Una "fiction" accattivante e tenace

Si crea una fiction quando si dà a un fatto constatato una spiegazione diversa dalla realtà e se ne traggono conseguenze. Una delle grandi fiction demografiche attuali concerne le cause dell'aumento della popolazione mondiale constatato da circa due secoli. Quante volte lo si è attribuito ai popoli "che hanno troppi figli", "la cui fecondità è troppo elevata", i cui "tassi di natalità sono insopportabili"? In questo caso, la natalità è considerata come responsabile della crescita demografica degli ultimi due secoli. Questa affermazione, che è una fiction, porta a una conseguenza prevedibile. Poiché la natalità è considerata il fattore determinante della crescita demografica mondiale, come il fattore responsabile della povertà, sarà necessario e sufficiente ridurre la natalità. Questa fiction accattivante influenza per esempio certe conclusioni della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo, svoltasi a Il Cairo nel settembre del 1994. Infatti esse prevedono, come uniche misure concrete per giungere a "una crescita economica sostenibile nel quadro di uno sviluppo durevole" (§ 3.15), la pianificazione familiare, oltre il soddisfacimento dei bisogni relativi alla salute genetica. Ora, se bastasse "frenare la crescita della popolazione" per giungere alla ricchezza, lo si saprebbe e, al contrario, gli Stati Uniti d'America figurerebbero fra i paesi più sottosviluppati, avendo presente la loro eccezionale crescita demografica da due secoli a questa parte. In realtà lo sviluppo ha altre esigenze. Ma è vero che formare i giovani richiede sforzi organizzativi più grandi che mettere "spirali". Comunque, il rimedio quasi unico proposto non può essere efficace perché poggia su una fiction. Infatti, l'attuale crescita della popolazione mondiale non è dovuta a una natalità sbrigliata, che sarebbe aumentata da due secoli a questa parte, ma a una mortalità che è crollata, aumentando considerevolmente lo scarto fra mortalità e natalità. Più precisamente, la crescita demografica è il risultato del crollo di tre mortalità, la mortalità neonatale, la mortalità materna e la mortalità dei bambini e degli adolescenti.

Questa evoluzione ha portato a un aumento considerevole dei tassi di sopravvivenza. La conseguenza è stata una longevità quasi triplicata e, quindi, il numero degli esseri umani è aumentato. Inoltre, la storia dei diversi popoli del pianeta mostra che non vi può essere un comportamento teso all'abbassamento della natalità se la diminuzione della mortalità non è un fatto durevolmente acquisito. Il fattore scatenante la diminuzione della natalità sta dunque nella diminuzione della mortalità, come sanno tutti gli specialisti della transizione demografica (22). È inutile voler controllare d'autorità la natalità quando non sono presenti le condizioni per un cambiamento di natura del livello di mortalità. Questo spiega, in passato, i numerosi fallimenti dei programmi di pianificazione familiare un poco ovunque nel mondo. Invece, quando le trasformazioni sociali ed economiche di un paese portano a un abbassamento endogeno della mortalità, l'abbassamento della natalità finisce per prodursi naturalmente, non appena le popolazioni hanno capito che questa situazione è duratura e ne hanno visto le conseguenze sulla discendenza desiderata (23).

 

 

