I DISPERSI

 

 

Vivono ancora prigionieri italiani in Russia? Quanti sono? Ventimila, diecimila, mille? Possibile che proprio tutti i "dispersi" siano stati inghiottiti dalla steppa? E non può darsi che molti siano sopravvissuti svestendo il grigioverde e lasciandosi assorbire dalla popolazione russa? È vero o non è vero che molti hanno sposato donne russe e hanno messo su casa, e hanno avuto figli? Dobbiamo ancora sperare o no?

Tutti questi interrogativi, ed altri ancora suggeriti dall'angoscia delle famiglie orbate dei loro cari, sono proposti puntualmente ogni volta che il doloroso argomento dei dispersi in Russia viene in discussione. Le stesse domande mi hanno rivolto al mio ritorno, e continuano a rivolgermi, madri, spose, fratelli, figli. lo non intendo imporre la mia opinione, e tanto meno togliere la speranza a tante madri. No! lo racconto soltanto ciò che ho visto, nient'altro. Dio volesse che quanto scrivo fosse soltanto un sogno. Purtroppo cosí non è.

Ed ecco la verità sulla questione dei dispersi in Russia. Prego i lettori di evitarmi in merito penose polemiche. Ognuno è libero di credermi o no. La difficoltà di essere creduti sta probabilmente nell'illusione seminata a piene mani durante il dopoguerra; sta nell'illusoria convinzione che sopravvivano ancora, sparsi nell'enorme territorio dell'Unione Sovietica, italiani che fecero parte del Corpo di spedizione in Russia.

Mettiamoci il cuore in pace, ripeto, rassegniamoci per sempre. Se non per pochissimi - parlo sempre di soldati dell'A.R.M.I.R. - da contarsi sulle dita, a tutte le altre famiglie che ancora attendono invano, diciamo: le speranze sono poche. Perché? perché? perché? ripeterà l'angoscia delle madri, delle spose, dei figli.

La realtà è spietata, ma sarebbe disonesto il continuare ad ignorarla. Cercherò di spiegarla il meglio possibile e chiamo a testimone della tragica verità di essa Iddio, e gli undicimila prigionieri ritornati dalla Russia. La situazione del prigioniero in Russia, al momento del crollo del fronte, dai mesi di dicembre 1942 e del gennaio 1943 in poi, toccò gli abissi della piú orribile tragedia.

Dei piú di settantamila italiani inghiottiti dalle «sacche» nelle quali si eran trovati serrati dall'avanzata delle armate sovietiche, la maggior parte morí fra il gennaio e l'aprile del 1943. «È impossibile», viene spontaneo di dire. Purtroppo è vero, invece, tragicamente vero. Per comprendere come ciò non soltanto fosse possibile, ma divenisse atrocemente normale per settimane e settimane, è necessario tener presente sei punti fondamentali:

1) Il soldato caduto nelle mani dei sovietici era meno di zero. I piccoli gruppi venivano passati per le armi col seguente ordine di precedenza: tedeschi, camicie nere, cappellani militari. Chi si salvò lo dovette al fatto di essere stato catturato con reparti di una certa consistenza.

2) Il soldato russo di guardia alle colonne, i partigiani e le "compagne" della scorta sparavano sui prigionieri quando volevano, per qualsiasi capriccio, e di ciò non dovevan render conto a nessuno.