Attenzione! Il testo, per la complessità e la natura degli argomenti trattati, è rivolto esclusivamente ad un pubblico adulto.
«L’iniquità è uscita da Babilonia
per opera di anziani e di giudici,
che solo in apparenza sono guide del popolo» (Dan 13,5)
L’ONU e la questione pedofilia
Il 5 febbraio 2014 un farneticante documento pubblicato dal Comitato ONU per i Diritti dell’Infanzia attacca violentemente la Santa Sede sulla questione pedofilia. Eppure il 16 gennaio 2014, dopo l’audizione della rappresentanza vaticana in seno al Comitato, diversi delegati si congratularono con Monsignor Silvano Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede all’ONU di Ginevra, per le esaurienti e circostanziate risposte date alle domande della Commissione. Fra le eccezioni vi fu una ONG, la CRIN (Child Rights Information Network), presente nel Comitato, che aveva cercato di montare per l’occasione un “caso Vaticano” con la pubblicazione di un rapporto contro la Chiesa cattolica facendo ampio ricorso alla stampa.
Un documento-denuncia, pronto già da tempo (infatti non tiene conto delle risposte già date dalla Santa Sede il 16 gennaio 2004), pieno di menzogne e di pretese gravissime e inammissibili che ha in realtà un solo fine: gettare il discredito sulla Chiesa. Ma cosa è il Comitato per i Diritti dell'Infanzia? Si tratta di un corpo di diciotto esperti eletti dagli Stati che hanno aderito alla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, le cui raccomandazioni non sono giuridicamente vincolanti. Il suddetto Comitato decide di evidenziare cosí una serie di settori dove la Santa Sede non rispetterebbe la Convenzione, raccomandando le opportune riforme. Esaminiamo i punti principali.
Primo punto: l’omosessualità (che non ha alcuna attinenza con i diritti dell’infanzia, ma viene fatta rientrare artificiosamente affermando che il Comitato si preoccupa di tutelare “gli adolescenti e i bambini gay, lesbiche, bisessuali e transgender”). Per difendere questi bambini il Comitato invita la Chiesa a seguire... “la dichiarazione progressista rilasciata da papa Francesco nel luglio 2013” (si allude all'espressione ghiottamente strumentalizzata: “Chi sono io per giudicare?”), che tuttavia si riferiva alle persone in sé e non ai loro comportamenti oggettivi. Il Comitato si inoltra ampiamente in una tematica che non gli compete e chiede anche il ripudio dei... “precedenti documenti e dichiarazioni sull’omosessualità”.
Secondo punto: l’uguaglianza fra uomini e donne. La Santa Sede viene criticata perché non usa sempre un linguaggio “gender inclusive” e perché parla di “complementarietà” del ruolo maschile e femminile, il che implica la diversità dei ruoli, posizione opposta all’ideologia che il Comitato pretende di imporre.
Terzo punto: le punizioni corporali. Il rapporto si schiera contro qualunque forma di punizione corporale, con considerazioni non solo pedagogiche, in parte condivisibili, ma perfino teologiche. Si chiede che la Santa Sede... “si assicuri che un’interpretazione della Scrittura tale da non giustificare le punizioni corporali si rifletta nell’insegnamento della Chiesa e […] sia incorporata nell’insegnamento e nell’educazione teologica”. A prescindere dal merito, si può notare come il Comitato pretenda addirittura di dettare alla Chiesa come vada interpretata la Sacra Scrittura. Un Comitato la cui composizione, divulgata dai mass-media, non rappresenta certo il massimo né quanto a competenze teologiche, né morali.
Quarto punto: la pedofilia. Con una completa assenza di note e riferimenti precisi, si parla di “decine di migliaia” di bambini vittime dei preti pedofili. Statistiche desunte acriticamente da un attacco del 2011 del governo irlandese alla Santa Sede, pieno di inesattezze, cui il Vaticano aveva già risposto in modo dettagliato.
Per comprendere la strumentalità delle accuse basta dare anche un’occhiata ai numeri. Fatta salva la gravità e la condanna degli abusi sui minori, è necessario valutare l’effettiva dimensione del fenomeno. A giudicare dai media si sarebbe portati a pensare che la pedofilia sia un problema legato soprattutto alla Chiesa, ma la realtà è molto diversa. La pedofilia è un problema internazionale di vaste dimensioni, dove la Chiesa è coinvolta solo in minima parte. È stata anzi la Chiesa a denunciare fra i primi l’infame traffico internazionale del turismo pedofilo. In un libro pressoché dimenticato (-, L’arcipelago della vergogna: turismo sessuale e pedofilia, Roma, Edizioni Universitarie Romane, 2001 - ISBN 88-7730-087-6), ma anche in numerosi interventi, Monsignor Piero Monni, Osservatore della Santa Sede presso l’Organizzazione Mondiale per il Turismo, ben noto allo scrivente, denuncia che:
«...ogni anno un milione di bambini sono sfruttati con finalità sessuali e pornografiche, barattati o venduti come schiavi, per rispondere alla domanda crescente di instancabili predatori di innocenti: sono i pedofili, sempre piú presenti nel vasto mondo del turismo sessuale. I dati raccolti sulla diffusione di questo fenomeno sono in costante aumento; le previsioni sempre piú sconcertanti; gli episodi di violenza sempre piú agghiaccianti. Squarciato in questi ultimi anni il velo dell’omertà e del secolare silenzio, sono venuti alla luce e alla ribalta della cronaca raccapriccianti episodi di pedofilia e di turismo sessuale; questi hanno scosso l’opinione pubblica e posto in evidenza il problema in tutta la sua gravità. Appare oggi evidente la simbiosi che unisce la pedofilia al crimine organizzato che ha assunto il controllo di questo mercato sfruttando le famiglie e l’innocenza dei bambini. Queste organizzazioni criminali hanno creato una rete di affari illegali di ogni tipo: dall’accumulo di denaro sporco, all’utilizzazione di istituzioni bancarie e finanziarie a scopo di riciclaggio. Con i proventi di questo mercato sono riusciti ad entrare nel mondo degli affari, nei mercati azionari, diffondendo una corruzione che arriva a minacciare l’efficacia e la credibilità delle stesse strutture istituzionali» (Intervento dell’Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Organizzazione Mondiale del Turismo al meeting sullo sfruttamento sessuale dei bambini, Berlino, 16 marzo 2002).
