Israel Shamir è un importante e controverso pensatore israeliano di origine russa, uno scrittore e un traduttore che vive a Jaffa (Israele). Shamir, con i suoi scritti, regala candore, profonde intuizioni e umanesimo ispiratore. La sua posizione di principio, in favore del diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi e della ricostruzione dei loro villaggi distrutti ha causato il suo licenziamento dal giornale israeliano “progressista” Ha’aretz. In seguito agli attacchi israeliani contro i palestinesi nel gennaio 2001, Shamir si è dedicato alla letteratura politica in inglese. Per l’intellettuale Carlo Marx, la questione ebraica era un “soggetto irreale”. Marx era stato battezzato nella religione luterana e aveva sposato una non-ebrea. Shamir ha rinunciato al giudaismo e abbracciato il cristianesimo. Egli è un forte sostenitore della soluzione “un uomo, un voto, uno Stato” con l’obiettivo di un unico Stato Israele-Palestina.

Ho intervistato questo irremovibile scrittore indipendente.

 

Kim Petersen

 

 

 

 

 

Kim Petersen: Di recente hai scritto che lo storico David Irving, che i media dominanti dicono essere stato condannato per negazione dell’Olocausto, è stato invece condannato per la negazione della “superiorità ebraica”. Potresti spiegare meglio questa tua posizione?

 

Israel Shamir: Ho scritto a lungo su questo argomento in “For Whom the Bell Tolls” (Per chi suona la campana, N.d.T.) e in “The Vampire Killers” (Gli uccisori di vampiri, N.d.T.). Nessun uomo libero può essere d’accordo con l’idea che la morte (e la vita) degli ebrei è piú importante di quella di un goy (un non-ebreo, N.d.T.). Eppure il revisionismo dell’olocausto è l’unica proibizione che la nostra società impone per legge.

Gli armeni sono diventati invidiosi di questo status superiore degli ebrei, e in realtà sono riusciti, in Francia almeno, a mettere la loro tragedia del 1915 sotto la protezione di una legge. Il risultato è stato tragicomico. Essi hanno costretto un importante storico ebreo (e un guerrafondaio di primo livello), Bernard Lewis, ad affrontare un processo, a Parigi, per negazione della loro tragedia, processo in cui è stato condannato, proprio come David Irving. Ma David Irving ha avuto tre anni di carcere e sul suo nome è stato gettato “discredito” (leggere l’intervista da lui rilasciata al The Observer), mentre Bernard Lewis era stato multato di 1 (un) franco francese, ed è libero di andare dove vuole, e il suo nome appare in bella mostra in varie petizioni. Il suo nome non è stato infangato, ma quello degli armeni si! Evidentemente il sangue degli ebrei è piú rosso di quello degli armeni, per non far menzioni di specie ancor meno importanti. Ho citato un articolo di uno storico ebreo americano che ha negato il genocidio dei nativi americani. Nemmeno il suo nome è stato infangato. La fustigatrice di Irving, Debora Lipstadt, da parte sua, ha negato l’olocausto dei morti inceneriti dalle bombe incendiarie di Dresda, e nemmeno il suo nome è stato infangato. Che tu lo voglia o no Kim: il concetto di olocausto è un concetto di superiorità ebraica.

Ciò ha un importante significato religioso: il cristianesimo è la negazione dell’idea di superiorità ebraica. Chiunque crede o accetta l’idea di superiorità ebraica, nega Cristo perché Cristo ci ha resi uguali. Il regista ebreo francese Claude Lanzman, il regista di “Shoah”, una volta ha detto: se credi nell’olocausto, non puoi credere in Cristo. Sono pronto ad accettare la sua sfida: io credo in Cristo. Possiamo riscrivere la frase di Lanzman: la credenza che la morte degli ebrei ha uno speciale significato storico è segno di apostasia. Quindi la fede nell’olocausto cozza contro la Chiesa: noi crediamo che Cristo ha sofferto per noi ed è risuscitato. I fedeli dell’olocausto credono che il popolo ebraico ha sofferto e poi è tornato creando lo Stato ebraico. In questo scontro, gli ebrei vincono: contrariamente a quanto succede con la negazione dell’olocausto, si può negare la crocifissione e la resurrezione e la tua carriera non ne soffrirà.

