Introduzione

1. La Lettera Apostolica Alma parens di Paolo VI ha suscitato in tutti i figli della Famiglia serafica una profonda emozione di gioia e di gratitudine. Cultori fedeli del pensiero dei Maestri francescani, che si sono sempre distinti per la loro ossequente fedeltà al Magistero della Chiesa, essi si sentono indicibilmente soddisfatti nel vedere che la Cattedra della Verità riconosce autenticamente la sostanza della loro dottrina come conforme all'insegnamento ereditato dal Signore che è «via, verità e vita» (Giovanni 14, 6).

2. La gioia però e la gratitudine non sarebbero adeguate all'altissimo dono se non contenessero una fortissima spinta e un inderogabile impegno di voler continuare lo sforzo di scienza e di vita nella direzione cosí autorevolmente riconosciuta. Quindi all'altissimo documento Alma parens deve far seguito un impegno piú fervido e piú approfondito di studio e di vita francescana, un rifiorire piú splendido del pensiero e della spiritualità serafica.

3. A questo scopo la conoscenza del pensiero di Giovanni Duns Scoto assume un rilievo particolare a causa del suo intrinseco valore. Fortunatamente tale conoscenza in futuro si rende piú facile e piú sicura, man mano che vengono alla luce i volumi della monumentale edizione critica delle opere del Dottore. La Commissione che ne è incaricata, come tutti sanno, lavora già da alcuni decenni per darci una edizione rispondente alle esigenze della critica testuale moderna. E fino ad ora sono venuti alla luce otto volumi, comprendenti l'intero primo libro dell'Ordinatio (voll. I-VI) e la Lectura al primo libro delle Sentenze (voll. XVI-XVII). (In seguito sono usciti: il VII vol. dell'Ordinatio, che contiene le prime tre distinzioni del II libro delle Sentenze; e il XVIII vol. della Lectura che contiene le prime sei distinzioni del II libro delle Sentenze).

 4. Si coglie volentieri la presente occasione per esprimere tutta la gratitudine e la riconoscenza dell'Ordine per quanti hanno lavorato e continua no a lavorare, attraverso non comuni difficoltà e con immenso sudore, in questa monumentale edizione, che si è imposta all'ammirazione del mondo scientifico.

5. Tuttavia anche se la Lettera Apostolica Alma parens e la serie dei volumi già apparsi della edizione critica possono darci l'illusione di una nuova primavera degli studi scotisti, non è possibile non avvertire che nella nostra età e stata messa in discussione quella posizione di privilegio che il pensiero medioevale aveva tenuto fino a questi ultimi tempi: tanto che la Scolastica non occupa piú forse una posizione di pacifico possesso nella indagine della verità cattolica.

6. Un tale clima quindi non sembra propizio per la celebrazioni del centenario di Giovanni Duns Scoto. Qualcuno potrebbe pensare che la cosa migliore sarebbe stata quella di passarlo sotto silenzio.

7. Però diversa è stata l'opinione del Sommo Pontefice, come appare dalla preziosa Lettera Alma parens. E ciò è di incitamento a superare ogni esitazione e ad intraprendere con fiducia il lavoro.

8. Si ha infatti la profonda convinzione che i moderni progressi delle scienze, l'attuale problematica filosofica e i molteplici sviluppi della dottrina teologica non eliminano il valore del pensiero scolastico nel campo filosofico e teologico, bensí postulano una riflessione piú sensibile sulla sua portata reale; riflessione che deve condurre a discernere meglio ciò che del passato rimane vivo e deve essere conservato, e ciò che è effetto delle condizioni medioevali e che di fatto è superato.

9. Si è convinti poi, tanto per limitare l'affermazione al presente argomento, che valori perenni sono contenuti nell'opera del Dottore Sottile e che trascurarli sarebbe come un lasciare inutilizzata una parte importante del tesoro che l'Ordine francescano ha da effondere oggi nella Chiesa.

10. Ecco perché nel tessere il ricordo di Duns Scoto quello che maggiormente interessa non è tanto la commemorazione puramente storica, quanto piuttosto il riconoscimento e lo svelamento di quegli elementi tuttora validi, che possono incidere nell'attuale travaglio del pensiero una propria impronta orientatrice e chiarificatrice intorno a molti problemi.

