Molte persone non sanno cosa significhi essere sacerdoti. Se c'è una persona che custodisce in sé innumerevoli segreti grandi e piccoli è proprio il sacerdote. Il suo cuore è davvero un oceano di segreti. Quanti - inclusi noi stessi - riflettono su questa realtà andando oltre le apparenze? Molti hanno uno strano modo di considerarci. Pare che la nostra sia una categoria a parte, distinta da quella degli uomini, quasi un regno naturale - o meglio innaturale - a se stante. Deve essere proprio cosí, il sacerdote non è di questo mondo... quindi le sue problematiche spesso non ci riguardano.
Forse sarà anche per gli atteggiamenti, il modo di presentarci e di vestire che la società e la comunità ecclesiale ci hanno quasi imposto. In effetti, le lunghe talari nere con il cappello a "Saturno" o a "tricorno", soprattutto oggi, fanno uno strano effetto. Oggi si preferisce il clergyman, veste un po' più laica e meno impegnativa, in attesa di qualche nuova foggia. Fatto sta che bene o male ci siamo ancora, con duemila anni di storia sulle spalle e un lungo futuro davanti.
«Don Camillo» di Giovanni Guareschi
Allora cos'è un sacerdote? Tanto per cominciare è un uomo. Immagino lo sguardo corrucciato di chi si aspettava delle risposte cariche di soprannaturale misticismo. Si fa un gradino alla volta, pian piano si arriva dovunque, anche al grande "scandalo" dell'incarnazione che sta alla base della nostra fede. Il sacerdote è un uomo. Un uomo che è nato come tutti gli altri, è stato bambino, adolescente, giovane; ha fatto un cammino di maturazione umana come tutti gli altri, ciascuno con le sue particolarità e la sua personalità e un bel giorno... ha incontrato qualcuno. Dovrebbe aver incontrato Qualcuno. Capita a molti, un bel giorno di incontrare qualcuno. Qualcuno che lascia il segno... con una parola, un atteggiamento, un gesto. A volte questo qualcuno ha un nome e cognome concreti, altre volte il Qualcuno di cui parliamo si avvale di piú fatti, di più circostanze e persone per gettare nei nostri occhi... un raggio della sua luce.
Ecco una prima caratteristica. Il sacerdote è l'uomo dell'incontro! Un po' come Mosè, che stando nascosto dietro la roccia ha visto - almeno di spalle - la gloria di Dio (Es 33,18-22). Questo incontro, in qualunque modo avvenga, è fondamentale, se non c'è manca un elemento essenziale della vocazione. Perché quest'uomo ha fatto questo incontro? Forse perché è migliore degli altri? No. Perché è piú simpatico, piú intelligente, piú colto? No! Perché Dio lo ha amato da sempre e ha deciso cosí! L'ha deciso Lui, e nessuno può dirgli: "Perché hai fatto cosí"? (cfr. Rm 9,20). È importate tornare spesso con la memoria a quell'incontro che è segno, inizio, pegno di mille altri incontri, dialoghi e drammi. Dio è Padre e nel suo amore ha reso l'uomo partecipe della sua paternità, nel corpo e nello spirito. Questo è vero per ogni uomo, ma per alcuni c'è una chiamata particolare a questa paternità spirituale; a questo compito affascinante e sconvolgente di dare corpo al Mistero.
È una chiamata che comporta una continua scuola interiore. Lo sanno bene quelli che sperimentano cosa significa... "anche di notte il mio cuore mi istruisce" (Sal 16,7) e... "nel mio giaciglio di te mi ricordo" (Sal 63,7). Quali sono le sue lezioni fondamentali? Tante! E quelle narrate sono solo un'infima parte del programma che non è quello delle facoltà teologiche: "...tu mi conosci fino in fondo. Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto" (Sal 139,14-15); "Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano" (Sal 139,5); "...che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi?" (Sal 8,5); "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato" (Gv 13,34).
Bisogna fare davvero i complimenti ad un Maestro cosí, perché non è facile far capire ad un cuore umano com'è che un cuore divino ama un essere umano. E quando il cuore umano ha cominciato a capirlo, a non fare lo schizzinoso, a cogliere il riflesso del volto di Dio nel volto umano, anche se sfigurato, non è ancora finita, perché un conto è capire e altro è amare davvero. E non è uno scherzo. La mamma fa qualunque cosa per il suo bambino ma non per tutti i bambini. Il sacerdote è chiamato ad essere il piú paterno e paradossalmente anche il piú "materno" degli uomini. Al sacerdote si confidano cose che non si direbbero né alla propria madre, né alla propria moglie e neppure al migliore degli amici, perché si percepisce che dietro di lui c'è un Altro; che parlare con lui significa parlare a un Altro!