La questione della negazione dell’olocausto è una questione di apostasia: la nostra società resisterà sulla roccia eretta da Cristo, o adorerà lo Stato ebraico? Questa è un’importante scoperta riguardante l’eterna religiosità dello spirito umano: il tentativo di creare uno Stato secolare non è riuscito. Dopo un’illusoria breve interruzione, gli dei sono tornati.

 

Kim Petersen: È corretto usare termini cosí forti come “goy”?

 

Israel Shamir: Per la verità, non so se questo sia un termine forte. Ho tradotto alcuni libri ebraici, da Samuell Yosef Agnon, l’unico premio Nobel di lingua ebraica, al Libro della Stirpe del rabbino Zacuto, un pensatore giudeo-iberico del 15° secolo, la mia ultima traduzione in inglese. Questi scrittori usano il termine ‘goy’ e cosí fanno pure i giornali israeliani. Questo termine ha un significato: indica un non-ebreo come lo vede un ebreo. Se ritenete che non si tratti di un termine elogiativo, allora vuol dire che secondo voi gli ebrei considerano un ‘goy’ con disgusto. Forse è cosí. Ma noi dovremmo affrontare i problemi, non le parole. Aver a che fare con le parole è piú facile, ma non porta a soluzioni. Se si usasse la parole ‘gentile’ invece di ‘goy’, cambierebbe l’atteggiamento ebraico verso i non ebrei? Prendersela con le parole è anche un segno di debolezza. Quando (nel 19° secolo) gli ebrei si sentivano deboli, preferivano farsi chiamare israeliti. Oggi non hanno problemi ad essere chiamati “ebrei”.

 

Kim Petersen: Tu hai descritto gli Stati Uniti come uno “Stato ebraico piú grande”. Tu hai anche apprezzato Jeffrey Blankfort perché ha compiuto “un ulteriore passo in avanti” nel rigettare le posizioni di Noam Chomsky e di altri. L’influenza della “Lobby ebraica” è veramente dominante sull’imperialismo delle grandi compagnie americane?

 

Israel Shamir: Su questo argomento ho scritto in “A Yiddishe Medina”. L’imperialismo delle grandi compagnie americane non è uno spirito privo di corpo; è costituito dalla somma dei desideri e delle azioni delle elites americane. E le elites americane sono ebraiche, in gran parte, ed hanno fatto propri i valori e le idee ebraiche, ad un livello perfino piú alto. Alcuni anni fa, uno scrittore ebreo americano, Philip Weiss ha scritto nel New York Observer: “Non pretendo di sapere quanta parte della classe dirigente sia ebraica. Il venti per cento, il cinquanta per cento? Penso sia il 30 per cento”. Sono ebrei per lo meno il 30% degli studenti di Harvard, secondo quanto riporta The Forward, un giornale ebreo americano. La Hillel Society pubblica le seguenti cifre: Numero totale di studenti universitari: 6658; numero di studenti universitari ebrei: 2000 (cifra approssimativa); Numero totale di laureati: 10351; numero totale di laureati ebrei: 2500 (cifra approssimativa). Quindi è vero che le elites americane sono, in gran parte ebraiche, nel senso ordinario della parola. Per quanto riguarda lo spirito, Karl Marx parlava di uno “spirito ebraico” degli Yankee. Un marxista meno noto, Sombart, ha scritto molto su questo punto. Per cui, a mio parere, è un errore parlare di “Lobby ebraica” - potremmo invece parlare di un’acquisizione di controllo, di una sostituzione delle vecchie elites WASP (White Anglo-Saxon Protestant). Gli ebrei rappresentano circa il 3% della popolazione degli Stati Uniti. I britannici presero il controllo dell’India con una percentuale di molto inferiore; cosí ha fatto anche l’attuale minoranza dominante in Siria. I normanni hanno dominato per secoli la Gran Bretagna con una percentuale molto inferiore al 3%. L’intera nobiltà russa al tempo degli Zar era costituita dal 2-3% della popolazione, mentre le caste dirigenti delle società Hindu rappresentano, nella migliore delle ipotesi circa il 5%. Oggi, gli ebrei si sono ben integrati nell’”imperialismo americano delle grandi compagnie” e a piú livelli; essi non devono combatterlo, lo usano. La “lobby ebraica” è un meccanismo supplementare; essa consiste nello zoccolo duro degli ebrei nazionalisti. Il problema è che il resto, la parte ebraica della classe dominante americana, non appartenente direttamente alla Lobby, consiste in gran parte, come ho avuto modo di affermare, di ebrei non particolarmente nazionalisti. Essi sono pronti al compromesso, e questo compromesso è il terreno comune di un nazionalismo ebraico moderato.