I casi di abusi sui minori in cui sono coinvolti sacerdoti e religiosi è nell’ordine delle migliaia, ma il “Rapporto ONU sulla violenza sui bambini” (2006) attesta che... “secondo stime dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) sono state 150 milioni le ragazze e 73 milioni i ragazzi minori di 18 anni che nel 2002 sono stati costretti ad avere rapporti sessuali o che hanno subito una qualche forma di violenza sessuale. Di questi ben 2 milioni sono in un vero e proprio stato di schiavitú sessuale. Inoltre si calcola che ci siano circa 30.000 siti Internet pedofili, con un coinvolgimento di 12 milioni di minori. Il tutto genera un enorme giro di affari, inferiore soltanto al traffico di droga e delle armi.
È cosí il disappunto sorge spontaneo: se a queste organizzazioni internazionali interessasse davvero la difesa dei bambini non dovrebbero mobilitare tutte le loro energie per denunciare il fenomeno nella sua interezza? Perché allora tutto questo clamore nei confronti della Santa Sede che, tra l’altro, è l’unica entità internazionale ad aver agito con decisione per contrastare il fenomeno? Queste organizzazioni governative e non governative sono davvero a servizio dei diritti dell’infanzia, oppure sono al servizio delle lobby e delle ideologie dominanti?
Ma non è finita. Se si leggessero attentamente le ricerche svolte sui casi che riguardano i sacerdoti cattolici, si noterebbe che i casi di pedofilia sono ancora una minima parte degli abusi sui minori. Il silenzio su tutte le altre confessioni religiose è assordante. Nella nota pubblicata il 7 febbraio 2014, padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana, dopo aver ricordato l’importanza dell’ONU e i buoni rapporti che intercorrono tra l’organizzazione internazionale e la Santa Sede, non risparmia dure critiche al Comitato. La nota sottolinea il fatto che... “si sia data molta maggiore attenzione a ONG ben note, pregiudizialmente contrarie alla Chiesa cattolica e alla Santa Sede, che non alle posizioni della Santa Sede stessa”. È... «tipico infatti di tali organizzazioni - prosegue il testo - non voler riconoscere quanto è stato fatto dalla Santa Sede e nella Chiesa in questi anni recenti, nel riconoscere errori, nel rinnovare le normative, nello sviluppare misure formative e preventive. Poche o nessun’altra organizzazione o istituzione ha fatto altrettanto. Ma non è assolutamente quello che si comprende leggendo il documento in questione... Non si può non osservare che il tono, lo sviluppo e la pubblicità data dal Comitato al suo documento sono assolutamente anomali rispetto al suo normale procedere in rapporto con gli altri Stati parte aderenti alla Convenzione”.
Il punto cruciale della questione non è la pedofilia ma l'omosessualità...
Omosessualità, non pedofilia
Giungiamo cosí ad una precisazione essenziale. La pedofilia propriamente detta ha per oggetto del desiderio i bambini in età pre-puberale; mentre in circa l’80% dei casi, in cui il responsabile è un prete, si tratta sí di minori, ma di adolescenti e di maschi. Ne consegue che il punto cruciale della questione non è la pedofilia ma una forma di omosessualità chiamata specificamente efebofilia. Il problema nella Chiesa dunque, come piú volte ribadito, non è tanto la pedofilia quanto l’omosessualità. Un problema che va affrontato con rigore, con una una severa selezione dei candidati agli ordini sacri e con la riforma del clero. La storia della pedofilia viene ampiamente propalata sia per colpire con maggiore efficacia l'istituzione, sia per evitare di porre l'accento sulla vera radice del problema: l'omosessualità.
Fatta questa doverosa premessa occorre ribadire con estrema decisione la domanda già formulata: queste organizzazioni governative e non governative sono realmente a servizio dei diritti dell’infanzia, oppure sono al servizio delle lobby e delle ideologie dominanti? E magari proprio delle lobby gay, abortiste e di quelle del family planning? Come giustificare altrimenti un uso cosí strumentale e velleitario della questione pedofilia? Come giustificare un appoggio cosí incondizionato alle ventilate esigenze di adolescenti e bambini gay, lesbiche, bisessuali e transgender? È ora di esigere risposte vere a problemi reali.
È un dato di fatto che a muovere le fila di queste campagne contro la Chiesa sono proprio le associazioni gay e abortiste. La pedofilia si è rivelata spesso solo un pretesto per attaccare la posizione della Chiesa su omosessualità, aborto e contraccezione, oppure su altre questioni politiche, come avvenne sotto il governo George W. Bush, quando papa Giovanni Paolo II non diede il suo appoggio all’intervento americano in Iraq, anzi inviò il cardinale Pio Laghi, a incontrare il Presidente e a chiedergli di non invadere l’Iraq, ma il leader USA rifiutò l’appello dichiarando che era... “convinto che fosse la volontà di Dio”. Poco dopo iniziarono le prime campagne mediatiche, proprio negli USA, con casi talvolta risalenti a 40 anni prima.
