Intervista a Jérôme Lejeune (1926-1994)
sulla teoria dell’evoluzione e i suoi rapporti con la Rivelazione biblica
(1976)
Membro della Pontificia Accademia delle Scienze dal 1974 e primo presidente della Pontificia Accademia della Vita, Jérôme Lejeune è stato uno dei principali genetisti del secolo scorso, noto per i suoi studi sulle anomalie cromosomiche del patrimonio genetico umano.
D. La teoria dell'evoluzione, spesso utilizzata come un’arma contro la Chiesa, incontra oggi qualche detrattore nel mondo scientifico...
R. «Non bisogna fare di tutta l’erba un fascio. Se la teoria di Darwin è totalmente criticabile, non è in nome di una difficoltà con la rivelazione della Chiesa. Darwin si è certamente servito della sua teoria per cercare di dimostrare l’antropologia cristiana. Ciò non è per niente contestabile e lui stesso l’ha confessato, e sua moglie gli ha scritto delle lettere straordinarie a tal proposito per cercare di distoglierlo da un tale progetto. Stando cosí le cose, non bisogna credere che la Bibbia si oppone necessariamente al concetto di evoluzione. La Bibbia è anche il primo libro evolutivo poiché evidenzia le tappe della creazione. La cosa che piú stupisce è che nella Bibbia appaiono dapprima gli animali marini, poi gli animali volanti, poi gli animali terresti e da ultimo l’uomo. Sarebbe a dire che la Bibbia, in uno scorcio assolutamente folgorante, enumera la comparsa degli esseri viventi secondo l’ordine in cui noi li ritroviamo negli strati geologici».
D. Nell’immaginario popolare, l’evoluzione significa che l’uomo discende dalla scimmia, e che ogni vita ha avuto inizio all’origine a partire da una cellula iniziale da cui sono uscite le differenti ramificazioni della vita.
R. «Questa è la teoria dell’evoluzione, non sono i fatti. I fatti sono che nel corso del tempo delle forme si sono succedute, ed è vero che l’uomo è l’ultimo arrivato. Su questo non c’è scienziato che non sia d’accordo. Esiste una teoria neo-darwiniana che presuppone che tutto sia stato prodotto a seguito di mutazioni dovute al caso e che sono state selezionate dalla necessità di sopravvivenza. È la tesi di Jacques Monod ne Il caso e la necessità. Ha scritto il suo libro nel momento giusto, poiché oggi non avrebbe piú potuto scriverlo. Il libro di Monod si basava sulla vecchia massima di Democrito: tutto in natura è frutto del caso e della necessità, il che è d’altronde totalmente inapplicabile a tutti i sistemi viventi. In effetti tutti i concetti che sono stati usati dagli uomini per distinguere l’inanimato dal vivo non si limitano al caso ed alla necessità. Esiste un terzo termine che si può designare con tono neutro “informazione”, che San Tommaso d’Aquino avrebbe chiamato la forma e che gli antichi avrebbero chiamato logos».
D. Come mai esistono delle specie?
R. «È una domanda che non si pongono gli evoluzionisti. È tuttavia assai interessante perché supponete che Darwin abbia ragione, che Monod abbia ragione e che si producano delle mutazioni che sono selezionate dalla necessità e che infine le forme si evolvano in tal modo. Perché non ci sarebbe una sorta di continuum dall’ameba all’elefante, ed un continuum che procederebbe ancora laddove si vedessero delle amebe elefantizzarsi (seppure lentissimamente!)? Perché questo non esiste? Perché un elefante si riproduce sempre rigorosamente nella specie elefantina. C’è una ragione per questo. E questa ragione cominciamo a conoscerla almeno per le specie superiori: è che il loro patrimonio genetico è organizzato in una struttura figurata, che sono i cromosomi, e che i cromosomi sono in un qualche modo i volumi dell’enciclopedia della vita, le tavole della legge della vita incise con quei caratteri. Per quanto riguarda l’origine della vita, non possiamo far altro che elaborare delle ipotesi. A priori, la piú semplice è dire che è comparsa una prima cellula, della quale ci guarderemo bene dal dare le caratteristiche perché non le conosciamo abbastanza, e che è da questa cellula che sono sopravvenute, a causa di cambiamenti totalmente improbabili, le differenti modifiche che hanno portato alle specie che conosciamo, siano esse delle specie fossili, siano esse delle specie ancora viventi. È un’ipotesi; sembra piú semplice dire che la vita è comparsa una sola volta. Un’altra ipotesi consiste nel dire che la vita è comparsa piú volte ed in linee differenti che avrebbero portato alle grandi suddivisioni del regno animale, del regno vegetale e cosí via. Non formulerò nessun tipo di opinione fra queste due ipotesi, perché nessuno sa cosa sia accaduto. Quello che possiamo dire con certezza, in compenso, è che se si prendesse il meccanismo neo-darwiniano, mutazione-selezione, l’evoluzione non sarebbe prodotta, poiché è assolutamente impossibile, vista la quantità di cambiamenti favorevoli successivi che bisognerebbe immaginare fra l’ameba e l’uomo, che l’uomo o altri animali superiori sarebbero apparsi».
D. Come conciliate la scienza e la fede ed i rapporti delle scienze applicate con la filosofia?
R. «Sono due domande del tutto diverse, perché i rapporti tra la filosofia e la fede sono di una grande difficoltà per un genetista come me e, se mi permettete, non affronterei questa domanda. Risponderei solo questo: non ho mai trovato contraddizioni irriducibili fra quello che ho appreso da una lunga esperienza scientifica e ciò che mi è stato trasmesso dalla fede cattolica. Ho visto sí delle difficoltà, ma nessuna che fosse insormontabile o che rappresentasse delle antinomie assolute. Piú o meno cinquant’anni fa, si sosteneva che era del tutto impossibile prendere la Bibbia sul serio, considerato che all’inizio, nella Genesi, la Creazione di Dio comincia da quella della luce. E mi ricordo di aver letto delle opere - già fuori moda, ma che tuttavia mi era stato raccomandato di leggere - che spiegavano come fosse assurdo descrivere in questi termini la creazione, dato che non poteva esserci la luce prima che ci fosse il sole».
D. Orbene, adesso è pressappoco ammesso che c’è stato un Big Bang. Molto tempo prima che ci fossero le stelle e la luce...
R. «La seconda difficoltà celebre tra la fede e la scienza riguardava l’evoluzione; orbene se rileggete il testo della Genesi, che è assai interessante, la parola creazione ad opera di Dio è usata solo tre volte. Una volta per il cielo e la terra, una volta per l’uomo e poi è usata, verso la metà, per i grandi mostri marini. Per tutto il resto, si dice che la terra verdeggia, che il mare brulica di vita... non c’è un meccanismo che ci venga rivelato in quanto meccanismo creativo specie per specie. Cosí come c’è una grande libertà per il credente di dimostrare tutte le ipotesi evoluzioniste per sapere se coincidono con la realtà. Non possono essere in contraddizione con la Rivelazione, che afferma soltanto la creazione del cielo e della terra, che descrive come un atto creatore diretto di Dio, e la creazione dell’essere umano. Quando arriviamo all’essere umano e vediamo comparire bruscamente sul pianeta un bipede cosí simile agli altri, e che tuttavia per la prima volta è in grado di pensare, siamo ben obbligati a dirci che qualcuno gli ha insufflato qualcosa».
Cfr. Intervista a Jérôme Lejeune (1926-1994) sulla teoria dell’evoluzione e i suoi rapporti con la Rivelazione biblica, in Studi Cattolici, n. 188 (1976), s.p.