Ai primi del 1944 ci fu rivolto l'invito formale di arruolarci in una legione italiana, sul tipo di quella in cui erano stati attruppati i romeni. La formazione sarebbe stata impiegata al fronte o nelle retrovie.

A questo scopo furono fatti tornare tra noi i generali Riccagno, Battisti e Pascolini, i «nostri veci», come li chiamavamo affettuosamente. I cappellani superstiti dichiararono, dal canto loro, che solo con truppe italiane, comandate da italiani, avrebbero eventualmente prestato la loro opera di assistenza spirituale e materiale.

Il nostro, comunque, fu un pronunciamento del tutto platonico, perché i russi ci fecero subito sapere che, in ogni caso, non avrebbero mai permesso ai cappellani di seguire le truppe.

Il colonnello Krassin tenne a comunicarcelo per iscritto, e l'annotazione vergata di suo pugno è tuttora nelle mani di don Franzoni. Il secco «no» riguardava anche la richiesta di portarci nei campi dove erano rinchiusi soldati italiani.

Questa posizione di spietato ostracismo nei confronti della religione non ci meravigliava.

Sul giornale del lager e sul famigerato giornaletto L'Alba, che veniva stampato a Mosca e distribuito tra gli italiani prigionieri - Joli l'aveva coloritamente definito «la palestra degli imbecilli» - gli attacchi alla religione cattolica e al Pontefice erano all'ordine del giorno e raggiungevano sovente i vertici del sacrilegio.

Ci stupiva, invece, l'atteggiamento degli italiani da poco convertitisi al marxismo, i quali sottoscrivevano su L'Alba articoli e «pamphlets» che battevano largamente, per livore, odio e faziosità, quelli degli stessi propagandisti del partito sovietico.  

 

 

 

 

 

 

(1) La fotografia è tratta dalla pubblicazione del Ministero della Difesa, CSIR-ARMIR. Campi di prigionia e fosse comuni, Gaeta 1996, 74.