Guerra, omosessualità, aborto e contraccezione, ecco i veri temi che stanno a cuore a molti leader politici, soprattutto da quando, negli anni ‘60 il pansessualismo è stato sdoganato come forma di controllo sociale; tema su cui l’unica vera resistenza è opposta dalla Chiesa cattolica in tutte le sedi internazionali, perché essa non può non difendere la dignità e l’irriducibilità dell’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio. Con il documento del 5 febbraio 2014 un organismo dell’ONU ha violato gravemente la libertà religiosa in una modalità che forse non ha precedenti nella storia.
L’ideologia del gender nega l’evidenza della natura
Da diversi anni l’ideologia del gender e le lobby gay hanno scatenato un’offensiva che - forte di alti e manifesti appoggi politici quali, per citare un esempio, il governo Obama (USA) - intende raggiungere l’agognata meta di leggi liberticide e corruttrici; leggi che - se approvate con la connivenza di maggioranze irresponsabili - sanzioneranno penalmente chi oserà anche solo criticare l’omosessualità in quanto tale. Oltre a questo esse mirano ad imporre le loro leggi all’intera società civile appropriandosi letteralmente dei programmi di formazione scolastica, dagli asili alle università, dell’assistenza sociale e di istituti quali il matrimonio e le adozioni. Ne danno un esempio evidente i finanziamenti dell’Unione Europea e le sentenze che, qua e là, pretendono di definire legittimo l’affidamento di minori in difficoltà a coppie gay.
Denunciare tutto questo è un dovere umano e pastorale. Ma denunciare non basta, occorre anche insegnare, per aiutare coloro che ignorano, in buona fede, o che esitano. Occorre insegnare e denunciare i crimini perpetrati nel nome dell’ideologia di genere. Proprio a tal fine giova segnalare un breve ma incisivo saggio del giornalista e pubblicista tedesco Volker Zastrow, tre edizioni fra il 2006 e il 2010 (Gender. Politische Geschlechtsumwandlung [Genere. La politica dell’inversione dei sessi], Edition Sonderwege bei Manuscriptum, Waltrop und Leipzig, 2010), che analizza in modo critico l’ideologia di genere; ideologia partorita dalla pseudocultura femminista e gay che si è inventata una supposta natura “sociale” e non “naturale” del sesso (cfr. ZASTROW V., Gender. Politische Geschlechtsumwandlung [Genere. La politica dell’inversione dei sessi], 3.te Edition Sonderwege bei Manuscriptum, Waltrop und Leipzig, 2010). Questa ideologia viene divulgata, quasi fosse un “dogma scientifico”, per giustificare la protezione e la diffusione dell’omosessualità da parte dei governi. In Germania e in Svizzera si è sviluppata in questi ultimi anni una pubblicistica che ha sottoposto a valide e documentate critiche i fondamenti di quest’ideologia, dimostrandone la totale inconsistenza (cfr. MANFRED SPRENG - HARALD SEUBERT, Vergewaltigung der menschlichen Identität. Über die Irrtümer der Gender-Ideologie [La falsificazione dell’identità umana. Sugli errori dell’ideologia di genere, a cura di Andreas Späth], Verlag Logos Editions, Ansbach, 2012; INGE M. THÜRKAUF, Gender Mainstreaming. Multikultur und die Neue Weltordnung [Gender mainstreaming. Multiculturalità e nuovo ordine mondiale], Schweizerzeit-Schriftenreihe Nr. 55, “Schweizerzeit” Verlag, Flaach, 2013, 47). Il saggio di Zastrow mostra in modo esemplare l’assoluta falsità di questa ideologia. L’Autore si giova a tal fine anche di una precisa ricostruzione dell’atroce “caso Reimer”, il ragazzo ebreo vittima, assieme al fratello (si suicidarono entrambi), delle sperimentazioni della nascente “filosofia di genere” (Genderphilosophie).
Ma cosa si intende per Genderphilosophie, oppure per gender mainstreaming? È una caratteristica del linguaggio politicamente corretto servirsi volutamente di termini ambigui. Zastrow sottolinea che l’espressione implica l’idea di condurre o ricondurre qualcuno o qualcosa verso la corrente (stream) principale o maestra (main), il “main stream” appunto. In inglese, la parola “mainstream” è usata di frequente come aggettivo, nel senso di “importante, principale o tradizionale”. Ma è soprattutto nel linguaggio della cosiddetta “rivoluzione sessuale” che tale termine viene impiegato. L’entità che verrebbe condotta o ricondotta nella “corrente principale” sarebbe appunto “il genere”, maschile e femminile, i due sessi. Ma può esistere una “corrente maestra” concernente i due sessi, nella quale situarli?
Zastrow, nel sottotitolo dell’opera, fornisce la sua traduzione del termine in questione: “il politico rovesciamento dei sessi”. “Mettere nella corrente principale” il genere (sesso) significa condurlo-ricondurlo alla “corrente maestra”, rappresentata dalla perfetta uguaglianza tra i sessi o generi, che rappresenterebbe la “vera” sessualità. Ecco l’azione che deve essere portata avanti dalla politica mediante la legislazione nazionale e sovranazionale (EU, ONU). Si tratta dunque di un “radicale rovesciamento (Umwandlung) politico del genere (sesso)”. Ossia... “della politica del rovesciamento o dell’inversione dei sessi”. Questa assurda politica è perseguita attivamente da numerosi governi e istituzioni nazionali e internazionali attraverso i programmi il cui scopo ufficiale solo in apparenza è quello di promuovere la perfetta uguaglianza (Gleichstellung) tra l’uomo e la donna. Si tratta infatti di programmi elaborati sempre su tesi femministe. La nozione di Gender mainstreaming implica dunque la “modificabilità dei ruoli dei sessi”, cosí come intesi dal punto di vista sociale e culturale naturale (op. cit., 7-10; 14-15). Questa è indubbiamente la nozione chiave: “modificabilità dei ruoli tradizionali dei sessi”.