 11. Siccome il tentativo di raccogliere le dottrine caratteristiche e vive del Dottore Sottile sarebbe, come appare evidente, una impresa troppo lunga, per non dire impossibile, in questa sede si sceglie la via piú facile e breve di fermare la comune riflessione su un solo punto, quasi un esempio di come il pensiero del Dottore possa inserirsi vitalmente in certa problematica moderna. Servono da spunto le parole del Sommo Pontefice nella citata Lettera: «Lo spirito e l'ideale di S. Francesco d'Assisi si celano e fervono nell'opera di Giovanni Duns Scoto, dove fa alitare lo spirito serafico del Patriarca Assisiate, subordinando al sapere il ben vivere» (n. 9).

 

Un problema di oggi

12. Tra le molteplici correnti che si rilevano oggi nella panoramica della teologia cattolica, sembra avere un particolare rilievo la tendenza contraria alla ricerca speculativa e in particolare ad ogni forma di sottigliezza.

 13. Ciò proviene forse da una esplosione di preoccupazioni pastorali. Anche nella recente celebrazione del Concilio ecumenico Vaticano II simili preoccupazioni si sono manifestate in modo fortissimo e hanno occupato un posto dominante nella riflessione e nelle conclusioni del medesimo.

14. Infatti il nostro tempo ha rivelato immensi problemi di ordine pastorale: ed essi non possono non attanagliare i responsabili del messaggio evangelico e della vita cristiana. Per cui si diffonde in molti ambienti questa convinzione: ciò che non può essere applicato speditamente nella cura delle anime, deve essere rigettato senz'altro come inutile e come contrario alla finalità della Rivelazione. Di conseguenza quel giusto e necessario senso pastorale, che deve pervadere tutta la teologia, diventa un impedimento considerevole allo sviluppo della teologia stessa.

15. Al contrario, tenendo presente la storia è facile convincersi che non furono proprio i pastori di poca teologia ad avere fortuna nel cammino pastorale. L'influsso, per esempio, di un S. Agostino sulla spiritualità e la pastorale per tanti secoli supera di gran lunga quello di tutti i pastori che non furono teologi. Quanto nella spiritualità e nella pastorale - preghiere, orientamenti, principi fondamentali - può essere riallacciato a qualche dottrina di S. Agostino! E non furono proprio gli elementi facili in S. Agostino che fecero fortuna, anzi gli elementi difficili: come la dottrina della SS. Trinità, la dottrina della grazia, la dottrina delle «due città» e cosí via.

16. Bisogna però riconoscere che molte volte la teologia era praticata nel presente in un modo che aveva ben poco da fare con la spiritualità e con l'attività pastorale: era quasi sterile. Cosí l'opposizione contro questa teologia in nome della fecondità spirituale e pastorale sembra pienamente giustificata: poiché ogni teologia che non ha una dimensione pastorale, che non ha un valore per la vita spirituale, deve considerarsi in una reale deviazione. Quello però che in questa opposizione non si giustifica è l'imputazione di sterilità rivolta alla teologia in se stessa. Ora tale sterilità non sorge dal fatto che si tratti di una teologia troppo sterile, ma da altri motivi.

17. In questa situazione, in cui il senso pastorale sembra essere di impedimento allo sviluppo teologico, la dottrina di Giovanni Duns Scoto in torno alla natura «pratica» della teologia acquista una grande attualità e perciò deve essere messa nella debita luce. Il centenario della sua nascita offre una buona occasione per istituire una riflessione su tale dottrina, allacciandola al presente e interpretandola nella prospettiva ormai acquisita del primato della carità pastorale nella valutazione di un sistema di pensiero, in particolare teologico.

 

Soluzione scotista

18. Duns Scoto si occupò espressamente del carattere pastorale della teologia in una trattazione molto estesa nel Prologo della sua Ordinatio (cfr. Opera omnia, ed. Vaticana, vol. I, 1950, nn. 217-366, pp. 151-237), dove si pone due domande: nella prima si chiede se la teologia sia una scienza pratica o speculativa; nella seconda poi se sia una scienza pratica in forza della sua finalità oppure per la sua stessa natura.

