Il "trionfo" delle esequie

 

Trent'anni or sono Sassari assistette al funerale piú solenne ma forse piú strano e sconcertante della sua lunga e varia storia; al funerale del Padre Manzella. Infatti al passaggio della salma la gente applaudiva e gridava: "viva Padre Manzella, viva Santo Manzella". Dire "viva" ad un morto non è cosa comune, non è cosa che capiti sovente; ed applaudire al passaggio di una bara è cosa per lo meno inusitata. È un fatto, questo, che rivela qualche cosa che non è normale, che è, direi, fuori dell'umano. Eppure tutto ciò è avvenuto a Sassari il 21 ottobre 1937.

Come si spiega questo fatto strano e singolare? Si trattava di una suggestione collettiva o della esaltazione religiosa di una massa facilmente impressionabile? Chi era Padre Manzella? Oppure gli applausi dicevano che per i sassaresi e per i fedeli accorsi da mezza Sardegna Padre Manzella non era morto? Lasciamo che l'indagine venga, eventualmente, approfondita dagli studiosi di quella nuova disciplina, che ora è anche insegnamento universitario, e che si chiama psicologia della opinione pubblica.

A noi basta registrare il fatto, per dedurne che ci troviamo di fronte ad un caso singolare, ad un fenomeno strano, o almeno non comune, ad una figura di uomo la cui morte ha segnato il vertice di un trionfo; di un uomo la cui vita ha incominciato ad affermarsi, sorprendentemente, dopo la morte.

 

"lo non penso male, non dico male, non faccio male"

Chi era Padre Manzella? Che cosa ha fatto quest'uomo per suscitare tali sentimenti e tali reazioni? Era un uomo, un sacerdote, un missionario di San Vincenzo de Paoli, al quale si può attribuire ciò che, in un recentissimo e grande film: "Un uomo per tutte le stagioni", il regista fa dire al protagonista, che è poi Thomas Moore, il grande Cancelliere d'Inghilterra, decapitato per la fede: "Io non penso male, non dico male, non faccio male". Credo che Padre Manzella potesse ripetere di se stesso questo elogio. Realmente era un uomo che non ha mai pensato male, che non ha mai detto male di nessuno, che non ha mai fatto male a nessuno.

 

Testimone di Dio e benefattore degli uomini

Ed in piú è stato un autentico testimone di Dio ed un incomparabile amico e benefattore dagli uomini. Perciò molti di noi hanno ritenuto e ritengono che egli abbia raggiunto quella dimensione interiore che comunemente chiamiamo santità e che spiegherebbe l'atteggiamento della folla ai suoi funerali. Ma lasciamo il giudizio alla Chiesa. Molto è stato scritto e detto di lui e sarebbe impresa disperata voler dire qualche cosa di inedito e di nuovo, se non si attingesse alla fonte diretta dei ricordi autobiografici. lo ho avuto l'incomparabile fortuna di incontrare quest'uomo straordinario, questo sacerdote di eccezione, agli albori della mia prima giovinezza e di, vivere, per alcuni anni, in filiale dimestichezza con lui.

Dio solo può sapere quale parte determinante egli abbia avuto nelle scelte che hanno dato alla mia vita un preciso e definitivo orientamento. Per questo motivo vorrei presentarvi Padre Manzella guardandolo da vicino, nella sua vita personale ed intima, nei rapporti singolarmente fecondi e commoventi da me avuti con lui, nei colloqui dai quali traspariva un'eccezionale bontà d'animo, una fede ingenua e trasparente, una carità che raggiungeva spesso i traguardi dell'eroismo.

lo ripenso con commozione e con stupore alle parole da lui a me rivolte, ai consigli ricevuti, alle confidenze fattemi, agli sprazzi di luce proiettati nella mia anima giovanile, agli esempi di una vita semplice e limpida, che incarnava le virtú umane e cristiane in modo esaltante. Vorrei ricordare qualche episodio, che potrebbe forse sembrare irrilevante, ma che per me è stato ed è tuttora rivelatore di una personalità eccezionale, di una statura non comune, di una grandezza morale unica. Vorrei insomma parlare di lui, della sua persona piú che della sua attività; di quello che egli era, piú di quello che ha fatto. C'è un altro motivo che mi spinge a guardarlo sotto questa angolazione.

