Un esempio del buon gusto del fuoruscitismo italiano in Russia lo fornì Robotti il giorno in cui ci tenne una conferenza sulla situazione italiana. «L'Italia è in condizioni tragiche» ci annunciò soddisfattissimo ed euforico.

«Le sue città sono ridotte a cumuli di macerie, l'esercito tedesco, e quello alleato combattono per le strade; la fame e le malattie dilaniano la popolazione».

Se con queste notizie apocalittiche sperava di conquistarci alla sua causa, si sbagliava. Non avremmo mai fatto opera di convincimento sui soldati perché abbracciassero le ideologie dei senza Dio.

Robotti e gli altri fuorusciti, tuttavia, non avevano fretta. Eravamo nelle loro mani. La nostra vita, il nostro cibo, il nostro futuro dipendevano dalle decisioni dei loro padroni.

«Potremmo fare di questi ribelli ciò che vogliamo» si vantava spesso Robotti con gli ufficiali che frequentavano la scuola di antifascismo. «Ma useremo con essi il sistema che seguono i battellieri del Volga per acciuffare i grossi pesci.

Si getta l'amo e quando il pesce ha abboccato non lo si tira su subito, perché il filo potrebbe spezzarsi, ma gli si dà corda e lo si lascia dimenare all'impazzata. Quando sarà stanco, sfinito, basterà tirare dolcemente la lenza e il pesce si troverà a riva senza accorgersene».

Qualche settimana piú tardi, si scatenò una massiccia offensiva propagandistica intesa a dimostrarci che la radio l'aveva inventata Popof e che Marconi era un ladro di brevetti.

Quindi il maggiore Laurentief, che aveva sostituito al comando politico del campo di Susdal il collega Procuranof, decise di adoperare la maniera forte.

A Mosca egli aveva comunicato che il fiasco della propaganda sovietica tra gli ufficiali italiani prigionieri era da attribuire alla pertinace resistenza di un gruppo di "ribelli". Era consigliabile trasferirli altrove e al piú presto.

 

 

 

 

 

 

(1) La fotografia è tratta dalla pubblicazione del Ministero della Difesa, CSIR-ARMIR. Campi di prigionia e fosse comuni, Gaeta 1996, 83.