Il mistero della Trinità

Abbiamo detto molte volte che Dio è amore: perché? E perché abbiamo parlato di un Dio che è trinitario? Cosa significa trinitario? Sono tutte domande legate l’una all’altra. Rispondiamo anzitutto alle ultime due domande. Lo facciamo utilizzando un’antica e bellissima professione di fede chiamata anche “Simbolo atanasiano”, essendo stato attribuito a Sant’Atanasio, vescovo e dottore della Chiesa, nato ad Alessandria di Egitto nel 295. In realtà il vero autore è ignoto. Ecco un estratto di questo bellissimo testo:

«Chiunque voglia salvarsi deve anzitutto possedere la fede cattolica. Colui che non la conserva integra ed inviolata perirà senza dubbio in eterno. La fede cattolica è questa: che veneriamo un unico Dio nella Trinità e la Trinità nell’unità. Senza confondere le persone e senza separare la sostanza. Una è infatti la persona del Padre, altra quella del Figlio ed altra quella dello Spirito Santo. Ma Padre, Figlio e Spirito Santo hanno una sola divinità, uguale gloria, coeterna maestà. Quale è il Padre, tale è il Figlio, tale lo Spirito Santo. Increato il Padre, increato il Figlio, increato lo Spirito Santo. Immenso il Padre, immenso il Figlio, immenso lo Spirito Santo. Eterno il Padre, eterno il Figlio, eterno lo Spirito Santo E tuttavia non vi sono tre eterni, ma un solo eterno. Come pure non vi sono tre increati né tre immensi, ma un solo increato e un solo immenso. Similmente è onnipotente il Padre, onnipotente il Figlio, onnipotente lo Spirito Santo. Tuttavia non vi sono tre onnipotenti, ma un solo onnipotente. Il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio. E tuttavia non vi sono tre Dei, ma un solo Dio. Signore è il Padre, Signore è il Figlio, Signore è lo Spirito Santo. E tuttavia non vi sono tre Signori, ma un solo Signore. Poiché come la verità cristiana ci obbliga a confessare che ciascuna persona è singolarmente Dio e Signore, cosí pure la religione cattolica ci proibisce di parlare di tre Dei o Signori. Il Padre non è stato fatto da alcuno: né creato, né generato. Il Figlio è dal solo Padre: non fatto, né creato, ma generato. Lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figlio: non fatto, né creato, né generato, ma da essi procedente. Vi è dunque un solo Padre, non tre Padri; un solo Figlio, non tre Figli, un solo Spirito Santo, non tre Spiriti Santi. E in questa Trinità non v’è nulla che sia prima o poi, nulla di maggiore o di minore: ma tutte e tre le persone sono l’una all’altra coeterne e coeguali. Cosicché in tutto, come già è stato detto, va venerata l’unità nella Trinità e la Trinità nell’unità. Chi dunque vuole salvarsi, pensi in tal modo della Trinità».

Dopo aver letto questo brano dovremmo avere un’idea chiara di cosa intendiamo quando parliamo del mistero della Trinità che, insieme a quello dell’incarnazione, della passione, morte e risurrezione di Cristo, è uno dei misteri principali della nostra fede. Certamente non abbiamo svelato il mistero in alcun modo, ne abbiamo solo definito i contorni. Grazie al Vangelo però qualcosa possiamo sondarne le profondità e capire, anche con la ragione, che il mistero in cui crediamo non è un’enunciazione gratuita e priva di senso. Lasciamo per un attimo la riflessione teorica e rivolgiamoci alla vita quotidiana.

Ricordo la testimonianza di un parroco che con un gruppo di giovani si recò in un paese islamico durante le vacanze estive. Erano stati accolti presso una famiglia islamica molto ospitale e devota. A sera, dopo cena, si ritrovavano spesso nella terrazza per trascorrere insieme qualche ora al fresco. Non di rado il papà di quella famiglia introduceva qualche discorso religioso, finché una volta il discorso cadde sulla fede cristiana: “Noi islamici crediamo in un Dio unico, anche voi cristiani dite di avere la stessa fede, perché allora parlate di tre dèi diversi”? Ognuno si spiegò come meglio poteva ma il mussulmano - a dispetto di tutte le argomentazioni teologico-filosofiche - restava sempre perplesso. Finalmente prese la parola un giovane e disse piú o meno cosí: “Io non ho studiato teologia, quindi mi esprimo come so e posso, però sono convinto di quello che dico. Da quando mi sono innamorato la mia vita è cambiata radicalmente, mi sento trasformato, mi sento piú felice, piú vivo, piú aperto agli altri, piú disponibile e piú autentico! Io non so parlare di Dio, ma una cosa è certa: Dio non è da meno di me! Se io sono capace di amare lui è infinitamente piú capace di me, ma chi amerebbe se fosse solo? Dio non può essere una solitudine infinita ma deve avere qualcuno con cui parlare, qualcuno da amare, allo stesso livello. Ecco, è in questo modo che io riesco a farmi un’idea di come Dio non sia una solitudine ma sia una trinità di persone, una comunione di amore”! A queste parole il papà mussulmano rispose: “Io non ho mai sentito parlare cosí di Dio, ma ora che tu l’hai fatto, penso anche io che Dio non possa essere da meno di noi nemmeno nell’amore. Quello che hai detto mi fa davvero riflettere”.