 

Kim Petersen: Riguardo all’invasione dell’Iraq, tu hai affermato: “Ci sono troppe coincidenze perché la si definisca una guerra puramente americana”. Fino a che punto vedi la mano sionista dietro l’invasione e l’occupazione?

 

Israel Shamir: Si, in parte sono d’accordo con i due professori delle Università di Harvard e Chicago (M&W, N.d.T.), la conquista dell’Iraq e le attuali minacce all’Iran hanno per causa proprio i sionisti all’interno dell’Amministrazione Bush. La vecchia storiella degli interessi petroliferi è stata smentita dalla realtà: oggi il petrolio costa di piú, le compagnie petrolifere lasciano l’Iraq, nessuno dei loro dirigenti ha sostenuto la guerra. Probabilmente nessuno dei tuoi lettori non si sogna neppure di pensare alle Armi di distruzione di Massa degli iracheni o alla stupida favola dell’”esportazione della democrazia” nel mondo arabo. Non rimane che concludere che la prima e piú ovvia spiegazione è proprio la trama sionista.

Ma la guerra all’Iraq, in quanto parte della "Guerra al Terrore", ha un secondo aspetto: si tratta di un totalitarismo ancora piú spaventoso, la spinta verso la creazione di un’oligarchia fondata su caste, dal pugno di ferro, secondo le parole di Jack London. Il suo strumento principale è la paura; il suo scopo primario lo smantellamento delle libertà civili e della coesione naturale della società. Senza la “Guerra al Terrore”, i governanti degli Stati Uniti non potrebbero leggere la nostra posta elettronica, ascoltare le nostre conversazioni, accumulare nelle loro banche dati ogni piú piccolo elemento di informazione sulle nostre vite. Questo totalitarismo è stato preannunciato da George Orwell, un avido lettore dei Protocolli, è fu osannato da Leo Strauss, la luce che oggi guida i Neo-conservatori. Strauss sosteneva l’idea di una società governata dal potere dittatoriale delle elites; seguace di Hobbes, non aveva nessuna fiducia nella gente comune. Sebbene egli avesse elaborato le sue teorie prima della seconda guerra mondiale, dopo la guerra era solito far riferimento all’Olocausto come un fenomeno che poteva riprodursi a meno che la società non venisse controllata strettamente. Ho definito i sostenitori di questo paradigma col termine di “mammoniti”, o adoratori di mammona. La guerra all’Iraq e la Guerra al Terrore in generale, sono un prodotto dell’unione dei sionisti e dei mammoniti, gruppi che spesso coincidono, come nel caso dei principali Neo-conservatori.