Oggi che la sociologia, la psicologia, la filosofia e perfino la teologia, concentrano l'attenzione, l'interesse, lo studio sull'uomo; oggi che anche la Chiesa conciliare mette l'accento sul valore della persona; oggi che l'uomo è al centro e al vertice di ogni realtà, anche come conseguenza, io penso, della negazione di Dio cosí accentuata nel pensiero moderno; oggi parlare dell'uomo Manzella, della sua persona, di quello che egli era, a me pare sia cosa che risponde di piú alle attese, ai gusti, alle esigenze dell'uomo di oggi che ha bisogno, piú che di parole, di esempi; piú che di teorie, di ideali vissuti, incarnati, sofferti. Padre Manzella era l'incarnazione luminosa degli ideali di umanità, di fede, di carità. Rivelava, anche fisicamente, doti eccezionali di umanità e di bontà. Aveva due occhi azzurri, inesprimibilmente dolci ed accoglienti, ed un sorriso che era come lo specchio della sua anima semplice ed infantile. Perciò un suo biografo ha potuto scrivere: "L'uomo Manzella si rivelava al primo incontro dal sorriso che illuminava il suo volto sereno; nella dolcezza raggiante degli occhi traspariva il suo candore incantevole di fanciullo".

In realtà attraverso gli occhi e il sorriso il primo incontro con lui rivelava una umanità, una disponibilità, una carità che non è facile trovare tra gli uomini del nostro tempo; di questo nostro tempo di accentuato disimpegno e di ricercate evasioni. Cosí, in questa luce, apparve a me Padre Manzella quando, studente di ginnasio, ero ospite dell'allora Convitto arcivescovile che aveva la sua sede in Seminario e Padre Manzella come Direttore Spirituale. Ogni settimana si andava da lui per confessarsi e quegli incontri erano da tutti desiderati ed attesi, tanto il colloquio con lui attraeva, allietava e arricchiva.

 

Una terapia... fuori degli schemi

Avendo notato un giorno che zoppicavo, mi chiese la causa e, saputo che l'unghia dell'alluce destro mi procurava qualche sofferenza, si offerse subito a porvi rimedio. Al primo esame si accorse di che si trattava, un'unghia incarnita, ed iniziò subito la terapia. Volle che tutti i giorni, prima di cena, andassi da lui per la cura, e per alcune settimane ogni sera, con procedimento empirico, ma delicato e commovente tanto era l'impegno e l'attenzione che vi poneva, mi curò l'unghia fino a completa guarigione. Quale effetto abbia prodotto in me questo interesse personale per la mia lieve sofferenza e come ciò abbia contribuito ad avvicinarmi maggiormente a lui e ad aprirgli il mio animo di adolescente che incontrava già le prime difficoltà nella vita spirituale, è cosa facilmente intuibile. In quel piccolo gesto Padre Manzella mi aveva rivelato il suo grande cuore, ma io non avevo allora capito ch'egli mi aveva anche impartito la prima lezione di vita spirituale.

Una lezione che, col volgere degli anni, è andata sempre piú chiarendosi al mio spirito. Egli mi aveva insegnato che bisogna apprezzare le piccole cose; che occorre vedere il Signore in ogni uomo, che ci si santifica in mezzo alle cose materiali, che ogni specie di evasione dai doveri quotidiani di solidarietà e di carità, è una manifestazione di egoismo, è un allontanarsi dagli uomini e da Dio; mi aveva insegnato che bisogna restituire alla materia e alle situazioni che sembrano piú comuni, il loro nobile senso originale, spiritualizzandole e facendole diventare mezzo ed occasione del nostro incontro con gli uomini e con Cristo; mi aveva insegnato a compiere con perfezione ogni sia pur piccola azione, ad amare Dio servendo gli uomini nelle piccole cose, scoprendo "quel qualche cosa di divino" che è nascosto nei particolari, perché, come scrive un autore spirituale contemporaneo "quando un cristiano compie con amore le attività quotidiane piú banali, queste traspirano la fragranza di Dio, perché la vocazione cristiana consiste nel tramutare la prosa quotidiana in versi di un poema epico". Cosí Padre Manzella è stato il mio primo maestro di teologia, di quella che oggi si chiama "la teologia delle realtà terrestri".