Finalmente, dopo anni di discernimento, di preghiera, di studio, di preparazione, di lotte senza quartiere, di disciplina... arriva il momento straordinario: il momento in cui il Vescovo, imponendo le mani sul suo capo invoca lo Spirito Santo perché quell'uomo, ricolmato dalla grazia, partecipi allo stesso sacerdozio di Cristo. Quante volte ho visto questo momento straordinario. È un'intima gioia quella di sapere che da ora in poi Cristo si renderà presente in mezzo a noi attraverso un fratello e continuerà a stare in mezzo a noi attraverso la sua persona, a parlarci con la sua voce, ad ascoltarci con il suo cuore, a camminare attraverso i suoi passi... È un eccesso di fede? No, è una realtà, ed è tanto piú vera è profonda quanto piú il sacerdote - e noi insieme con lui - ci affidiamo all'azione dello Spirito Santo. È inutile soffermarsi in mille esempi, basta chiedersi perché milioni di persone hanno cercato e cercano un uomo come Padre Pio da Pietrelcina.
Non è facile darsi totalmente a Dio, anche qui c'è la paurosa distanza che passa fra il cominciare a capire (e non è poco) e l'amare davvero. Questa è la gioia del sacerdozio: avere la certezza che Cristo è in mezzo a noi, pronto ad accoglierti, ad ascoltarti, a perdonarti... sempre... attraverso un volto umano. C'è chi prega con il naso in su, guardando sempre e solo le nuvole e c'è chi prega anche incontrando lo sguardo di un fratello, di un amico... da quando Dio si è fatto uomo e ha posto la sua dimora in mezzo a noi (Gv 1,14). Ecco, il sacerdozio è uno degli esempi piú evidenti del rischio di Dio. Dio - dice l'apostolo Paolo - "ha affidato a noi il ministero della riconciliazione" (2Cor 5,18). Quanto ha rischiato mettendosi nelle nostre mani! Proprio così, perché... "abbiamo questo tesoro in vasi di creta" (2Cor 4,7), dice sempre l'Apostolo. E quanto ha rischiato mettendosi totalmente nelle nostre mani attraverso l'Eucaristia? C'è un brano stupendo scritto da Francesco d'Assisi che vale la pena di riportare per intero:
«Ecco, ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale (Sap 18,15) discese nel grembo della Vergine; ogni giorno viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre (Gv 1,18; 6,38) sopra l'altare nelle mani del sacerdote. E come ai santi apostoli apparve in vera carne, così ora si mostra a noi nel pane consacrato; e come essi con lo sguardo fisico vedevano solo la sua carne ma, contemplandolo con gli occhi della fede, credevano che egli era Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, vediamo e fermamente crediamo che il suo santissimo corpo e sangue sono vivi e veri. E in tale maniera il Signore è sempre presente con i suoi fedeli così come egli dice: Ecco, io sono con voi sino alla fine del mondo (Mt 28,20)» (Adm 1,16-22 - FF 144-145).
Nel sacerdozio siamo ancora una volta di fronte alle conseguenze dello "scandalo" del Dio-fatto-uomo. Quanti sedicenti cristiani dicono: "Perché devo rivolgermi a uno uguale a me"? "Io mi confronto direttamente con Dio"! Neppure si rendono conto dell'enormità della presunzione che si nasconde dietro a queste parole. Chi di noi può confrontarsi... "direttamente con Dio"? In verità molti non possono avvicinare direttamente neppure il loro capo ufficio! Una cosa è certa, senza umiltà nessuno incontrerà Dio, mai! È insensato cercare Dio oltre le nuvole quando è Lui che ci viene incontro nei fratelli. Il sacerdozio, come diceva sant'Agostino, è amoris officium (cfr. S. AUGUSTINUS, In Iohannis Evangelium Tractatus 123,5: PL 35, 1967), un servizio di amore. Ecco, fin qui abbiamo dato un'occhiata fugace al tesoro immenso che la fede ci dona e ci fa scoprire... se lo vogliamo. Adesso dobbiamo avere il coraggio di guardare con maturità umana e cristiana all'altro lato della medaglia... Proprio cosí, perché il buon Dio ne inventa davvero tante per venirci incontro e noi cerchiamo di fare altrettanto... per rifiutarlo! Come ho detto altrove, Lui passa il suo tempo a spezzare le nostre catene e noi lo trascorriamo cercando di fabbricarne altrettante.