Ecco perché la nostra lotta deve essere diretta contro i sionisti e i mammoniti; non si tratta solo di una lodevole campagna in sostegno ai popoli del Medio Oriente, ma prima di ogni altra cosa, essa è la battaglia decisiva per la preservazione della democrazia e della libertà negli Stati uniti e in Europa, per cambiare in meglio il futuro dei nostri figli, per la creazione di una società piú egualitaria e spirituale, contro l’era oscura verso cui ci stanno portando.

 

Kim Petersen: Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad si è dovuto sorbire un sacco di critiche dai media occidentali per aver ripreso la frase del defunto Ayatollah Ruhollah Khomeini che diceva che Israele deve essere cancellato dalla carta geografica. Evidentemente, a giudicare dal silenzio dei media occidentali sull’altro aspetto della questione, per essi non è un problema che Israele abbia cancellato dalla mappa la Palestina. Lo Stato di Israele è veramente una entità legittima?

 

Israel Shamir: No, non lo è. Non possiamo considerare legittimo uno Stato che non dà diritti ai suoi abitanti e che ufficialmente appartiene agli ebrei del mondo. È nel nostro interesse conquistare la piena indipendenza dagli ebrei e spostare l’intera questione dei diritti e delle responsabilità dall’ebraismo mondiale alla popolazione del paese. La sovranità dovrebbe essere nostra, della gente di Palestina/Israele, non del popolo ebraico, la componente mondiale extraterritoriale. Faccio appello ai miei compatrioti perché rinuncino alla loro “ebraicità” affinché divengano palestinesi d’adozione, fratelli e sorelle della gente natía. Spero che alla fine ciò succeda; cosí ci integreremo e dimenticheremo il collegamento con l’oltremare. Quello che invece stiamo facendo oggi è seguire il paradigma coloniale e cacciamo da questa terra i nativi in nome della nostra “ebraicità”. Dovremmo seguire l’esempio del Messico, in cui gli immigranti dalla Spagna e dall’Italia formano ora una nazione con i discendenti di Montezuma.

 

Kim Petersen: Cosa significa per te l’elezione di Hamas? Dovrebbe Hamas riconoscere Israele?

 

Israel Shamir: Ho scritto un articolo sui risultati di quest’elezione. I palestinesi hanno rigettato il governo di Fatah perché esso ha fatto troppe concessioni a Israele senza averne nulla in cambio. Hamas non deve riconoscere lo Stato di Israele, per lo meno fino a quando i governanti di questo Stato non riconoscono l’indipendenza palestinese, ritirano le loro forze armate e la smettono di interferire con il movimento dei palestinesi in Palestina e fuori di essa. Questa è la reciprocità. Posso immaginare una soluzione ancora migliore: Hamas può far appello a che ci sia completa integrazione di tutta la Palestina dal fiume Giordano al Mare, con elezioni sulla base del principio una persona, un voto. Ma finché ciò non accadrà, Hamas dovrebbe seguire il principio di reciprocità: riconoscimento reciproco, inter alia.

 

Kim Petersen: Tu sei un ex-ebreo, uno che si è convertito al cristianesimo. Perché lo hai fatto? Tu hai scritto che ci sono “molti ex-ebrei”. Lo hanno fatto per la stessa tua ragione? Pensi che una crescente tendenza all’apostasia del giudaismo sarebbe un mezzo efficace per portare giustizia ai palestinesi?

 

Israel Shamir: Il cristianesimo e il giudaismo sono religioni strettamente collegate. Un cristiano, Karl Marx una volta ha detto: il cristianesimo è giudaismo sublime, mentre il giudaismo è sordido cristianesimo. Un vero cristiano sa bene che un goy non è peggiore di un ebreo; quindi l’idea dell’esclusività ebraica non è accettabile per un cristiano. Nel nostro paese ci sono molti cristiani ortodossi russi (alcuni di origine ebraica e alcuni altri no), ed essi pregano e celebrano le festività insieme ai nostri fratelli e sorelle cristiani ortodossi palestinesi. Io sono stato battezzato dal palestinese Arcivescovo Teodosio Attala Hanna, e ciò mi ha aiutato a risolvere il mio problema di identità. La cosa importante è però di non creare un’organizzazione di ebrei “cristiani” separata, perché una tale scelta non porta da nessuna parte. Io sono molto preoccupato che ci siano chiese di “ebrei cristiani” devotamente sioniste. In breve, sí, il battesimo è una soluzione, ma solo a condizione che esso si accompagni al rigetto dell’”ebraicità”. Se il battesimo è solo un’aggiunta all’”ebraicità”, esso si svuota, e non porta alcun beneficio.