Anche la parola inglese “gender” acquisisce cosí un nuovo significato, non può piú essere intesa come una semplice traduzione della parola italiana “genere” o del suo equivalente tedesco (Geschlecht): genere umano, genere (sesso) maschile, femminile. Ma qual è l’origine di questo suo nuovo significato? Esso proviene da tesi di psicologi della sessualità che hanno voluto dare un fondamento teorico alle esigenze dei cosiddetti “transessuali”. I transessuali sono uomini (o viceversa donne, ma il caso è piú raro) del tutto normali dal punto di vista biologico, i quali, volendo essere come le donne, sostengono di sentirsi a disagio nel loro corpo naturale, che sembra pertanto “falso”. Per soddisfare queste posizioni (queste sí, “puramente culturali”), alcuni psicologi hanno inventato la teoria secondo la quale esistono due “generi”, ossia il “genere biologico” (sex, in inglese) e il “genere nel senso psichico-emotivo o per cosí dire metafisico, nettamente separato (abgelösten) dal sesso naturale” (op. cit., 11). Il genere nel senso “psichico-emotivo”, sarebbe pertanto il genere per eccellenza, ossia il “gender”. Il gender è il sesso (o identità sessuale) che una persona si fabbricherebbe da sé, secondo i propri desiderata.
La falsità dell’ideologia gender
Com’era prevedibile i movimenti omosessuali si sono impadroniti della Genderphilosophie dalla quale hanno elaborato la nozione del “gender” come “genere sociale”. Il “genere sociale” sarebbe il genere che la società vorrebbe imporre e che postulerebbe l’eterosessualità (op. cit., 11). L’eterosessualità (l’attrazione e la relazione fisica, affettiva e sentimentale naturale tra i due sessi) viene allora concepita in modo completamente erroneo e distorto: essa, secondo la Genderphilosophie, non apparterrebbe alla natura, sarebbe stata costruita ed imposta dalla società e da una determinata cultura, ovviamente quella patriarcale e maschilista. L’eterosessualità perciò sarebbe niente altro che una ideologia e una “costruzione socio-politica” (op. cit., 11). Inutile dire che soprattutto la corrente lesbica del femminismo ha sposato questa “teoria” portandola all’estremo, un estremo a dir poco irrazionale, secondo il quale... “ogni donna è bisessuale per natura; essere madri e donne di casa non è che schiavitú, imposta dalla società, sempre dominata dagli uomini” (op. cit., 13-17).
Zastrow evidenzia i legami tra i movimenti femministi, il lesbismo e la componente femminile dei quadri dirigenti nazionali e internazionali, in particolare di quelli dell’ONU (op. cit., 11-31). Da tempo questa rete omo-femminile-femminista agisce in quasi tutte le organizzazioni dirigenti dei paesi occidentali, inclusi gli ambienti universitari dediti ai cosiddetti “Women’s studies”, dal taglio prevalentemente letterario e sociologico diffusi soprattutto nel mondo anglosassone.
La subcultura femminista ed omosessuale si sforza dunque di contrapporre il supposto “genere” autentico al supposto “genere” falso, che sarebbe quello fabbricato dalla società. Nel genere ideologicamente supposto come “autentico”, concepito in modo del tutto separato dal suo substrato biologico, vi si può immettere tutto ciò che si vuole, esso dipende infatti dal gusto personale di ciascuno (op. cit., 13-18). Questa folle ideologia, priva di qualsiasi conferma razionale e scientifica, ha fatto sí che i movimenti omosessuali trovassero in alcuni esponenti della medicina un appoggio a queste pretese. La tragedia del “caso Reimer”, non a caso fatto cadere nell’oblio, occupa la seconda parte del saggio di Zastrow, che ne mette in luce tutta l’allucinante realtà (op. cit., 35-58). Finché le ideologie restano confinate nei salotti e nei circoli culturali possono apparire innocue, ma è quando vengono applicate alla realtà che iniziano le tragedie umane, tragedie spesso irreparabili.
Bruce (Brenda) David Reimer
Il tragico caso dei fratelli Reimer
Bruce Reimer e il suo gemello monozigote Brian erano due israeliti canadesi, nati il 22 agosto 1965. Sette mesi dopo la loro nascita, un medico incauto, nel circoncidere Bruce, ne danneggiò involontariamente il pene riducendolo ad un moncone (op. cit., 36). Poco tempo dopo, i coniugi Reimer videro casualmente in televisione un uomo carismatico che, con voce suadente e un’indiscutibile arte oratoria, fece sperare loro di aver trovato la soluzione giusta per il piccolo. Si trattava di uno psicologo neozelandese, il dott. John Money, che all’epoca lavorava nella Johns-Hopkins Clinic di Baltimora, negli Stati Uniti. Cosí, per prevenire i futuri problemi che la mutilazione avrebbe potuto provocare nel giovane, i genitori di Bruce pensarono di rivolgersi a lui. Un’idea che in futuro si rivelerà infelice, ma all’epoca, il dott. Money aveva una fama di innovatore nel campo della sessualità, soprattutto nel circuito mediatico.