Ho detto che il sacerdote è un uomo, e dopo l'ordinazione sacerdotale? È sempre un uomo, ma un uomo che porta sulle spalle un peso di gran lunga superiore alle sue possibilità umane. Chi tra noi può dire come San Paolo: "...dichiaro solennemente oggi davanti a voi che io sono senza colpa riguardo a coloro che si perdessero, perché non mi sono sottratto al compito di annunziarvi tutta la volontà di Dio" (At 20,26-27)? Chi può arrivare a tanto? È vero che Dio dona la sua grazia per aiutarci a portare anche i pesi piú grandi, però la grazia non toglie la fatica né il sacrificio; può alleviare ma non cancellare del tutto le difficoltà. Eppure, chissà perché, molti fedeli, dopo aver osannato il sacerdote nel giorno della sua ordinazione lo abbandonano e lo crocifiggono spesso con la piú nera delle solitudini. Già, chi è piú fortunato di un sacerdote che, con l'ordinazione, pare abbia risolto tutti i suoi problemi?
In realtà è l'esatto opposto, se i problemi c'erano, dopo l'ordinazione rimangono e spesso vengono aggravati dalle dinamiche e dalle responsabilità della vita sacerdotale. Anche l'ambiente ecclesiastico spesso non è da meno rispetto agli altri. Fino all'ordinazione sacerdotale tutti si dichiarano pronti ad aiutarti e ad ascoltarti, ma dopo l'ordinazione devi arrangiarti da solo... non dovresti aver più bisogno di nessuno. Dalla poesia mistica al verismo piú crudo e talvolta più squallido. Dalle mille riverenze all'indifferenza piú sorda. Cosí, mille buoni propositi, mille insegnamenti teorici si scontrano con una realtà dove al massimo quello che conta è il sacerdote-funzionario, il sacerdote-manager e non l'uomo di Dio. Un uomo di Dio che spesso è scomodo e crea problemi anche alla struttura ecclesiale. Pare che anche il Signore abbia creato problemi alla struttura sinagogale dell'epoca. Cosí questo povero fratello, giovane o anziano che sia, deve ascoltare tutti ma non troverà nessuno che abbia tempo per ascoltarlo; deve consolare tutti ma nessuno consolerà lui; deve correre dietro a mille persone ma ben pochi correranno con lui. Tutti possono fare tutto, lui no. Gli altri possono divertirsi, innervosirsi, mandare tutto all'aria, ribellarsi... Lui no, deve essere sempre paziente, sempre sorridente, sempre disponibile, sempre gentile, sempre affabile, sempre servizievole... Deve anche pregare per tutti, ma chi prega per lui? Quanti fedeli pregano quotidianamente per il proprio parroco?
Ecco come può nascere il sacerdote-impiegato, uomo alienato più che liberato e liberante. A parte questi drammi, è facile, forse soprattutto nei grandi contesti urbani, perdere il senso della propria dignità e identità, appiattirsi in un orizzontalismo e in un attivismo dove Dio entra ogni tanto per puro caso, come un raggio isolato di sole attraverso una fitta coltre di nuvole. Questo è il momento critico. Non è Dio che sbaglia, non è Lui ad essere fragile e debole, siamo noi che siamo fragili come tutti gli esseri umani di questo mondo. Quando si arriva a questo punto si danno due casi. O uno la vocazione non l'ha mai avuta e per un'insieme di ragioni puramente umane ha intrapreso un cammino che non era il suo; oppure la vocazione l'ha avuta ma pian piano se n'è dimenticato. Ho parlato in modo generico di sacerdote, includendo sia i sacerdoti diocesani che quelli inseriti nelle congregazioni religiose. La vita comunitaria di molte congregazioni religiose può semplificare e prevenire alcune problematiche ma può anche aggravarle in modo decisivo.