L'illusione

Oltre la fiaba, la leggenda e la fiction, la mitologia demografica ricorre anche all'illusione, cioè a un'interpretazione errata della realtà dei fatti. I media diffondono periodicamente immagini e cifre lorde, che danno l'impressione di un "sovrappopolamento" presentato come un male assoluto. Vi sono esponenti religiosi che si preoccupano. Nel mondo protestante, un certo numero di responsabili giunge fino a giustificare l'aborto perché vi sarebbero troppi abitanti sul pianeta. Nel mondo cattolico, sacerdoti rifiutano l'enciclica Humanae vitae, del 1968, e le posizioni di Papa Giovanni Paolo II sulla vita in nome dei pericoli di una cosiddetta "sovrappopolazione", che giustificherebbe tutti i metodi di contraccezione. Così, finalmente, la lotta contro la "sovrappopolazione" giustificherebbe tutti i mezzi, compresi quelli coercitivi, che attentano alla dignità della donna e alla sua integrità fisica. Questa paura della "sovrappopolazione" costituisce indubbiamente oggi, dopo che il marxismo è passato di moda, l'ideologia più penetrante nel mondo. Io la chiamo l'Ossessione del Sovraffollamento del Pianeta, che corrisponde alla sigla O.S.P. Questa formula mi sembra definire nel migliore dei modi la sostanza di questa ideologia, e non perché il rappresentante di un paese protestante, la Norvegia, se ne è fatto il cantore a Il Cairo. Infatti, si tratta di una vera ossessione, antica, che riappare periodicamente nella vita delle idee (24) e che si è dispiegata di nuovo con forza negli anni 1990. La si trova già nell'antichità greca in Platone o nel secolo XVIII con i premalthusiani. Essa verrà magnificata a partire dal 1798 con le diverse versioni di An Essay on the Principle of Population, di Thomas Robert Malthus (25), che appaiono appunto all'epoca in cui i progressi tecnici e scientifici cominciano a rivoluzionare il ciclo della vita degli uomini e a contraddire la credenza malthusiana in limiti nella produzione. Il secolo XIX separerà i maltusiani dai non maltusiani nel seno stesso delle grandi correnti di pensiero: socialismo, liberalismo e anche cattolicesimo. Ciascuno si trova diviso in se stesso quando si tratta di sapere se bisogna felicitarsi per l'aumento del numero degli esseri umani oppure temerlo.

Molto meno comprensibile è il ritorno dell'O.S.P. all'inizio degli anni 1970, con il Club di Roma. Infatti, all'inizio del secondo terzo del secolo XX, la demografia è una scienza che ha fatto molti progressi e molti processi demografici - come i fenomeni d'inerzia o lo schema della transizione demografica - sono ormai ben noti. Ma vi è, di fronte alla realtà, un vero "rifiuto di vedere" (26). Un'altra caratteristica dell'O.S.P. sta nel mostrarsi incapace di guardare una carta di popolamento del pianeta: essa vi vedrebbe allora che il 95% delle terre emerse ha una densità di popolazione debole. La metà della popolazione mondiale abita nei tre complessi internazionali a densità più elevata che sono il Sudest asiatico, una parte del subcontinente indiano e una parte dell'Europa Occidentale e Settentrionale. L'altra metà della popolazione mondiale, che occupa 142.500.000 km quadrati, è dispersa su vasti territori, fuori dai dieci spazi urbanizzati relativamente densi. Detto in altre parole, sul 5% delle terre, cioè 7.500.000 km quadrati, vi è una densità di 400 abitanti per km quadrato, cifra inferiore a quella dei Paesi Bassi (453), dell'Isola Mauritius (595) o della regione Île-de-France (890). Sul rimanente 95% la densità media è di 21 abitanti per km quadrato, inferiore a quella di parecchi dipartimenti poco popolati di Francia (Creuse, 23; Ariège, Cantal e Gers, 27; Alta Corsica, 28; Lot e Corsica Meridionale, 29; Aveyron, 30; Meuse, 31; e così via). Se la totalità della popolazione mondiale fosse riunita sul territorio degli Stati Uniti d'America, e il resto del mondo fosse vuoto, la densità di quei territori sarebbe inferiore a quella della regione Île-de-France. In realtà, chiunque abbia voluto accedere correttamente all'autentica conoscenza demografica, sa che la diminuzione della fecondità nel mondo si opera secondo lo schema della transizione demografica e che nulla permette di giustificare l'O.S.P. Inoltre, questa ideologia deve essere scartata perché trascura l'importanza delle potenzialità degli uomini e della terra e soprattutto perché crea riflessi di paura del futuro, che non favoriscono le scelte più giudiziose per l'avvenire. Si sa che questa ideologia ha parzialmente influenzato i lavori della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo, il che porta a una riflessione che conviene intitolare "misteri sul Nilo", per riprendere la formulazione di un titolo di Agatha Christie, Morte sul Nilo.