 

 

Kim Petersen, co-direttore di Dissident Voice, vive in quella che tradizionalmente si chiamava Mi’kmaq e che poi con termine coloniale è stata chiamata Nova Scotia, Canada. 

Gli scritti di Israel Shamir si possono leggere sul suo sito http://www.israelshamir.net/ . I suoi saggi sono raccolti in tre libri: The Flowers of Galilee, Our Lady of Sorrow, e Pardes.

 

 

 

Regali per i palestinesi

 

 

 

 

 

Interview with Israel Shamir

Kim Petersen

May 1, 2006

 

 

 

Israel Shamir is a prominent and controversial Russian-Israeli thinker, writer, and translator who lives in Jaffa. Shamir brings to his political writing a refreshing candor, sharp insight, and inspiring humanity. His principled stand supporting the Palestinian refugees’ right of return and the rebuilding of their destroyed villages led to his firing from the “progressive” Israeli newspaper Haaretz. Following Israeli attacks on Palestinians in January 2001, Shamir became dedicated to political writings in English. For the intellectual Karl Marx, the Jewish question was an “unreal subject”. Marx was baptized a Lutheran and married to a gentile. Shamir has renounced Judaism and embraced Christianity. He is a strong proponent of the “One Man, One Vote, One State” solution for a united Israel-Palestine.

I interviewed the unflinching maverick writer Israel Shamir.

 

Kim Petersen

 

 

 

 

Kim Petersen: You wrote recently that the historian David Irving, who the corporate media reports as being sentenced for holocaust denial, was sentenced for denial of “Jewish superiority.” Could you elaborate on this and what holocaust denial means for you?

 

Israel Shamir: I wrote about it, in “For Whom The Bell Tolls”, and in the “Vampire Killers”, at length. No free man can agree with the proposition that Jewish death (and life) is more important than that of a goy. But the ban of Holocaust revisionism is the only legally enforced prohibition in our society. The Armenians were envious of this elevated status of Jews, and actually succeeded to protect their tragedy of 1915 by a similar law in France. The result was tragicomic. They brought an important Jewish historian (and warmonger of first degree) Bernard Lewis to the court of Paris, and he was found guilty of denying their tragedy, just like David Irving. But David Irving has got three years in jail, and now his name is always preceded with the title “discredited” (see an interview with him in the Observer), while Bernard Lewis was fined one franc and he still appears everywhere, and his name graces various petitions. He was not discredited, but the Armenians were. Apparently, Jewish blood is redder than Armenian, not to mention lesser species. I quoted an article by a Jewish American historian denying the genocide of the native Americans. He was not discredited, either. The scourge of Irving, Debora Lipstadt, denied the fiery holocaust of Dresden, and was not discredited, either. Face it, Kim: the very concept of Holocaust is a concept of Jewish superiority.

 

This has an important religious meaning: Christianity is the denial of Jewish superiority. Whoever believes or accepts Jewish superiority, denies Christ for He made us equal. The French Jewish filmmaker Claude Lanzman, the creator of “Shoah,” said: if you believe in holocaust, you can’t believe in Christ. I am ready to take his challenge: I believe in Christ. We can rephrase the words of Lanzman: belief in a special historical meaning of death of Jews is a sign of apostasy. Indeed, the creed of holocaust competes with the Church: we believe that Christ suffered for us and came back to life. The Holocaust believers believe that the Jewish people suffered and came back by creating the Jewish State. In this competition, the Jews win: as opposed to Holocaust, you can deny Crucifixion and Resurrection and your career won’t suffer a bit.