È proprio vero, Dio non è una solitudine infinita, non è una sorta di monade chiusa in se stessa! L’amore implica un dialogo, richiede un “io” e un “tu” capaci di incontrarsi e di comunicare scambievolmente allo stesso livello. Senza dialogo, senza incontro personale non si dà amore. Nell’unico mistero che è Dio perciò deve esserci una comunione personale che rende ragione di tutto questo, del fatto che Dio è - appunto - Amore, proprio come dice l’apostolo Giovanni (1Gv 4,7). Qualcuno però potrebbe obbiettare che Dio è amore in quanto ama le sue creature. Ma questo non è possibile per una semplice e irrinunciabile ragione ontologica: se Dio, per essere ciò che è, cioè Dio-Amore, avesse bisogno di noi creature, allora non sarebbe piú Dio, ma creatura egli stesso! Dio è Dio - appunto - perché ha in se stesso la ragione del suo essere e della sua felicità. A dispetto di una proposizione demagogica della fede Dio non ha alcun bisogno di noi, non ci cerca perché ha bisogno di noi, ma solo per un amore gratuito! Forse questo ad alcuni potrà sembrare deludente e invece rende la nostra fede piú esaltante. Ho già detto che l’amore di Dio è incondizionato: Dio ama perché “vuole amare” non perché “ha bisogno” di amare! Sí, Dio non ha bisogno di noi, ma, in certo qual modo, “ha scelto di aver bisogno di noi”! Si è “compromesso” con noi rendendoci partecipi di lui ad un punto tale che ormai questo rapporto è inscindibile al punto tale da essere destinato all’eternità. Questa verità sí, è davvero entusiasmante!

Stiamo sempre attenti alle proposte, che non di rado ci vengono offerte, di una fede scontata, semplificata, ammorbidita ed annacquata. La fede cristiana nella sua integralità è impegnativa ma è l’unica degna di essere creduta e vissuta perché non delude. Può costare anche tanto, ma alla lunga non delude mai!

 

 

Fede, intelletto e amore

A proposito di fede e di semplificazioni, c’è una frase che si sente spesso anche in bocca a persone che si dicono credenti: “Io credo in Dio”, sottinteso come “Dio per me esiste”, oppure... “secondo me Dio esiste”! Bella professione di fede che potrebbe risuonare benissimo nella bocca di un mussulmano o di un induista, di un massone o di un animista; ma questa è fede cristiana? Ad essere sinceri la frase “credo nell’esistenza di Dio” potrebbe pronunciarla benissimo anche il diavolo in persona. Strano? No, infatti leggiamo in un brano della lettera dell’apostolo Giacomo: «Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano!» (Gc 2,19). No, noi non possiamo ridurre la nostra fede... a quella dei diavoli! La nostra fede è ben altra cosa ed è molto piú profonda e determinata: noi non crediamo solo nell’esistenza di Dio, crediamo anche nel fatto che Dio si è manifestato in Gesú Cristo e crediamo anche nel fatto che questo Dio ci ama personalmente e infinitamente! L’accento perciò si sposta dalla fede nell’esistenza di Dio (che per un cristiano dovrebbe essere ovvia e scontata) alla fede (molto piú profonda e coinvolgente) nell’amore di Dio per noi! La differenza dunque è abissale. Ecco come - nel cosiddetto Simbolo atanasiano - si parla della nostra fede in Cristo:

«Ma per l’eterna salvezza è necessario credere fedelmente anche all’Incarnazione del Signore nostro Gesú Cristo. La retta fede vuole, infatti, che crediamo e confessiamo che il Signore nostro Gesú Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo. È Dio, perché generato dalla sostanza del Padre fin dall’eternità; è uomo, perché nato nel tempo dalla sostanza della madre. Perfetto Dio, perfetto uomo: sussistente dall’anima razionale e dalla carne umana. Uguale al Padre nella divinità, inferiore al Padre nell’umanità. E tuttavia, benché sia Dio e uomo, non è duplice ma è un solo Cristo. Uno solo, non per conversione della divinità in carne, ma per assunzione dell’umanità in Dio. Totalmente uno, non per confusione di sostanze, ma per l’unità della persona. Come infatti anima razionale e carne sono un solo uomo, cosí Dio e uomo sono un solo Cristo. Che patí per la nostra salvezza, discese agli inferi, il terzo giorno è risuscitato dai morti. E salito al cielo, siede alla destra di Dio Padre onnipotente, e di nuovo verrà a giudicare i vivi e i morti. Alla sua venuta tutti gli uomini dovranno risorgere nei loro corpi e dovranno rendere conto delle proprie azioni. Coloro che avranno fatto il bene andranno alla vita eterna: coloro, invece, che avranno fatto il male, nel fuoco eterno. Questa è la fede cattolica, e non potrà essere salvo se non colui che l’abbraccerà fedelmente e fermamente».