Per quelli che hanno sbagliato - si spera sempre in buona fede - si danno due possibilità. Se la situazione è grave e il disagio è intollerabile è bene, anzi è doveroso, chiedere alla Chiesa di essere dimessi dallo stato clericale. Si danno dei casi però in cui una persona, non trovando la sua condizione intollerabile, possa chiedere e ottenere il dono della vocazione. Questi casi non mancano. Ma è giunto il momento di affrontare un argomento delicato ed estremamente importante nella vita di ognuno. Un argomento che, direi, vale in modo particolare per un sacerdote che ha fatto dell'amore apostolico la forza della sua vita. L'argomento è quello della vita affettiva del sacerdote. È facile fare considerazioni banali o proporre soluzioni facili quali: i preti dovrebbero sposarsi! Sono soluzioni che denotano spesso un'incredibile miopia. Forse tutti gli uomini sposati sono felici, hanno risolto i propri problemi affettivi e sono irreprensibili? La realtà è che il prete sposato fa comodo ad una visione laica che mal sopporta la "diversità" del sacerdote. Il celibato sacerdotale è una continua provocazione, un continuo ricordare che dietro quell'uomo, apparentemente solo, c'è qualcun Altro!
È piú tranquillizzante vedere il prete con la moglie, avere l'impressione che sia esattamente come noi, quasi fosse un'implicita giustificazione - non della realtà del matrimonio che è buona in sé - ma di altri comportamenti che persistono anche ad onta del matrimonio. È dura per uno schiavo vedere un uomo libero. Questa è spesso la reale e inconfessabile motivazione che porta certe persone a chiedere insistentemente il prete sposato. Il prete sposato per tanti equivarrebbe alla pace della coscienza che, in materia sessuale e affettiva, spesso rimane invischiata nelle nebbie dell'adolescenza. Ma questo non è un motivo per disprezzare questa umanità, anzi, è un motivo in più per amarla, per amare queste persone. Si impara a gestire la propria affettività sentendosi amati e stimati, non sentendosi disprezzati. L'arma vincente nel campo della vita affettiva non è la durezza, non è la disciplina feroce del puritanesimo, ma l'affetto umano e cristiano. Quanti adolescenti, quanti giovani non hanno mai conosciuto questo affetto, questa simpatia, questa amicizia? Quando non si conosce l'amore resta solo il triste surrogato dell'edonismo.
Quanti ambienti educativi, quanti seminari, erano o sono lontani da questo modello evangelico? Il celibato non sorge da questioni pratiche (o la moglie o la parrocchia) ma da questioni di fondo, e la questione è: essere tutto di Dio, essere disponibile nei confronti di tutti. Chi dice che la Chiesa impone l'obbligo del celibato dice una grande falsità. La Chiesa non impone il celibato a chi ha la vocazione sacerdotale, bensí conferisce l'ordine sacro solo a chi ha la vocazione al celibato. È proprio l'esatto opposto di quanto si crede dunque. Che poi la questione del celibato sia stata trattata spesso in modo equivoco è un'altra questione e non è solo colpa della Chiesa. La cosiddetta società laica ha coltivato i suoi tabú non meno ferocemente della Chiesa, che spesso ha cercato di temperare costumi sociali a dir poco barbari. Basti pensare ai duelli per motivi di onore, ai rapimenti a scopo di matrimonio, all'assassinio del coniuge infedele (quante volte più o meno tollerato anche dal potere statale). Alla Chiesa si potrà rimproverare il fatto di non aver fatto sempre bene tutto quello che poteva fare ma non certo l'inerzia.
Quanto ai "tabú" occorre dire che il fatto che la cosiddetta "rivoluzione sessuale" li abbia infranti è una grande menzogna. L'unica cosa che è stata abolita sono i "freni", e spesso quelli piú elementari della decenza. I veri tabù sono più che mai intatti. È un tabù assoluto chiedere di poter amare e di essere amati. È un tabù parlare di amicizia, di quella vera. È un tabù parlare di amore puro. La rivoluzione sessuale non è l'unica responsabile, anche altri movimenti hanno dato il loro contributo. Il movimento giovanile e quello femminista hanno giocato anch'essi il loro ruolo. Si sa che spesso non è possibile proporre direttamente scelte o atteggiamenti immorali, occorre mantenere sempre una facciata rispettabile. In questi ultimi trenta anni la facciata rispettabile di molte svolte deteriori è stata data dall'emancipazione giovanile e soprattutto dall'emancipazione femminile, cavalli di battaglia delle varie ideologie in cerca di consensi: consensi alla libertà.