 

Thus the question of Holocaust denial is the question of apostasy: will our society stand on the rock planted by Christ, or will it worship the Jewish State. This is an important discovery of eternal religiosity of human spirit: the attempt to create a secular society did not work out. After an illusionary short break, the gods came back.

 

Kim Petersen: Is it appropriate to use such loaded terms as “goy”?

 

Israel Shamir: Well, I am not aware this is a loaded term. I translated some Hebrew books, from Samuel Yosef Agnon, the only Hebrew Nobel Prize winner, to the Book of Lineage by Rabbi Zacuto, a 15th century Judaeo-Iberian sage, my most recent translation into English. They all used “goy” and so do Israeli newspapers. The word “goy” has a meaning: this is a non-Jew as seen by Jews. If you think it is not a complimentary term, you mean that in your view Jews look with distaste at a goy. Maybe. But we should deal with problems, not with words. Dealing with words is easier, but brings no relief. If we were to use ‘gentile’, would it change the Jewish attitude to one? This is also a sign of weakness. When (in 19th century) Jews felt weak, they liked to be called Israelites, or Hebrews. Now they do not mind being called “Jews”.

 

Kim Petersen: You have described the US as a “greater Jewish State”. You laud Jeffrey Blankfort as having taken “an important next step” in rejecting the views of Noam Chomsky and others. Is the influence of the “Jewish lobby” preponderant over US corporate imperialism?

 

Israel Shamir: I wrote about it in “A Yiddishe Medina”. The US corporate imperialism is not a bodiless spirit; it is the sum of desires and actions by the US elites. And the US elites are Jewish, to great extent, and they have accepted Jewish values and ideas, to even greater extent. A few years ago, an American Jewish writer Philip Weiss wrote in the New York Observer: “I don’t claim to know how Jewish the membership of the establishment is. Twenty percent, 50 percent? I’m guessing 30.” Jews compose at least 30% of Harvard students, reported The Forward, a Jewish American newspaper. The Hillel Society gives such numbers: Total Undergraduate Population: 6658; Jewish Undergraduate Population: 2000 (approx.); Total Graduate Population: 10351 Jewish Graduate Population: 2500 (approx.). Thus the US elites are Jewish to a great extent, in the ordinary meaning of the word. As for spirit, Karl Marx spoke of “Jewish spirit” of the Yankees. A less known Marxist, Sombart, wrote about it at length. Thus in my view it is a mistake to speak of “Jewish Lobby” - we may refer to a takeover, a displacement of the old WASP elites. The Jews constitute some three percent of the US population. The Brits took over India with much less percentage; so did the ruling minority in Syria. Normans ruled over Britain for centuries with less than that. All Russian nobility in the Tsar’s days was 2-3% of the population, while upper castes of Hindu societies constitute some 5% at most. Now, the Jews are well integrated in the “US corporate imperialism” on many levels, and they do not have to fight it, they use it. The Jewish Lobby is an additional mechanism, consisting of hard-core Jewish nationalists. The problem is that the rest, the non-Jewish-Lobby part of the US establishment consists, as I have said, of not-so-nationalistic Jews to great extent. They reach compromise, and this compromise is the middle ground of mild-Jewish-nationalism.

 

Kim Petersen: On the invasion of Iraq, you stated: “Too many coincidences for a purely American war.” To what extent do you see a Zionist hand behind the attack and occupation?

 

Israel Shamir: Yes, I partly agree with the Chicago-Harvard duo, the conquest of Iraq and present threat to Iran are caused by the Zionist affiliates within the Administration. The old canard of Oil Interests was debunked by reality: oil costs more, oil companies leave Iraq, none of their executives supported the war. Probably your readers do not even think of Iraqi WMD or the silly stuff of “bringing democracy” to the Arabs. Thus the Zionist plot is the first and obvious explanation.