 

Un uomo ricco di umorismo e di allegria

Ma non era soltanto questa umanità, ricca di interesse e di generosità per gli uomini, che attirava la gente verso Padre Manzella, vi contribuiva certamente anche un altro fattore che in lui aveva una evidente rilevanza e che era una delle componenti fondamentali del suo carattere: l'umanità di Padre Manzella era ricca di umorismo e di allegria. Aveva infatti, spiccatissimo, il senso dell'umorismo che è come la premessa psicologica dell'incontro sereno con gli uomini e del dialogo fecondo con essi. "L'incontro con lui - è stato scritto - era sempre un momento di allegria, di serenità, di stupore". Il suo spirito arguto, con le battute umoristiche frequenti e originali, era il primo veicolo che attirava simpatia e interesse.

"Alcuni - diceva - mi credono santo. Questo non mi disturba affatto; ma quando mi sento dire cosí, perdo la stima anche dei santi". Umorismo anche nei momenti difficili, nei momenti di difficoltà e di contrarietà, durante i quali usava ripetere una giaculatoria da lui stesso coniata: "O Maria concepita senza peccato, pregate per il povero Manzella disperato".

 

"Danno la colpa a me"

Quando gli attribuivano il merito di qualche grazia ottenuta per la sua intercessione, diceva scherzosamente: "Io do la medaglia benedetta, la Madonna fa la grazia e poi... danno la colpa a me". Con la forza dell'umorismo gli bastava talvolta una parola, una frase, un gesto, per vincere una battaglia senza combatterla. Come quando in un paese proclamò se stesso come socialista e come quando in un ambiente di sedicenti liberi pensatori, fattosi dare del gesso, scrisse ben vivibile su di una parete questa inaudita formula aritmetica 2 + 2 = 5. affermando cosí che egli era libero di pensare pure contro l'unanime consenso e che... anche la matematica è un'opinione.

L'umorismo che era in lui come una seconda natura, ma che manifestava anche la sua intelligenza e la sua bontà, lo rendeva capace di trovate che si rivelavano di una efficacia sorprendente. Trovandosi in un paese in occasione del Corpus Domini ed avendo saputo che gli uomini avevano chiaramente dichiarato che non avrebbero partecipato alla processione col Ss.mo Sacramento (avevano infatti paura, tanto era in loro il rispetto umano), egli mandò fuori e fece circolare un comunicato cosí redatto: "Tutti quegli uomini che hanno paura di intervenire alla processione sono pregati di restarsene a casa". Potete intuire l'effetto: il giorno seguente tutti intervennero e la processione riuscí trionfale.

E forse era questo vivo senso di umorismo, oltre lo spirito di povertà e di carità, che gli consentiva talvolta di rientrare a casa in mutande per aver dato i suoi calzoni ad un povero poco vestito e che gli permetteva di percorrere, con disinvoltura le vie di Sassari seduto sul calessino trainato dal suo asinello ed avendo a fianco una giovane suora. I sassaresi, pur cosí mordaci e "cionfraiori", non solo non si scandalizzavano, non ridicolizzavano, non malignavano, ma anzi mostravano chiaramente - in una valutazione intuitiva che è congeniale alla loro indole intelligente e scanzonata - di capire e di apprezzare la bontà del Padre Manzella e si divertivano davanti alla sua semplicità. E ne fa fede questo episodio.