19. Si rende necessaria una premessa per sottolineare la diversità di prospettiva secondo la quale il problema del carattere pastorale della teologia è trattato da Duns Scoto e dagli autori di oggi. Agli autori di oggi interessa non tanto sapere se la teologia ha o meno carattere pratico in se stessa, ma soprattutto di scoprire modi e metodi che permettano la realizzazione pratica di una conoscenza teologica, e precisamente l'utilizzazione pastorale. A Duns Scoto invece interessava rispondere al quesito se la teologia è in se stessa o no di carattere pratico, senza attardarsi ad analizzare modi e metodi di applicazione. Si tratta quindi di una diversità non già essenziale, ma di livello di investigazione: Duns Scoto vuole provare che la teologia ha in se stessa un carattere pratico; i moderni vogliono trarre le conseguenze del carattere pratico della teologia e stabilire i metodi capaci a renderla pastorale.

20. Su questo argomento al tempo del Dottore Sottile vi erano diverse opinioni, e i maestri francescani anteriori, dietro la scia dei seguaci di S. Agostino, riponendo il "sapere" entro i limiti della vita virtuosa, inculcavano che la teologia, per il fine che persegue, non consiste in una pura conoscenza o speculazione, ma è ordinata alla vita pratica, alla perfezione dell'uomo, affinché egli possa raggiungere piú facilmente, attraverso l'amore, l'unione con Dio.

21. Duns Scoto, percorrendo una via diversa, apporta nuova luce per la soluzione del problema partendo dall'analisi della concezione stessa di «praxis». Egli la definisce nel modo seguente: «Dico igitur primo quoad praxis ad quam cognitio practica extenditur, est actus alterius potentiae quam intellectus, naturaliter posterior intellectione, natus elici conformiter intellectioni rectae ad hoc ut sit rectus» (n. 228).

22. In questa densa frase, i cui elementi vengono poi diffusamente spiegati dal Dottore Sottile, è contenuta la soluzione scotista, di cui si de scrive subito qualche nota fondamentale, per poterne poi dare una visione sintetica.

23. Anzitutto la "praxis" risiede in una facoltà diversa dall'intelletto: essa infatti non è altro che l'atto stesso della volontà (n. 230), anche se non può verificarsi l'esecuzione dell'opera scelta; un atto che si pone liberamente e che non fa seguito di necessità alla conoscenza dell'oggetto (nn. 230. 288. 314).

24. Però questo atto della volontà, nel quale si realizza la "praxis", per la sua intima costituzione deve compiersi in conformità con una previa intellezione vera: e allora dalla conformità della volontà libera con la retta ragione sorge la rettitudine morale (n. 228).

25. La cognizione previa necessaria è "pratica" quando può servire come norma, regola e contenuto della rettitudine rispetto alla vita pratica (n. 226); altrimenti è soltanto speculativa.

26. Tuttavia perché una dottrina possa dirsi "pratica" non si richiede che vi sia in atto l'estensione all'operazione, ma è necessario che questa "praticità" sia attitudinale o abituale (n. 252): la sua realizzazione poi dipende dall'applicazione della volontà.

27. «Scienza pratica» quindi è quella che presuppone naturalmente l'operazione dell'intelletto e per il suo stesso contenuto può essere regola e norma dell'atto retto della volontà (nn. 236. 237. 314).

28. Il Dottore Sottile ne deduce che la teologia è «scienza pratica» non già in forza di qualche elemento aggiunto estrinsecamente, ma per la sua stessa natura. E ne applica il principio sia alle verità teologiche necessarie come anche alle verità teologiche contingenti.

29. Che la teologia non possa essere puramente speculativa, il Dottore lo prova attraverso la testimonianza della S. Scrittura e l'autorità di S. Agostino, dove si sottolinea che la carità è il senso di tutta la legge (n. 222), e attraverso un lungo ragionamento (n. 314), in cui si identifica il nostro fine ultimo con l'oggetto della nostra teologia: per cui i principi pratici della teologia fluiscono non tanto dal fine in quanto tale, ma piuttosto dall'oggetto, cioè da Dio stesso ossia dalla sua divina essenza. Quindi ogni verità rivelata della vita intima di Dio - anche le piú alte e difficili, quali "Dio è trino", "il Padre genera il Figlio" - sono verità pratiche, cioè hanno l'attitudine a produrre in noi, prima di ogni atto della nostra volontà, una conoscenza che sia atta per sua propria natura ad essere esempio, regola e norma della prassi retta (n. 322).

