Il 15 agosto, tra l'emozione di tutti, celebrai finalmente la Santa Messa. Nelle settimane che seguirono, i miei splendidi compagni si dedicarono al «potenziamento» della nostra cassetta da Messa. Il maggiore Zigiotti ornò la tovaglia, il capitano Musitelli e il marinaio Riccò confezionarono e resero lustra una improvvisata pianeta, il capitano Jovino e il soldato De Cassian ricavarono da rimasugli di legno un ostensorio, un calice, un leggio e un crocefisso.

Non potrò mai dimenticare, e con me nessuno di essi, la toccante sublimità di quelle Messe tra i reticolati del campo 5 di Stalino. La mattina del 23 ottobre, appena terminata la Messa, arrivò come una folgore l'ordine di rimpatriarmi al piú presto con l'altoatesino Complicher.

La sera del 25 ottobre mi ritrovai al campo 2 di Kiev dove incontrai il sottotenente Enzo Boletti di Brescia, un giovane ufficiale della divisione Tridentina, passato attraverso romanzesche vicissitudini. Nel campo venivano concentrati a quell'epoca tutti i prigionieri stranieri con condanne non superiori ai dieci anni. Appresi cosí che un'amnistia misteriosa aveva schiuso a me e agli altri le porte del carcere. Come non interpretarla un lieto prologo del ritorno?

Nei giorni che seguirono, dai prigionieri che giungevano di volta in volta dai piú diversi campi dell'Unione Sovietica, seppi qualcosa della sorte toccata ad alcuni camerati: il capitano Jovino era in un campo-carcere di Odessa, dove in campi separati si trovavano detenuti il capitano Pennisi e il capitano Musitelli. Il marinaio Riccò e il soldato Neri erano degenti all'ospedale per prigionieri della stessa città.

Il 6 novembre, dopo giorni di alternanti speranze e di pessimistiche previsioni, arrivò la solita doccia fredda. Niente rimpatrio, si torna indietro. Qualcuno a Mosca o in qualche altro posto della Russia aveva cambiato idea. Sotto un gelido acquazzone, con Boletti, Komplicher e me erano centocinquanta austriaci, tedeschi, cecoslovacchi e polacchi, marciammo sino alla stazione di Kiev; su un binario morto era in sosta un treno. Vi salimmo affranti.

Quando il convoglio si arrestò, eravamo nei pressi del campo 7 di Stalino. Per l'intero mese di novembre tempestai il comando del campo di richieste per essere riunito agli italiani del campo 5, e il 22 dicembre mi fu finalmente concessa la gioia di riabbracciarli. Al campo 5 erano arrivati nel frattempo da Odessa il capitano Jovino, assai malandato fisicamente, ma sempre inesauribile nello spirito, il capitano Musitelli, il tenente Pennisi e il soldato altoatesino Frank.

Riabbracciai inoltre con immenso piacere gli altri altoatesini, che dovevano essere rimpatriati nel 1954, col sergente Di Nuzo, il soldato Scagliotti, e i tre miei fidatissimi «moschettieri»: De Cassian, De Franceschi e Robatscher. Notai che nel buio di tutti quegli anni la loro Fede era sopravvissuta limpidissima, come faro in mezzo alla tempesta. Gli ufficiali mi portarono in dono un Messalino che avevano acquistato, con sacrifici non indifferenti, da un soldato tedesco.

 

 

 

 

 

 

(1) La fotografia è tratta dalla pubblicazione del Ministero della Difesa, CSIR-ARMIR. Campi di prigionia e fosse comuni, Gaeta 1996, 68.