Un giorno, quando la città non si estendeva ancora al di là dei giardini e Padre Manzella aveva già iniziato la costruzione della Casa delle Suore del Getsemani, mentre percorreva Viale Italia non ancora asfaltato, a bordo del suo calessino e con la suora al fianco, avvenne una scena da Fioretti. Giunto davanti ad una pozzanghera l'asino s'impuntò e non volle piú andare avanti, nonostante le esortazioni e le moderate frustate del Padre Manzella. Alcuni operai che lavoravano in un vicino cantiere edile, avendolo visto in difficoltà, si avvicinarono sorridendo e poiché l'asino continuava a dar prova decisa di cocciutaggine, sollevati di peso asino, calessino e viaggiatori, li trasportarono cosí al di là della pozzanghera, e l'asino, evidentemente compiaciuto, riprese il cammino con andatura accelerata. L'asinello del Padre Manzella, nonostante queste bizze, era docile e buono e gli rendeva un servizio prezioso specialmente negli ultimi anni della vecchiaia. Quando Padre Manzella parlava di lui, lo lodava e affermava che lo avrebbe poi premiato del suo servizio, iscrivendolo all'Università.

Se Padre Manzella è considerato santo, bisognerà dire che è un santo speciale, un santo alla buona; "un santo - come disse P. Mariano nella commemorazione tenuta alla televisione alcuni anni or sono - senza pose ieratiche, un santo che ama lo scherzo, che sa lui stesso inventare la barzelletta spiritosa, un santo che ama giocare con gli uomini". Insomma uno di quei santi - direbbe Bruce Marshall - "che non lasciano mai venire la tristezza nel cuore dei cristiani, perché sono come i fiori del campo, come un messaggio di Dio agli uomini, come dei bambini che giocano". Questa sua natura lieta, questo suo umorismo sano, lo inclinava a guardare alle cose e alle persone con ottimismo. Queste doti brillavano in lui di una luce non comune.

"Dio ci ama come siamo" ha detto con finissimo intuito psicologico e, mi pare, con esatta precisione teologica, un acuto scrittore contemporaneo e Padre Manzella, senza attardarsi in analisi sociologiche e in recriminazioni moralistiche sul come dovrebbero essere gli uomini, prende la gente cosí com'è: "Cosí com'è, con tutti i suoi difetti, le sue miserie, le sue superstizioni, ma anche con tutti i tesori di bene che racchiude nel suo cuore". Cosí ama tutti, rispettando in tutti la personalità, la libertà, la dignità, ed avendo per tutti bontà e comprensione, perdono e amore.

È una metodologia questa, che il Concilio ha sanzionato e che Padre Manzella ha realizzato precorrendo i tempi; una metodologia che si è dimostrata in lui di una grande efficacia anche perché era preceduta e seguita da una ricchezza interiore non comune, da una vita spirituale che era conseguenza della sua fede in Dio e dell'azione di Dio sulle anime.

 

"Mi chiamano santo ormai sono impegnato a diventarlo"

"Padre Manzella - ha scritto un vescovo sardo - fu l'uomo della fede: fede ardente, fede attiva, fede granitica". "Mi devo far santo - diceva - e lo voglio diventare" ed aggiungeva: "Mi chiamano santo; ormai sono impegnato a diventarlo, mi sono impegnato col Signore e con la Madonna, non posso piú ritornare indietro... Prima di consigliare o di imporre l'esercizio di una virtú, io mi sforzo di praticarla fino a sperimentarne tutte le difficoltà". Per questo motivo era "condiscendente col prossimo e rigidamente severo con se stesso". "Quando uno vuole sinceramente e decisamente - diceva - con l'aiuto di Dio può diventare santo e grande santo". Perciò, nonostante tutta la sua attività, egli dava sempre il primato alla preghiera.

Padre Manzella - io lo posso testimoniare - pregava molto, pregava a lungo di giorno e soprattutto di notte. lo penso che questo continuo e prolungato contatto col Signore fosse, in senso assoluto, il segreto dell'efficacia del suo ministero tra gli uomini.