Per Money si trattò di un’opportunità preziosa, un caso ricercato da tempo per dimostrare, dati alla mano, quella teoria che andava sostenendo da anni, ossia il fatto che l’identità sessuata della persona non è fondata su una preesistente realtà biologica, ma viene invece costruita e determinata socialmente dall’educazione ricevuta, quasi bastasse una piccola operazione, condita con bambole e nastrini, per trasformare un maschio in una femmina e viceversa. Egli si occupava infatti di “bambini intersessuali”, detti impropriamente “ermafroditi” poiché alla nascita non avevano ancora un sesso ben definito, riscontrandosi una... “contraddizione tra i loro organi sessuali e il genere quale risultava dai cromosomi”. Money ne manipolava chirurgicamente gli attributi virili, spesso castrandoli, e poi si sforzava di trasformarli in femmine grazie a massicce cure di ormoni, alla chirurgia plastica e ad una “manipolazione pedagogica” appropriata (op. cit., 38). Money propagandava “terapie” che all’epoca erano considerate all’”avanguardia”, quali il “sesso di gruppo”, la bisessualità, i “fucking games” tra fanciulli, definiti “jeux d’enfants” e mimanti la fornicazione, ed altri ancora (op. cit., 38-40). Money sosteneva che l’”identità di genere” era una cosa del tutto diversa dal “ruolo di genere”. Giocando - è il caso di dirlo - su questa pretesa “discordanza”, sarebbe stato sicuramente possibile “fare di un ragazzo una ragazza e di una ragazza un ragazzo” (op. cit., 38).
Cosí Money applicò queste aberranti teorie al piccolo Bruce Reimer. Il 3 luglio 1967 egli passò all’azione. A 22 mesi di vita il piccolo Bruce venne evirato e Money gli fabbricò le labbra rudimentali di una vagina (il testo originale riporta: “[...] kastrierte und aus der Haut seines Hodensacks rudimentäre Schamlippen formte”, op. cit., 42. Circa il caso Reimer si consiglia anche la lettura del libro di COLAPINTO J., As nature made him. The boy who was raised as a girl, Harper Collins, New York 2001). Dispose poi che Bruce venisse vestito come una bambina, che gli si dovesse dire ogni giorno che era una femmina, e che lo si dovesse chiamare “Brenda”, al fine di educarlo in tutto come una bambina. Il fratello gemello, Brian, fu pure costretto a partecipare all’esperimento. Bruce venne sottoposto a “cura” con massicce dosi di ormoni femminili e nuove operazioni di chirurgia plastica. Grazie ad esperimenti come questi Money diventò celebre. Una femminista e lesbica americana, Kate Millet, nel suo best-seller Sexual Politics (1970), si appoggiò ai suoi esperimenti per dimostrare che “l’eterosessualità altro non era che ideologia”, essendo il sesso nient’altro che una creazione della “cultura” e dell’”educazione”. Money pubblicò un libro, Uomo, donna, ragazzo, ragazza (1972), che divenne un testo universitario di successo, mentre nel 1979 il celebre manuale Textbook of Sexual Medicine osservò che lo sviluppo della “ragazza” dimostrava la flessibilità dell’identità sessuale dell’uomo, la relativa importanza dell’apprendimento e del condizionamento sociale in tale processo. Anche il “New York Book Review”, sulla scorta di questi dati quanto meno precoci, decretò che... “se uno dice ad un ragazzo che è una ragazza e lo alleva come tale, costui si comporterà in tutto come una ragazza” (op. cit., 43-44). Il “caso Reimer” venne citato nei testi scientifici e - ancora nel 2004 - la letteratura femminista lo citava quale dimostrazione vivente della veridicità delle sue teorie sulla natura esclusivamente “culturale “ del “genere” (op. cit., 48-49).
Il caso Bruce si rivela una grande impostura
Esattamente all’opposto di quanto diffuso dalla prematura propaganda femminista il povero Bruce rifiutò ben presto di mettersi gli abiti femminili. Lui, che non sa ancora nulla di quanto accadutogli nell’infanzia, è infatti una “bimba” decisamente strana. Si muove, parla e cammina come un maschio, fa la pipí in piedi, interviene a difendere il fratello facendo a botte con i compagni di classe, sempre piú spesso gli ruba i giochi e i vestiti, ama giocare con le automobiline e le armi e non vuole saperne di bambole e monili. I compagni di scuola lo evitano sistematicamente. Molto preoccupate per i suoi atteggiamenti cosí poco femminili, le insegnanti convocano continuamente i Reimer: occorre obbligare “la bambina” a comportarsi come dovrebbe. I genitori si trovano cosí presi tra le insegnanti, che consigliano di portarla da uno psicologo, e il dottor Money, che li invita a girare senza abiti per casa, a frequentare spiagge per nudisti, arrivando fino a spingerli a lasciare il lavoro, vendere tutto e andare a vivere in un camper in una località isolata e poco abitata. Nonostante anche questo consiglio venga pedissequamente seguito, Brenda continua ad avere e a creare problemi. E cosí tutta la sua famiglia: Brian è aggressivo con i coetanei, Ron beve smodatamente, mentre Janet tenta il suicidio. Come se non bastasse, un incendio brucia il camper, e tutto ciò che possiedono.
Avrebbe dovuto essere ovvio che Bruce non voleva diventare “Brenda”. Ad undici anni pensò per la prima volta al suicidio (op. cit., 48-49). È il novembre 1976 quando la famiglia decide finalmente di tornare a Winnipeg nel tentativo di ricostruirsi una vita e Brenda viene portata da uno psicoterapeuta. Ogni anno i due gemelli erano poi costretti a recarsi a Baltimora per una visita di controllo da parte di Money, sebbene Brenda (in particolare) sia sempre piú ostile a tali appuntamenti. I genitori probabilmente non immaginano cosa succeda nello studio del medico; incredibilmente non si avvedono delle pressioni e delle violenze psicologiche che egli esercita su di loro. La “ragazzina”, che assolutamente non vuole sentir parlare dell’operazione definitiva agli organi genitali per cui Money tanto insiste, finge di accettare la terapia ormonale (mentre il piú delle volte sputa le pillole). Per nascondere seno e fianchi, spie di una femminilità che non sente propria, Brenda inizia a mangiare a dismisura. Quando infine, nel 1978, Money la fa accogliere da un transessuale, la “ragazzina” fugge terrorizzata, dicendo ai genitori che si ucciderà piuttosto che tornare da lui. Per entrambi queste visite erano insopportabili, come risulta anche dai particolari riportati da Zastrow (op. cit., 49-50). Money voleva effettuare nuove operazioni chirurgiche su Bruce per “perfezionare la sua femminilità”, ma il ragazzo si rifiutò con sempre maggiore tenacia e disse apertamente che non voleva diventare una femmina (op. cit., 52). Quando raggiunse i 13 anni d’età le visite a Baltimora ebbero finalmente termine.