Se nel mondo è difficile trovare amanti dell'ordine e della legalità non si fatica a trovare gli amanti, non della libertà, ma delle libertà. Questo è il risultato di una democrazia fondata non sui valori ma sulla pura ricerca del consenso. Per decenni le nostre democrazie sono vissute di rendita, si sono rette di fatto su valori cristiani che costituivano un patrimonio comune. Ora che questo patrimonio comune comincia a sfumare su quali valori si reggono? Non si può vivere gettando le proprie fondamenta sul "dubbio metodico" di cartesiana memoria. Questo stato di cose può far comodo solo a quanti vogliono accovacciarsi nel libertarismo individualista coprendosi sotto il politicamente corretto.
Oggi l'argomento celibato e l'argomento "preti sposati" vengono spesso usati a fini ideologici. Cosicché sorgono singolari connubi fra "classi oppresse" (quali preti sposati, gruppi omosessuali, donne aspiranti al sacerdozio e sette spiritualiste di vario genere), tutti coalizzati contro un "nemico comune": la Chiesa. Non di rado si tratta di persone che dichiarano di opporsi solo alla "Chiesa istituzione" che, a loro dire, li ha defraudati dei loro diritti. È la tattica dell'azione diversiva: condizionare emotivamente l'opinione pubblica affinché accetti ogni istanza. Una coscienza onesta non può accettare questo. La verità è che chiunque pretenda di cambiare la realtà ecclesiale - si spera in meglio - deve prima dimostrare se la ama davvero, cosí com'è. Le dicotomie sono irreali, nessun corpo, neppure sociale, può essere diviso in due. Non esiste una "Chiesa istituzione" separata o separabile dalla "Chiesa carismatica" o dalla "Chiesa-popolo di Dio".
È importante tuttavia che la comunità ecclesiale si occupi ancor piú dei sacerdoti in crisi trovando, senza soluzioni demagogiche, il giusto spazio per un loro pieno reinserimento. Uno spazio adeguato nel corpo ecclesiale sottrarrà queste persone dall'unica strada che a volte gli rimane da percorrere: quella dell'isolamento, della segregazione e della sterile contestazione. Con l'impegno, la pazienza, lo spirito di sacrificio, l'amore alla verità e l'umiltà si può ottenere davvero tanto, per il bene della Chiesa, per il bene di tutti.
Indubbiamente ci sono casi particolari dove ferite particolarmente dolorose spingono ad atteggiamenti di chiusura e di contestazione: casi che devono costituire per noi un appello alla carità di Cristo. Il Vangelo ci indica una strada, quella per il sacerdote di oggi e per quello di domani: la fraternità apostolica. Gesú ha chiamato gli apostoli e i discepoli ma non li ha mai lasciati soli. Li ha sempre mandati almeno a due a due (Mc 6,7; Lc 10,1). Questa è la strada che hanno seguito tutti i grandi santi come Francesco d'Assisi (FF 366; 368; 1841; 2211; 2697). Uno dei drammi della nostra epoca, soprattutto nei paesi occidentali è la solitudine, non a torto definita da Madre Teresa di Calcutta la lebbra del mondo moderno.
La via non è certo quella della vita comune imposta, ciò che più conta è far sì che nessuno sia abbandonato a se stesso. È necessario coltivare la fraternità e l'amicizia sacerdotali cominciando da una formazione umana e spirituale più ricca. Una formazione che aiuti il sacerdote a ragionare come fratello tra fratelli, a ricercare l'aggregazione, a coltivare l'aiuto reciproco umano, spirituale e materiale. Forse nella Chiesa giungerà il momento di distribuire le forze in un modo completamente nuovo, forse perdendo qualcosa in termini di capillarità nel territorio ma guadagnando molto di piú in termini di umanità, spiritualità ed efficacia apostolica. In ogni caso, qualunque sia il futuro che ci attende... "da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35).
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Esortazione apostolica post-sinodale «Pastores dabo vobis» di S. S. Giovanni Paolo II
Sostegno a sacerdoti e religiosi in difficoltà
Oasi di Elim - Consultorio Residenziale per la Vita Consacrata