 

La preghiera di notte

Un ricordo è rimasto profondamente impresso nella mia memoria. Ero ancora studente ed una notte, per una circostanza insolita, rientrai in Seminario che erano circa le due dopo la mezzanotte. Prima di andare a letto volli fare una visita al Signore e mi recai in cappella. Quale fu la mia sorpresa quando vidi Padre Manzella in ginocchio, in preghiera, concentrato nella viva tensione di un rapporto intercorrente fra sé e l'Eucaristia, ad occhi aperti ma con l'abbandono di chi non si sente osservato. La tensione ascetica era tale che, credo, non si accorse che qualcuno era entrato e lo osservava. Ne riportai una impressione profonda e duratura e nei momenti in cui il problema della scelta dello stato e della vocazione affiorava al mio spirito con particolare vivezza, il pensiero ricorreva a quella visione notturna, a quella preghiera intensa, a quel rapimento quasi estatico, che mi aveva indicato i vertici cui può arrivare un uomo quando si consacra totalmente a Dio.

Esiste infatti in ciascuno di noi una vita segreta, di cui qualche volta ci rendiamo conto con una specie di stordimento. Per me, quando feci quella scoperta, quando contemplai quella insolita preghiera fu come avvertire una disparità di livello; ed ha rivelarla fu proprio Padre Manzella. Ma nello stesso tempo io sentivo che avevo colto in quella visione, l'essenza della sua persona, di una persona che viveva in continua e intima unione con l'Assoluto, di una persona la quale - per dirla con un autore contemporaneo - "guardava Dio senza chiudere gli occhi". Questa intensa vita interiore, questo intimo contatto col Signore, che forse ha conosciuto anche l'esperienza mistica, lo ridimensionava; gli dava cioè il senso dei propri limiti, ma nello stesso tempo gli rivelava il senso della grandezza e della potenza di Dio che si serve spesso degli uomini meno dotati per operare le sue meraviglie.

"A Dio tutto è possibile" rispondeva quando gli attribuivano la paternità di qualche fatto straordinario o, come usa dire la gente, miracoloso. "E Dio - aggiungeva - si può servire anche di un povero diavolo come Manzella". Torna alla mente la risposta illuminante del futuro Curato d'Ars al suo Vescovo il quale non voleva ordinarlo sacerdote per il limitato ingegno e per la insufficiente preparazione culturale. Alla umile e rispettosa insistenza del postulante il Vescovo, seccato, aveva avuto l'imprudenza e la indelicatezza di ribattere: "Che cosa ne faccio io di un asino come voi?". E il giovane aspirante al sacerdozio, il futuro Curato d'Ars, gli aveva dato una risposta che era stata certamente suggerita dallo Spirito: "Monsignore - aveva detto - se Sansone con una mascella d'asino ha potuto sterminare un esercito di Filistei, che cosa non farà mai un asino nelle mani di Dio!".

 

Il prete non s'appartiene

Padre Manzella che, per essere entrato adulto in Seminario, aveva avuto non piccole difficoltà ad imparare il latino e la teologia, era nella identica posizione spirituale e perciò attribuiva sempre alla bontà e alla onnipotenza di Dio i suoi successi apostolici, cosí spesso arricchiti da fatti straordinari e prodigiosi. E inoltre, quando la sua parola toccava i cuori, quando era capace di suscitare negli indifferenti misteriose vibrazioni spirituali, quando alla disperazione riusciva a sostituire le certezze dello spirito, egli attribuiva questi fatti meravigliosi a quella che un poeta inglese chiama "la materna atmosfera che avvolge il mondo" e cioè la protezione della Madonna. Aveva per la Madonna una devozione profonda, semplice, infantile al punto che nelle sue continue peregrinazioni "gli poteva mancare - osserva un suo biografo - il fazzoletto da naso ma non la medaglia miracolosa" che egli distribuiva a tutti, grandi e piccoli, semplici e dotti.

La fede, l'umiltà, la pietà lo rendevano ininterrottamente disponibile a Dio e agli uomini. Disponibilità come atteggiamento di fondo; non saprei se tale atteggiamento fosse piú rilevante nella preghiera o nell'esercizio della carità; cioè piú verso Dio o piú verso gli uomini. Ma credo si possa affermare che la sua spiritualità era una cosa sola col senso religioso del suo servizio al prossimo e ne costituiva la piú autentica e invisibile dimensione. Egli aveva il privilegio e la gioia di poter dire con S. Paolo: "Mihi vivere Christus est" e di aggiungere "Omnia omnibus factus". Padre Manzella era veramente l'uomo di tutti e se è vero, come ha scritto un vescovo americano molto noto per i suoi discorsi alla televisione, oltre che per i suoi libri, Mons. Fulton Sheen, che "il prete non s'appartiene", è altrettanto vero che Padre Manzella ha sempre vissuto come se appartenesse non a se stesso ma agli altri, soprattutto ai poveri, ai lontani, ai sofferenti.