Le cose tuttavia erano peggiorate a tal punto che papà Reimer decise di raccontare tutto alla “figlia”. Per Bruce lo shock fu enorme. Finalmente, però, il disagio e la sua sofferenza avevano una spiegazione. E un nome. Dopo aver deciso di amputarsi il seno, farsi chiamare David ed aver tentato il suicidio ingerendo un flacone di antidepressivi, David comprò una pistola. Entrò nello studio del medico che 15 anni prima aveva sbagliato l’intervento al pene ma non lo uccise. Nel 1981 si sottopose ad un intervento chirurgico per la ricostruzione dei genitali e cominciò ad uscire con le ragazze. Nel 1986 si sposò con Mary, una giovane donna già madre di tre figli. Ovviamente, però, il principale oggetto della rabbia di David era il dottor Money. Per questo il giovane decise di denunciare il drammatico e terribile esperimento cui era stato sottoposto, e raccontare tutta la storia al giornalista John Colapinto. L’esito dell’incontro fu la pubblicazione nel 2000 del toccante libro As Nature Made Him: the Boy who was raised as a girl (Come la natura lo ha fatto: il bambino che venne cresciuto come una bambina). Poi il 5 maggio 2004, il definitivo, tragico esito di tutta la vicenda: David all’età di 39 anni si toglie la vita. L’anno precedente anche il suo fratello gemello si era suicidato, ingerendo una dose mortale di sonnifero (op. cit., 46).
Furono i primi martiri dell’ideologia gender.
In realtà, già a partire dal 1980 Money non menzionò piú il fallimentare “caso Reimer” nelle sue pubblicazioni. Incredibilmente continuò però a sostenere la validità delle sue obbrobriose teorie, unitamente alle femministe. L’”esperimento” che avrebbe dovuto provarne la validità (ossia che essere uomo o donna dipende solamente dall’educazione e dalla cultura) aveva nei fatti dimostrato che essa era del tutto falsa. Il dott. Money e i suoi “metodi terapeutici” furono contestati a tal punto che la Gender Identity Clinic venne chiusa nel 1979. Il metodo disumano di intervenire immediatamente per via chirurgica sui cosiddetti “ermafroditi” venne abbandonato e oggi si è diventati molto piú prudenti al riguardo, aspettando la pubertà, il cui esatto sviluppo non può esser previsto. Gli interventi chirurgici vengono limitati al minimo e solo con il consenso degli interessati (op. cit., 54-55).
Quando la vera storia di David Reimer venne alla luce, Money fu subissato di critiche e si difese replicando che si trattava solo di “pregiudizi antifemministi”. A suo dire, tutti coloro che sostenevano essere la differenza tra uomini e donne “geneticamente fissata”, volevano solo “rinchiudere le donne nel loro ruolo tradizionale, ancorato al letto e alla cucina” (op. cit., 57-58); tutte risposte puramente polemiche e prive di qualsiasi spessore scientifico. Tuttavia l’influenza delle teorie di Money ha continuato a farsi sentire, per lo meno sino alla fine del secolo appena trascorso. Ma la cosa piú incredibile è che ciò che Money propagandava nel 1965, lo si può ritrovare ancora oggi in documenti, siti Web governativi e proposte di legge, con esplicito richiamo ai Women’s studies quale laboratorio intellettuale di questa falsità, anzi, di questa colossale menzogna; quella stessa diffusa dall’icona del femminismo mondiale, la corrotta Simone de Beauvoir, amante del noto filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre, pentitosi in prossimità della morte, con grande rammarico della sua compagna (op. cit., 35-36). Ma la menzogna - si sa - è il pane quotidiano del “politicamente corretto”. Nell’accusare il passato regime sovietico, il dissidente Alexander Solgenitsin disse, in una celebre conferenza, che né i popoli né gli individui possono “vivere nella menzogna”. Le nostre decadenti democrazie euro-americane propagandano oggi le peggiori menzogne, tra le quali il “gender mainstreaming” occupa sicuramente un posto d’onore. Paradossalmente la Russia di Putin, erede dell’impero sovietico, vieta la propaganda omosessuale e sostiene la famiglie e il matrimonio con politiche sociali ed economiche che sono all’avanguardia rispetto a molti altri stati occidentali.
La “gender theory” nega i fatti più elementari
Le differenze naturali tra maschi e femmine non sono un prodotto della cultura socialmente dominante ma della natura. Le tesi della “gender theory” implicano l’assunto che in natura i caratteri sessuali non siano ben marcati e distinti nel maschio e nella femmina, né dal punto di vista fisiologico né da quello anatomico, cosa insostenibile perché è contro l’evidenza piú elementare. Gli apparati sessuali di uomini e donne sono costruiti diversamente in modo da essere complementari, dal momento che si integrano perfettamente ai fini del concepimento della prole. Sono cosí per opera della natura dato che maschi e femmine nascono in quel modo sin da quando esiste il genere umano. Tale complementarità risulta non solo dall’anatomia ma anche dalla fisiologia finalizzata pure essa alla generazione della prole. Ogni altra tesi implica una visione contro natura. La condanna morale ed estetica di ogni altro uso della genitalità si fonda sia sul fatto obiettivo della costituzione anatomica dell’essere umano, sia sulla natura dello stesso, cosí com’è in sé e sulle sue profonde esigenze morali; esigenze legate alla dignità della persona. E nessuna persona sensata può sostenere che l’anatomia umana sia un “prodotto della cultura”.