 

 

"Misteri sul Nilo"

Questi misteri derivano dall'ingenuità di certe analisi e dall'utilizzo di nuove formulazioni: i loro autori sperano che il loro uso basterà ad assicurare il progresso. Il primo mistero è quello del misconoscimento dei meccanismi demografici da parte di una grande percentuale di delegati. L'astuzia consiste forse nell'annunciare una grande politica di "pianificazione della famiglia" per poi vantarsi della diminuzione della crescita demografica nel mondo, diminuzione che è certa e già avviata, senza che dipenda molto da quanti pensano di controllare le popolazioni. Come ogni essere umano ha diritto a un ambiente che gli permetta di accedere alla dignità della paternità o della maternità responsabili, così deve essere bandita ogni politica autoritaria, quindi coercitiva. Un altro mistero risiede nell'interesse sempre più ostentato di occuparsi delle "generazioni future". Interessarsi delle "generazioni future", secondo la terminologia utilizzata alla Conferenza de Il Cairo, è più che lodevole, ma per assicurare una vita migliore alle generazioni future bisognerebbe forse far di tutto per migliorare quella delle generazioni presenti. Così, la Conferenza de Il Cairo non ha detto praticamente una parola sui problemi posti dallo sviluppo nel mondo contemporaneo, soggetto che tuttavia costituiva la metà del programma promesso nel titolo della Conferenza. Non è stato fatto alcun inventario delle politiche di sviluppo applicate nei diversi Stati per distinguere quelle che si sono rivelate efficaci dalle altre. Quanto alla preoccupazione per le "generazioni future", è stata solamente molto parziale.

Per esempio, non è stato detto nulla sugli effetti economici e sociali, ma anche culturali e morali, che l'insufficienza delle generazioni future rischia di portare con sé in certi paesi d'Europa, che conoscono già - in alcuni casi da oltre un ventennio - una fecondità particolarmente bassa. Il terzo mistero è anche nelle parole. Dopo la Conferenza tenuta a Rio de Janeiro nel 1993, gli esperti sono giunti alla conclusione che bisognava chiamare "sviluppo sostenibile" il tipo di sviluppo auspicabile, cioè sviluppo la cui durata è assicurata sempre a favore d'una migliore qualità della vita. Nessuno si può opporre alle buone intenzioni contenute in questo nuovo concetto. Ma è legittimo chiedersi se il suo uso ripetuto non sia un modo per mascherare gli errori di valutazione di ieri. Infatti si sa che i paesi a cui, negli anni 1950, la maggior parte degli esperti profetizzava un "non sviluppo" come il Giappone, Taiwan o la Corea, hanno conosciuto lo sviluppo mentre quelli a cui si pronosticava la ricchezza, come l'Africa equatoriale, che possiede risorse considerevoli, non sono riusciti a decollare. Inoltre il concetto, attualmente molto gradevole, di "sviluppo sostenibile" è, di fatto, molto indeterminato. Sembrava d'altronde difficile proporne le misure operative. Per certo si è tentato di elaborare un indice dello sviluppo umano, ma esso non si è rivelato più operativo degli indici di sviluppo economico (27). Infatti porta a certi risultati che urtano il buon senso. Domandarsi oggi se lo sviluppo constatato in questo o in quel paese è di natura "sostenibile" equivale, in una certa misura, a discutere sul... "sesso degli angeli". Alcuni potrebbero concludere che la tendenza a enunciare nuovi concetti, in realtà molto indeterminati, è un modo di mascherare un certo rifiuto del reale, mentre converrebbe previamente approfondirli. Lo studio della mitologia demografica contemporanea porta così a comprendere perché fanno la loro comparsa parole nuove per esprimere buoni sentimenti che non realizzano necessariamente buone politiche. Nell'ora in cui le tecniche portano una sofisticazione e un uso crescente di immagini virtuali nei media, i miti demografici appaiono come altrettante immagini virtuali, seducenti e ingannevoli. Va a onore dell'uomo scartare i miti accecanti per accedere alla conoscenza vera, perché la conoscenza è la libertà dell'uomo. Rifiutarla significa cessare di essere. Significa accettare di farsi trascinare nell'abisso, seguendo l'immagine molto forte dei montoni di Panurgo (28).

Dr. Gérard-François Dumont