"Per darmi a tutti - diceva - finisco per non accontentare nessuno"; "le persone ricche, belle, felici, mi lasciano indifferente; per i poveri, i vecchi, gli ammalati, sento una vera passione". Egli era profondamente convinto che l'uomo si realizza pienamente solo nella carità, nell'amore. "L'uomo onesto - diceva - non fa nulla; la gente quasi non si accorge di lui. L'uomo buono fa poco: egli non riesce a smuovere il prossimo dai suoi affari e dai suoi egoismi. Solo l'uomo che ama, riesce a trascinare gli altri uomini".

 

Lombardo e sardo

"Padre Manzella - ha scritto Remo Branca - era un uomo che usava le parole solo per realizzare i fatti, che amava gli uomini per servire meglio Dio"; "Egli fu - aggiungeva - un difensore dell'anima cristiana dell'Isola. Sentiva e applicava la sola rivoluzione che sia utile a tutta la società; quella per cui Cristo, dopo aver operato tutta la vita a contatto dei sofferenti e dei peccatori, versò il suo sangue prezioso. La carità difende i popoli, la carità risparmia le sofferenze, la carità crea il mondo della gioia. Manzella e tutti coloro che lo hanno seguito e lo seguono ancora alla ricerca del dolore perché diventi espiazione, fraternità, amicizia, gratitudine, amore, hanno dato all'Isola dei sardi una difesa. È la sola arma nella quale noi abbiamo fiducia: la carità. Abbiamo visto che la vittoria delle armi non esiste, che la violenza non risolve i problemi, né fa camminare l'uomo sulla via della pace".

lo credo che si possa affermare che nessuno piú di Padre Manzella ha amato la Sardegna; nessuno come lui ha saputo penetrare nel cuore dei sardi; nessuno come lui ha capito l'anima di questa nostra isola abbandonata e sfortunata. Perciò, non si è accontentato di predicare il Vangelo ma, da buon lombardo, ha cercato di fare concretamente qualche cosa anche nel campo sociale, compiendo - come tante altre volte la Chiesa ha dovuto fare nel corso della sua lunga storia - "un'azione di supplenza" nei confronti del potere civile. "Introdurre in Sardegna - come egli scriveva all'inizio del '900 - telai e macchine filatrici, propagare la piccola industria e farne un cespite di rendita per i suoi abitanti", significa presagire il futuro con lungimiranza, e lo rende uno dei precursori della rinascita dell'isola.

Tra i fini che si proponeva nella fondazione delle Suore del Getsemani, non vi era soltanto quello di insegnare il catechismo nella Nurra, allora lontana e abbandonata, ma veramente, anche quello di operare "affinché - sono sue parole - la piccola industria, propagata nei paesi dell'Isola, dia un nuovo benessere alle nostre popolazioni. Allora le donne sarde non sapranno soltanto fare "sas fainas de domo" (cioè le faccende domestiche) ma eserciteranno un utile e proficuo mestiere e daranno il loro contributo al mantenimento della casa". Ben a ragione fu scritto che Padre Manzella era "lombardo di nascita e sardo di cuore". Ricco di iniziative. con una intelligenza aperta, vivace e genialmente versatile, non restava mai sospeso al desiderio, ma le realizzava rapidamente con mezzi semplici e praticissimi.