 

But the Iraqi war, as a part of “War on Terror”, has a second leg: this is an even more scary totalitarianism, the drive to create a caste-based oligarchy of the Iron Heel, in Jack London’s terms. Fear is its important tool; dismantling of civil freedoms and of cohesive natural society is the first goal. Without War on Terror, the US rulers wouldn’t be able to read our emails, listen to our conversations, store in their data banks every bit of information about our lives. This totalitarianism was predicted by George Orwell, an avid reader of the Protocols, and it was lauded by Leo Strauss, a guiding light of Neo-Cons. Strauss endorsed a society with dictatorial powers of elites; a follower of Hobbes, he distrusted the people. Though his views were formed before the World War II, after the war he frequently referred to the Holocaust as a phenomenon that is liable to come back unless the society is firmly kept in check. I called the supporters of this paradigm by the name “Mammonites”, mammon-worshippers. The Iraqi war, and the War on Terror in general, is a joint product of Zionists and Mammonites, while these two groups often coincide, as is the case with the leading Neo-Cons.

 

That is why our struggle is with Zionists and Mammonites; this is not only a laudable campaign of support of the peoples of the Middle East, but first of all the decisive battle for preservation of democracy and freedom in the US and Europe, for a chance of better life for our children, for creation of a more egalitarian and more spiritual society, against the Dark ages were are being led to.

 

Kim Petersen: Iranian president Mahmoud Ahmadinejad has taken a lot of flak from the western media for citing the late Ayatollah Ruhollah Khomeini about wiping Israel off the map. Apparently, judging by the western media’s silence, it was okay to wipe Palestine off the map though. Is the State of Israel a legitimate entity?

 

Israel Shamir: No, it is not. We can’t consider legitimate a State that gives no rights to its inhabitants and officially belongs to World Jewry. It is in our interests to achieve full independence from the Jews, and to shift the whole lot of rights and responsibilities to the population of the country. The sovereignty should be ours, of the people of Palestine/Israel, not of the Jewish People, the extra-territorial worldwide body. I call upon my country-fellows to give up their “Jewishness” and to become adoptive Palestinians, brothers and sisters to the native folk. I hope eventually it will happen; we shall integrate and forget the overseas connection. Meanwhile we follow the colonial paradigm and exclude the natives in the name of “Jewishness.” We should follow the example of Mexico, where immigrants from Spain and Italy form one nation with the descendents of Montezuma.

 

Kim Petersen: What does the election of Hamas mean for you? Should Hamas recognize the State of Israel?

 

Israel Shamir: I wrote about the results. The Palestinians rejected the Fatah rule because they made too many concessions to Israel, and received nothing in return. Hamas should not recognise the State of Israel, at least until the Israeli rulers recognise the Palestinian independence, remove their armed forces and stop to interfere with the free traffic of Palestinians within and without Palestine. This is reciprocity. I can imagine an even better solution: Hamas may call for full integration of all Palestine from the River to the Sea, and for general elections on the basis of One Person-One Vote. But until it happens, Hamas should be guided by reciprocity principle: mutual recognition, inter alia.

 

Kim Petersen: You are an ex-Jew, a convert to Christianity - why is this? You have written of “many ex-Jews.” Is this for the same reason as you? Do you think a growing trend in Jewish apostasy would be effective in bringing about justice for Palestinians?