 30. E non solo le verità necessarie, ma anche quelle contingenti hanno lo scopo non tanto di dissipare l'ignoranza quanto piuttosto di ordinare la vita pratica (nn. 332. 343. 344. 355).

31. Per il Dottore Sottile Dio, in quanto oggetto della teologia, si rende conoscibile per essere insieme appetibile e attingibile. Egli è il nostro fine ultimo: e l'amarlo e desiderarlo è veramente «praxis che non segue per natura sua dalla conoscenza, ma liberamente» (n. 298).

32. Quindi Duns Scoto esalta nel Creatore e nell'uomo la libertà, che a sua volta suppone la conoscenza: la teologia non fa altro che insegnare all'uomo il proprio fine e le vie per raggiungerle. Questa attività dell'intelligenza include certamente la ricerca anche la piú approfondita e sottile, ma rimane sempre "pratica" nel senso che essa è destinata a scoprire e a circostanziare l'oggetto, al quale deve conformarsi la volontà per essere retta, e poi le regole alle quali deve sottostare l'azione affinché sia salutare.

33. In poche parole, Duns Scoto non oppone la teologia pratica alla teologia speculativa, ma insegna che una tale posizione è artificiale: poiché una tale teologia speculativa non esiste affatto.

34. Sottolineati in questo modo alcuni elementi della dottrina scotista sul carattere pratico della teologia, si può raccogliere sinteticamente il suo pensiero nel modo seguente.

35. La teologia tutta intera - non solo gli elementi piú facili e piú accessibili, ma anche quelli piú difficili e piú profondi - è pratica per sua propria natura, e non tanto in forza della sua finalità o di altri elementi estrinseci; però bisogna capire che una dottrina non può essere pratica che in modo attitudinale, e che l'attuazione di questa praticità attitudinale non può essere compito della facoltà che fa la teologia, cioè l'intelligenza che è ricercata dalla fede (fides quaerens intellectum), ma risulta dalla volontà che coopera con la grazia. Se una teologia non è feconda nella vita spirituale e nella vita pastorale, ciò non è difetto della teologia, ma dell'uomo che non attua con la volontà la praticità attitudinale della teologia.

 

Applicazione pratica

36. Questa dottrina di Duns Scoto oggi riveste una singolare importanza, perché atta a giustificare la piú sottile teologia e ad indicare le vie per le quali questa teologia diventa efficace nella spiritualità e nella pastorale. Quindi la soluzione scotista salva, per cosí dire, da una parte la teologia vera dalla rovina e dal disprezzo, dall'altra la pastorale dalla superficialità, dalla banalità, dall'arenamento per mancanza di idee, di stimoli e di contenuto.

37. Tenendo presente il principio del Dottore Sottile secondo il quale l'attuazione pratica di una dottrina non è necessaria ma libera, poiché l'atto della volontà è libero e non segue per natura sua dalle premesse, si impone alla nostra considerazione una riflessione circa il modo di attuare la «praticità attitudinale» della teologia.

38. È qui infatti che il lavoro personale deve esercitarsi per creare quelle disposizioni per le quali, secondo le normali leggi della psicologia, la dottrina teologica giunga di fatto a una "praxis" sia in colui che fa la teologia sia in colui che la riceve. Se il teologo o coloro che da lui ricevono la teologia non arrivano all'attuazione della sua condizione naturale pratica, bisogna supporre che il discorso teologico non è stato condotto in conformità con la sua natura oppure che gli individui impediscono l'attuazione con le loro avverse disposizioni, che possono essere le piú varie.