Uno studio sui “figli dei gay” mette in crisi un’America omosessualista
Ma la teoria del gender, oltre alle conseguenze disumane già viste nel caso Reimer, esige a gran voce un’altra assurdità: l’adozione di figli da parte delle coppie gay o lesbiche. A tal riguardo l’Università di Austin ha pubblicato di recente uno studio (How different are the adult children of parents who have same-sex relationships? Findings from the New Family Structures Study), il piú completo mai realizzato prima sui bambini cresciuti in un contesto omosessuale, sottolineando un fatto per molti scontato: hanno molte piú difficoltà degli altri bambini, sono piú incerti, piú instabili, di salute mentale e fisica piú cagionevole, e hanno maggiori problemi sociali e - di riflesso - economici. L’America di Obama è il paese dove si sta verificando un’accelerazione legislativa verso la legalizzazione del matrimonio omosessuale e delle adozioni concesse alle coppie gay che forse non ha eguali in altri paesi.
Per quale ragione l’amministrazione Obama dia a queste cause una corsia preferenziale, non solo all’interno ma anche all’estero... sarebbe un mistero. Sarebbe... se non fosse che non si tratta di un mistero ma di una precisa volontà politica, appoggiata anche da organismi politici, culturali e finanziari di spessore internazionale, volta a creare disordine e a scardinare tutto ciò che di logico resta in questo mondo. È una strategia di potere e di conquista culturale, politica ed economica riassumibile in poche parole: ordo ab chao! Disordine e scompiglio che da alcuni decenni la politica americana semina a piene mani in tutto il mondo, dall’Europa al Medio Oriente, senza che si riesca a trovare in apparenza un senso logico. In verità la politica estera USA di senso non ne ha mai avuto tanto ma, negli ultimi decenni la situazione è decisamente precipitata, tanto da far dubitare delle qualità umane dei responsabili. Come già detto tuttavia le parole ordo ab chao costituiscono l’unica spiegazione possibile, ossia l’unica spiegazione razionale.
Chiusa questa breve parentesi, la succitata ricerca dell’Università di Austin è stata condotta da Mark Regnerus, professore di sociologia, e ha due caratteristiche interessanti: 1) è la prima condotta su un campione molto numeroso; 2) è stata redatta da un istituto laico e da un professore che non avrebbe mai pensato di arrivare a tali conclusioni. Regnerus infatti si era sempre espresso a favore dei “gay e delle lesbiche che non penso assolutamente siano cattivi genitori”. I ricercatori, analizzando 15.000 casi e intervistando 3.000 persone, tutti compresi tra i 18 e i 39 anni, hanno messo in crisi il consenso scientifico precedente, basato su dati assai piú carenti. Dal nuovo studio risulta infatti che coloro che sono cresciuti in famiglie omosessuali sono dalle 25 alle 40 volte piú svantaggiati dei loro coetanei cresciuti in famiglie normali. I primi, sono risultati tre volte piú soggetti alla disoccupazione (solo il 26 per cento dei ragazzi cresciuti all’interno delle coppie omosessuali ha un lavoro fisso contro il 60 per cento della media); quattro volte piú soggetti a ricevere assistenza pubblica (il 69 per cento dei ragazzi cresciuti da genitori omosessuali sono stati supportati dai servizi sociali, mentre i loro coetanei sono supportati nel 17 per cento dei casi); e sono risultati molto piú inclini a commettere atti criminali, a drogarsi e a ricorrere al suicidio.
È sconcertante che, pur in mancanza di studi approfonditi, nel 2005, l’Associazione degli Psicologi e Psichiatri Americana, si sia espressa con una formula volutamente ambigua: “Non esiste un singolo studio che dimostri che i figli dei gay e delle lesbiche siano piú svantaggiati di quelli degli eterosessuali”; un’asserzione che era diventata la presunta “base scientifica” su cui appoggiare le leggi piú disinvolte in materia. Con un paradosso: mentre le ricerche che segnalavano le storture di un’educazione che elimina la differenza sessuale erano tacciate di inattendibilità, a causa dell’esiguità del campione, quelle favorevoli, a parità di campione, divenivano in breve le basi su cui legiferare.
Il professore Regnerus - come era da prevedersi - ha dovuto subire le feroci critiche di molti esponenti del mondo omosessuale che lo hanno tacciato di bigottismo e d’essere un reazionario. Il ricercatore ha cosí risposto: “Molti di loro sono cosí perché, cresciuti in famiglie omosessuali, hanno sperimentato abbandoni, divisioni, ed è impossibile dire se la causa delle differenze sia l’omosessualità o solo l’instabilità dei legami. Quel che è certo, infatti, è solo che i bambini sono molto piú inclini a crescere bene quando vivono con i loro genitori naturali. Il matrimonio tra loro fornisce un legame biologico che dà una grande influenza benefica ai bambini”. Regnerus si è detto convinto che... “i nuclei familiari biologici e stabili, anche se considerati erroneamente come una specie in via di estinzione, rimangono gli ambienti piú sicuri per la buona crescita dei figli... se mi fosse richiesto di pensare ad un modello ideale dovrei per forza avvicinarmi a quello di una famiglia tradizionale”. La sua ricerca, costata piú di 800.000 dollari e pubblicata su una rivista scientifica rinomata (Social science research), è stata ovviamente definita “spazzatura” dalle consuete lobby.
