entrambi e nel contempo non lo è. La quidditas realizzata nel particolare nella dottrina scotista si chiama haecceitas, ovvero la qualità che è propria degli esseri individuali: la qualità di essere "individuali" proprio e solo in una determinata forma e non in un'altra.

Il problema dell'individuazione è un tema ricorrente della filosofia: posto che la materia è sempre uguale e impersonale (i principi costitutivi strutturanti la materia non hanno caratteristiche "individuali"), cos'è che rende unici gli esseri viventi? Che cosa rende unica ogni persona, ogni animale, ogni vegetale e ogni altra cosa? Aristotele pensava che il principio di individuazione fosse da ricercare nella materia stessa: mentre l'idea di Aristotele è qualcosa di universale e impersonale, Aristotele in quanto uomo (materia) è unico e irripetibile. Successivamente Tommaso arricchí e perfezionò la posizione aristotelica sostenendo che il principio di individuazione fosse da ricercare nella cosiddetta materia signata. Non dunque nella semplice materia, la quale non è da considerare unica (tutte le cose sono infatti composte dalle stesse sostanze fondamentali). La materia signata sarebbe la materia che ha una determinata posizione nello spazio e nel tempo, diversa per le dimensioni (per la misura precisa di ogni struttura materiale) da quella delle altre cose. La materia signata è una sovrapposizione indefinita di forme nella stessa materia. La posizione di Scoto sull'individuazione invece consiste nel negare ulteriormente la sua attuazione nella materia signata tomista e nel formulare un altro principio, l'hecceitas (l'essere questo e non altro), che si pone oltre la materia e la forma e ne costituisce un'ultima e finale realtà.

L'originalità dello scotismo sta dunque anche in una critica ai sistemi aristotelico-tomista e agostiniano-bonaventuriano che all'epoca si fronteggiavano nell'Università di Parigi. I loro massimi esponenti erano da una parte Goffredo di Fontaines ed Egidio Romano e dall'altra Enrico di Gand. Tra questi sistemi rivali Scoto cerca una sintesi nuova, in grado di mantenere da un lato la centralità di Cristo e del soprannaturale propria della tradizione francescana, dall'altro lato l'istanza aristotelico-tomista valorizzante la conoscenza sensibile e la realtà corporea. Una caratteristica notevole del pensiero scotiano, che gli ha meritato l'appellativo di Subtilis (sottile), è proprio la sua costante preoccupazione di non perdere nulla di ciò che di positivo si trova in impostazioni e sistemi anche opposti, ricorrendo a distinzioni, appunto, sottili. La sua "sottigliezza" tuttavia non è esercizio di pura logica disincarnata dal reale ma profonda e non comune capacità intellettiva nel divincolarsi dagli schemi angusti degli strumenti culturali della sua epoca. La ragione in effetti deve per Scoto riconoscere la sua l'insufficienza nell'affrontare la situazione concreta (status) dell'uomo, e accettare cosí di integrarsi alla fede: al centro di tutto per Scoto sta Cristo (Cristocentrismo), il Verbo incarnato la cui missione non è semplicemente quella di riparare il peccato originale, quasi fosse da esso condizionata, ma quella di divinizzare l'uomo. Essenziale allora è mostrare come tutto debba essere riferito a tale centro unitario.

Scoto concepisce la teologia come scienza fortemente connotata in senso affettivo (nel solco della tradizione agostiniano-francescana), in quanto approfondisce il mistero di Dio nel suo rivelarsi all'uomo, perché l'uomo possa agire in modo tale da fruire della proposta salvifica. Dio si è rivelato come mistero di amore (Deus caritas est); amore è la creazione, amore è la grazia, amore è la beatitudine eterna; ma soprattutto è amore l'incarnazione del Figlio di Dio:

«Dico dunque, anzitutto, che Dio si ama; secondariamente, Dio si ama per andare ad altri, e questo amore è ordinato; terzo, Dio vuol essere amato da qualcuno che possa amarlo di un sommo amore, ed io parlo di un amore estrinseco a lui; quarto, Dio prevede l'unione con se stesso di questo essere che deve amarlo, anche se non vi fosse tra gli esseri creati nessuno che tradisca l'amore».

È questa teologia dell'amore (theologia amoris) che conduce Scoto a stabilire la dottrina del Cristocentrismo: il Cristo, Dio-Uomo, è per se stesso voluto da Dio, assolutamente e incondizionatamente (quindi anche se l'uomo non avesse peccato), in quanto termine di Amore infinito e soggetto di uguale amore. Pertanto il Cristo è principio e fine di tutta la realtà creata, nell'ordine della natura, della grazia e della gloria. Immediata conseguenza di questa dottrina è l'altra dell'Immacolata Concezione (definita come dogma di fede l'8 dicembre 1850 da Papa Pio IX): Maria, in quanto madre predestinata del Cristo, non poteva essere esclusa dalla pienezza di amore a causa il peccato originale. Scoto introduce per lei il concetto di "Redenzione preventiva", per giustificare come la Madre di Dio sia, insieme, redenta e immune dal peccato originale. Particolare interesse poi hanno assunto, dopo il concilio Vaticano II, altre dottrine scotiste, come quella sulla Rivelazione (che è trasmessa nelle Scritture, benché alcune verità particolari siano state trasmesse alla Chiesa attraverso la Tradizione), e quella del carattere sacramentale dell'Ordine episcopale.