39. Queste disposizioni possono riguardare l'intelligenza, nei riguardi della quale l'uomo può porre molteplici ostacoli per cui la teologia, nel modo come si concretizza nell'individuo, non giunge ad essere vera teologia o lo è soltanto imperfettamente: quando l'intelligenza non possiede sufficientemente la verità, quando non cerca di penetrare la profondità e sviscerarne il contenuto, quando è superficiale, quando non considera l'aspetto di valore, e cosí via. In questi casi la teologia non può attuare la propria natura né di conseguenza muovere la volontà.

40. Ma l'individuo può porre ostacoli soprattutto da parte della volontà - anche quando l'intelligenza avesse svolto tutto il suo compito nella comprensione e nel possesso della verità - dal fatto che lo scatto della volontà non avviene spontaneamente ma liberamente. E qui si possono richiamare tutti quei motivi che per congenita fragilità o per umana malizia impediscono la cooperazione della volontà: o perché l'individuo non pone attenzione sufficiente a questa attuazione che deve produrre con la sua volontà; o perché non dà alla volontà il tempo che, secondo la costituzione della psicologia umana, è necessario per arrivare a un atto; o perché la volontà non è libera dalle passioni ecc.

41. La via quindi che l'individuo deve percorrere per poter giungere a una teologia che sia feconda per il ministero pastorale e per la vita spirituale è l'eliminazione di questi e simili ostacoli, attraverso una ascesi di lavoro e di purificazione interiore.

42. Da ciò che abbiamo detto appare evidente quanto siano lontane da questa armonica visione le tendenze che, in nome della pastorale e della spiritualità, rifiutano nella teologia il lavoro intellettuale.

43. È importante ricordare questo: la verità rivelata non ha senso pastorale e spirituale soltanto nel suo significato piano e facile, ma anche nel suo significato profondo e difficile. Per capire e vivere questo significato pastorale e spirituale del contenuto profondo e difficile della Rivelazione, è certamente necessario un lavorio intellettuale molto piú intenso di quello necessario per capire e vivere il contenuto nel significato piano e facile. Avviene però che la Rivelazione contiene l'uno e l'altro, e non si può dire, senza errare, che si abbia il diritto di limitarci alla parte piana e facile. Il carattere pastorale e spirituale di una teologia non può dunque essere misurato dalla sua piú o meno marcata accessibilità, ma bisogna riconoscere che anche il profondo e difficile ha e può avere questo carattere.

44. È proprio per non aver posto attenzione a questa constatazione che ci si trova oggi molte volte di fronte a una teologia che, pur avendo ricchezza di motivi e di stimoli, porta con sé una buona dose di perplessità.

45. D'altra parte nelle recenti discussioni conciliari, in cui si è dato giustamente un prevalente rilievo al carattere pastorale, ci si è accorti come molte questioni pratiche che assillano la società contemporanea non si chiariscono senza una profonda e diuturna indagine dottrinale.

46. In questa situazione sembra che la dottrina di Giovanni Duns Scoto sul carattere pratico della teologia, anche come è stata esposta qui nelle sue linee essenziali e semplificata dalle sue complesse dimostrazioni, sia una luminosa soluzione da proporre e da applicare.

47. Si è voluto addurre, a modo di esempio, questo punto dottrinale di Duns Scoto, perché sembra che esso sia prezioso di insegnamenti: sia per i docenti di filosofia e di teologia affinché essi conducano il discorso in conformità con la natura della scienza particolarmente teologica e cooperino con la volontà alla grazia della teologia; sia per i confratelli impegnati piú direttamente nella cura pastorale, affinché essi non si esauriscano per mancanza di idee e di stimoli, ma sappiano attingere dalla elaborazione dottrinale il contenuto per rinnovare continuamente la loro azione.

 

Conclusione

48. E cosí la veneratissima Lettera Apostolica Alma parens e il centenario del nostro grande Dottore offrono l'occasione per esortare a uno studio intelligente delle sue opere, "tradotte", per cosí dire, nella "problematica" moderna: soltanto in questo modo si possono riscoprire e riproporre gli elementi vitali, sicché il metodo e la dottrina del maestro francescano assolvano anche nella nostra età la loro funzione orientatrice.

 49. Augurando a tutti i confratelli questo modo fecondo di attendere al lavoro intellettuale e di operare nel campo pastorale, impartisco di cuore la serafica benedizione.

Roma, 15 agosto 1966

fr. Costantino Coser