 

Suo "piano" di rinascita

È rimasto sempre fedele a quella che Vincenzo de' Paoli chiamava "la petite méthode"; cioè un metodo semplice fatto di bontà e di dolcezza, di generosità e di carità. Un metodo che applicato alle molteplici iniziative del Padre Manzella, non solo religiose ma anche sociali, apparve ad alcuni osservatori esigenti, tra cui qualche confratello, inadeguato e superficiale, per cui non gli venne risparmiata l'accusa di improvvisazione e di eclettismo. Ma a me pare che si possa applicare all'attività sacerdotale di Padre Manzella, il giudizio che Salvator Ruju esprime sull'attività letteraria di Enrico Costa: "Un eclettismo di buon gusto che era espressione di equilibrio e di saggezza". Il suo continuo camminare attraverso tutta l'Isola, il suo parlare, il suo beneficare, il suo radunare i fedeli con la celebre trombetta, lo resero, lentamente ma irresistibilmente, il personaggio piú popolare della Sardegna nei primi decenni del 1900. "Era - ha scritto un suo biografo - l'uomo che si attendeva, la persona cara di cui si desidera la visita, il sorriso, il dono, la parola buona e cioè il santo".

 

 Ritratto di P. Manzella

Ritratto di P. Manzella

 

 

L'ultima Messa

Questa vita meravigliosa fu bruscamente stroncata circa dopo 40 anni di missione nella nostra Isola. Fu colto da malore durante la celebrazione della S. Messa che dovette interrompere. Noi amiamo pensare che quella Messa duri ancora, che ancora Padre Manzella offra Cristo sull'altare per noi; ch'egli si offra ancora a Dio per noi, per la Sardegna, in questo momento in cui avverte piú chiaramente il bisogno di un intervento divino nelle drammatiche vicende della sua dolorosa storia. Noi amiamo pensare ch'egli continui a benedire, a proteggere la nostra Isola della quale aveva auspicato la rinascita sociale e religiosa.

Noi amiamo pensare che l'avvenire della Sardegna sia, anche per merito suo, come egli lo preparava e lo desiderava: un avvenire di progresso, di civiltà, di fede. Gli anni passano, la sua morte si allontana nel tempo, ma la sua figura, per noi che lo abbiamo conosciuto e amato, è sempre viva, è sempre inesprimibilmente presente al nostro spirito. Come potremmo dimenticare i suoi occhi, il suo sguardo, la sua fisionomia sempre accogliente e paterna? Come potremmo, soprattutto, dimenticare le sue parole che avevano inconfondibili accenti di bontà e di fede; i suoi insegnamenti che dischiudevano orizzonti sconfinati e ideali sublimi; i suoi esempi che elevavano ad una vita pura totalmente consacrata alla gloria di Dio e al servizio degli uomini?

Il suo ricordo resta in noi incancellabile e vivo, ma - se non vogliamo tradire la consegna che ci ha lasciato - esso si deve tradurre in bontà, in virtú, in apostolato. Non c'è bisogno, purtroppo, di approfonditi studi di sociologia religiosa per vedere come la nostra Isola vada progressivamente perdendo il "senso di Dio", come in molti dei suoi abitanti vada paurosamente impoverendosi il senso religioso della vita. Noi sentiamo che la Sardegna, oggi piú che mai, ha bisogno di missionari, di apostoli che sappiano incarnare, come Padre Manzella, gli autentici valori cristiani, che sappiano riportare i sardi alle virtú native, che siano capaci di ridare ai nostri conterranei la fierezza di sentirsi uomini e la gioia di dirsi cristiani.

A noi resta perciò il compito di continuare la sua missione, facendo tesoro dell'esempio di fede e di umiltà, di serenità e di carità che ci ha lasciato in vita e in morte. Quando sul letto di morte, ormai quasi esanime, attendeva con gioiosa serenità il definitivo e vagheggiato incontro col Signore, ad un confratello, che sommessamente gli chiedeva come stesse, rispose, con un filo di voce ed abbozzando un sorriso: "Sono l'uomo piú felice del mondo".

Questo è il modo migliore di commemorare Padre Manzella: questo è il modo migliore di ricordarlo e di farlo conoscere alle nuove generazioni; questo è il modo migliore di continuare ad essergli fedeli, ad essergli amici.

 

 

 

 

Cfr. SELIS ENEA F., Padre Manzella visto da vicino, Tip. Moderna, Sassari 1982, 9-30.