 

Israel Shamir: Christianity and Judaism are strongly connected religions. A Christian, Karl Marx said: Christianity is sublime Judaism, while Judaism is sordid Christianity. A real Christian knows that a goy is not worse than a Jew; so the idea of Jewish exclusivity is not acceptable to a Christian. In our country we have many Russian Orthodox Christians (some of Jewish origin, and some not), and they pray and celebrate holidays together with our Palestinian Orthodox Christian brothers and sisters. I was baptised by the Palestinian priest, Archbishop Theodosius Attalla Hanna, and it helped me to sort out the question of identity. The important point is not to create a separate Jewish “Christian” set-up, for such an arrangement defeats its purpose. Thus I am worried that there are “Jewish Christian” churches that are devoutly Zionist. In short, yes, baptism is a solution, but only in connection with rejection of Jewishness. If it is done as an addition to Jewishness, it is void, and brings no benefit.

 

 

Kim Petersen, Co-Editor of Dissident Voice, lives in the traditional Mi’kmaq homeland colonially designated Nova Scotia, Canada.

Israel Shamir writings can be read at his website. His essays are collected in three books, The Flowers of Galilee, Our Lady of Sorrow, and the Pardes.

 

 

 

 

 

Israel Shamir è nato a Novosibirsk, Siberia, nel 1947. Espulso dall’università per attività sovversiva nel 1969, emigrò “per libera scelta” in Israele e combatté nella guerra del 1973. Corrispondente in Vietnam, Cambogia, Laos e, per molti anni, in Giappone tanto da diventare uno studioso e traduttore della letteratura giapponese. Dal 1989 al 1993 è stato inviato di Ha’aretz in Russia. Al suo ritorno in Israele si è impegnato nella denuncia della politica sionista di apartheid e del genocidio strisciante che, prosegue da decenni. Con una febbrile attività letteraria e giornalistica sulla carta stampata e su Internet (http://www.israelshamir.net), attraverso le conferenze in Europa, in Egitto e negli Stati Uniti, Shamir presenta un’altra visione del conflitto israelo-palestinese.

Shamir rifiuta la soluzione dei “due stati per due popoli” perché nelle presenti circostanze sarebbe paralizzante, distruttiva e senza sbocchi. Lo fa in nome di una pace fondata su di un unico Stato, tra il Giordano e il mare, con diritti uguali per tutti i suoi abitanti, senza discriminazioni etniche o religiose. “Io non sono un amico dei palestinesi, io sono palestinese” dichiara Shamir, e lo fa in nome del ritorno dei palestinesi, dal 1948 esiliati ed espropriati delle loro terre e d’ogni diritto. Questo è reso impossibile dalla politica delle autorità ebraiche che ha importato centinaia di migliaia di rumeni, tailandesi, cinesi, africani e un milione di russi e ucraini che oggi formano la galassia di ghetti che è lo Stato d’Israele. Al contrario, i nativi palestinesi sono stati via via assiepati in altri ghetti, sempre piú ristretti, dipendenti e vulnerabili. Il perfetto “modello coloniale” per tutto il Terzo Mondo, ci ricorda Shamir: ville con piscina e roccaforti dei dominatori sui luoghi alti e, in basso, intersecati da autostrade, campi profughi per lavoratori senza diritti e senza nessun controllo sulle proprie vite e sulla propria morte. Tutto questo sotto la vigilanza del terzo esercito piú moderno del mondo.

All’apartheid politica, psicologica e culturale dello Stato d’Israele, finanziata dagli interessi statunitensi e dalla lobby ebraica (AIPAC) autodefinitasi “rappresentante mondiale del popolo ebraico”, Shamir contrappone un atteggiamento di resistenza che rivaluti la memoria storica non unilaterale, i momenti piú alti di tutte le esperienze religiose, la coscienza di appartenere ad un’unica umanità di cui occorre garantire il futuro. Per le migliaia d’ulivi sradicati dai bulldozer, dice con accenti spesso poetici Shamir, con il paesaggio della Palestina trasformato in una qualsiasi squallida periferia, tutta l’umanità è offesa e degradata. Realizzare l’utopia non è piú speranza, ma è l’unica possibilità, l’unico futuro rimasto.

 

 

 

 

 

N. B. Le immagini presenti in questa pagina non fanno parte del testo originale.