A questa fede in Cristo, vero Dio e vero uomo, noi non possiamo e non dobbiamo mai rinunciare.

Scrive infatti l’apostolo Giovanni:

«Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo. Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesú Cristo è venuto nella carne, è da Dio; ogni spirito che non riconosce Gesú, non è da Dio. Questo è lo spirito dell’anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo. Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto questi falsi profeti, perché colui che è in voi è piú grande di colui che è nel mondo. Costoro sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta. Noi siamo da Dio. Chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta. Da ciò noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell’errore» (1Gv 4,1-6).

Chiunque predichi una fede che non riconosca Gesú Cristo come Dio e come uomo predica una fede che non viene da Dio, anzi è contro Dio. Da quando il Verbo si è fatto carne la vera fede è distinguibile da due diversi sigilli che non possono essere alterati o manomessi e devono essere entrambi sempre presenti. Chi predica l’amore di Dio senza l’amore per l’umanità non è da Dio!

Chi predica l’amore per l’uomo odiando Dio non è da Dio. Ogni volta che ci troviamo di fronte al disprezzo e all’odio dell’umanità in quanto tale ci troviamo dinanzi allo spirito dell’anticristo che odia l’uomo e tutto ciò che è dell’uomo essendo l’uomo immagine vivente di Dio.

Ormai da quanto abbiamo detto dovrebbe essere evidente una cosa: la fede cristiana non è estranea ai nostri affetti, alle nostre esigenze umane piú profonde, alla nostra vita affettiva e di relazione! La fede pertanto se non tocca nel concreto la nostra vita non è credibile: è segno che non l’abbiamo intesa rettamente e che quindi non la stiamo “vivendo autenticamente”. Ancora una volta ascoltiamo Teresa d’Avila che parla appassionatamente dell’amore di Cristo:

«Ricordiamoci sempre dell’amore di Cristo. Chi ha come amico Cristo Gesú e segue un capitano cosí magnanimo come lui, può certo sopportare ogni cosa; Gesú infatti aiuta e dà forza, non viene mai meno ed ama sinceramente. Infatti ho sempre riconosciuto e tuttora vedo chiaramente che non possiamo piacere a Dio e da lui ricevere grandi grazie, se non per le mani della santissima umanità di Cristo, nella quale egli ha detto di compiacersi. Ne ho fatto molte volte l’esperienza, e me l’ha detto il Signore stesso. Ho visto nettamente che dobbiamo passare per questa porta, se desideriamo che la somma Maestà ci mostri i suoi grandi segreti. Non bisogna cercare altra strada, anche se si è raggiunto il vertice della contemplazione, perché per questa via si è sicuri. E da lui, Signore nostro, che ci vengono tutti i beni. Egli ci istruirà. Meditando la sua vita, non si troverà modello piú perfetto. Che cosa possiamo desiderare di piú, quando abbiamo al fianco un cosí buon amico che non ci abbandona mai nelle tribolazioni e nelle sventure, come fanno gli amici del mondo? Beato colui che lo ama per davvero e lo ha sempre con sé! Guardiamo il glorioso apostolo Paolo che non poteva fare a meno di avere sempre sulla bocca il nome di Gesú, perché l’aveva ben fisso nel cuore. Conosciuta questa verità, ho considerato e ho appreso che alcuni santi molto contemplativi, come Francesco, Antonio di Padova, Bernardo, Caterina da Siena, non hanno seguito altro cammino. Bisogna percorrere questa strada con grande libertà, abbandonandoci nelle mani di Dio. Se egli desidera innalzarci fra i principi della sua corte, accettiamo volentieri tale grazia. Ogni volta poi che pensiamo a Cristo, ricordiamoci dell’amore che lo ha spinto a concederci tante grazie e dell’accesa carità che Dio ci ha mostrato dandoci in lui un pegno della tenerezza con cui ci segue: amore infatti domanda amore. Perciò sforziamoci di considerare questa verità e di deciderci ad amare. Se il Signore ci facesse la grazia, una volta, di imprimerci nel cuore questo amore, tutto ci diverrebbe facile e faremmo molto, in breve e senza fatica» (Cfr. TERESA DI GESÚ, Il libro della vita, cap. 22,6-7.14).