3) Le truppe autocarrate che incrociavamo durante la «marcia del davài», sparavano a loro volta con mitragliatrici, parabellum e fucili contro le colonne, e quel macabro tiro al bersaglio apriva sempre vuoti paurosi tra i prigionieri. A chi toccava toccava.

4) Tutti coloro che cadevano prostrati lungo il cammino, stroncati dalla fatica, dalla fame, dal congelamento o dalle ferite, venivano immediatamente eliminati col classico colpo di fucile alla nuca. Quelli che scampavano al colpo alla nuca perché la scorta non avrebbe materialmente potuto liquidarli, erano irrimediabilmente condannati a morte dal freddo.

5) I sopravvissuti al piombo dei sovietici furono uccisi dalla sete e dalla fame. Di fame e di sete morirono i primi compagni, e di tutte le malattie connesse alla totale mancanza di vitto. Collassi cardiaci, paurosi edemi fulminanti e via dicendo aumentarono la strage.

6) Chi riuscí ad arrivare alla fine della "marcia del davài" si trovò a tu per tu con le epidemie: tifo petecchiale e dissenteria. Sino al momento in cui furono catturati, tutti i reparti italiani erano rimasti indenni da malattie infettive. Il servizio sanitario dell'esercito italiano fu certamente quello che funzionò meglio, in modo tale da non permettere che sorgessero epidemie.

Il tifo petecchiale e la dissenteria furono lasciati in eredità ai prigionieri nei vagoni ferroviari che erano serviti per trasportare la popolazione ucraina nel retrofronte.

Per questi motivi nei primi quattro mesi del 1943 le quattro armate catturate dai sovietici sul fronte del Don, le armate italiana, tedesca, ungherese e romena seminarono la steppa di una percentuale di effettivi che va da un minimo dell'83 per cento a un massimo del 96 per cento.

Quando fu conclusa tra U.R.S.S., Gran Bretagna e Stati Uniti la convenzione secondo la quale sarebbero state inviate in Russia tante razioni viveri quanti erano gli effettivi prigionieri di guerra nei lager russi, i sovietici, pur di avere generi commestibili, trasmettevano elenchi di cadaveri e pur di ottenere facili effetti propagandistici, facevano leggere alla radio i nomi di molti italiani e tedeschi già morti, o addirittura elenchi di interi reparti trovati nelle furerie, senza preoccuparsi del fatto che in quel momento i reparti erano magari ridotti a un decimo.

L'ottanta per cento di coloro di cui si comunicavano le generalità era già morto, o agonizzava, ma questo non importava alla propaganda sovietica.

La M.V.D. risuscitava i caduti il tempo strettamente indispensabile per le trasmissioni radio e le richieste di viveri. Questi elenchi vennero ripetuti fino al 1945 da Radio Mosca e vennero raccolti dalle radio italiana e vaticana, da agenzie private e dalla Croce Rossa le quali, ovviamente, ignoravano che i sovietici si erano ben guardati dal controllare gli elenchi per accertare chi fossero i morti e chi i vivi.