L'Europa dei commissari e il dovere di reagire alla violenza
Poco importa che la violenza sia fisica o morale o culturale; in ogni caso arriva un momento in cui è necessario e doveroso dire basta! E i gesti di coraggio, da parte di singoli e di organizzazioni, non mancano. In Italia, il 27 marzo 2014, il Consiglio comunale di Chieri ha approvato un ordine del giorno in cui viene messo al bando il famigerato documento dell’OMS-Sezione Europa denominato “Standards for Sexuality Education in Europe”, un documento surreale e velleitario già dal titolo. L'Unione Europea, assieme alla misura delle banane, pretende di definire gli standard sessuali del futuro cittadino europeo, neppure le peggiori dittature della storia sono mai arrivate ad un simile delirio di onnipotenza. In queste linee guide per politici, amministratori locali e insegnanti, si legge che gli infanti hanno il diritto di indagare la propria nudità e il proprio corpo, un diritto di essere curiosi, il diritto di scoprire la propria “identità di genere”; inoltre bisognerà informare il bambino sul piacere e sul godimento che si sperimenta quando si accarezza il proprio corpo e sulla masturbazione precoce infantile. Per i bambini dai 4 ai 6 anni occorrerà mettere a tema i loro “problemi sessuali”, per quelli dai 9 ai 12 è necessario stimolarli... “a decidere in modo responsabile se avere o non avere esperienze sessuali”. La contraccezione costituirà un argomento valido già per i bambini dai 6 anni in su e di gravidanze indesiderate si potrà parlare agli scolari di 9 anni e piú. Inutile dire che solo i genitori possono conoscere i tempi e i modi di un tema cosí delicato e intimo come l’educazione sessuale. Le istituzioni possono solo coadiuvare rispettosamente la loro funzione, mai sostituirla o precorrerla.
Il coraggioso documento di Chieri chiede ai dirigenti scolastici ed ai collegi dei docenti di disattendere... “completamente i contenuti del documento dell’OMS oggetto dell’ODG [ordine del giorno], e non ne tengano conto nella preparazione e nella formazione dei docenti sulla cosiddetta ‘Educazione all’affettività’; impegna l’assessore all’istruzione della città di Chieri a vigilare affinché tutti i genitori di bambini che frequentano scuole materne, primarie e secondarie di primo grado siano messi al corrente attraverso ogni mezzo dei contenuti del documento emanato dall’OMS e della loro intrinseca pericolosità; invita il Sindaco [...] ad intraprendere ogni percorso politico-istituzionale volto a bloccare il propagarsi dei suoi contenuti e a farsi promotore presso i Comuni del Chierese e presso l’ANCI [Associazione Nazionale Comuni Italiani] di tutte le iniziative utili ad impedirne la diffusione, con un’eventuale deriva ideologica quando non pedofila, che potrebbe scaturire da possibili interpretazioni, quando non dall’applicazione letterale del documento dell’OMS oggetto dell’ODG; invita il Sindaco e l’Amministrazione Comunale a richiedere presso l’OMS il ritiro del documento “Standards for Sexuality Education in Europe”.
Come sostenuto da piú parti i Paesi Nord europei sono quelli dove da piú tempo è avvenuta la cosiddetta emancipazione sessuale, i Paesi nei quali da maggior tempo si insegna l’educazione sessuale nelle scuole; eppure in queste nazioni si è arrivati alla banalizzazione del sesso, alla mercificazione della persona, alla legalizzazione della prostituzione ed alla concezione che tutto quello che sessualmente procura piacere è lecito. Il risultato è che, per esempio la Svezia, dove l’educazione sessuale è presente nei programmi scolastici da circa 50 anni, è il Paese dove avvengono il maggior numero di stupri in proporzione alla popolazione, il maggior numero di stupri in cui vittima e carnefice sono minorenni e il maggior numero di stupri di gruppo fra minorenni. Ed il numero dei cosiddetti ‘femminicidi’ è ben sei volte superiore a quello della media europea. L’Italia - falsamente giudicata retrograda - è invece ben al di sotto. L’esempio di Chieri, di Vercelli - dove non molto tempo fa si è registrata un’analoga presa di posizione - può e deve essere seguito da tutti, anche singolarmente. Occorre reagire a questo inusitato livello di violenza psicologica e sociale con tutti i mezzi legali, su tutti i fronti e con la piena consapevolezza dei nostri inalienabili diritti individuali, familiari e sociali. Ne va del nostro futuro e del bene supremo dei nostri figli, il tesoro più prezioso che possediamo, un tesoro che non è proprietà privata di un'Europa fatta di commissari.
Domande e risposte sull’ideologia gender, la pedofilia, l’omosessualità e la famiglia
[ i testi sono tratti parzialmente dallo studio di BRUTI B. M., in Cristianità, 314 (2002), s. p. ]
Che cos’è l’omosessualità?
Con omosessualità s’indica la condizione di una persona, maschio o femmina, che prova attrazione sessuale per persone del suo stesso sesso. L’omosessualità femminile viene definita lesbismo o saffismo con riferimento agli amori omosessuali attribuiti alla poetessa Saffo dell’isola di Lesbo.
Che cosa non è l’omosessualità?
L’omosessualità non ha nulla a che vedere con le patologie di tipo ormonale, né va confusa con l’ermafroditismo vero - coesistenza dei due sessi nella stessa persona - o con lo pseudo-ermafroditismo, malformazione dei soli organi genitali esterni, che presentano alcuni caratteri dei due sessi. Diverso dall’omosessualità è anche il transessualismo, atteggiamento psichico di non accettazione e addirittura di odio verso i caratteri sessuali del proprio corpo.
Qual è l’incidenza dell’omosessualità?
Da censimenti effettuati negli Stati Uniti d’America e in Gran Bretagna (P. Cameron, 1993; Gerard van den Aardweg 1997) si può dire che hanno tendenze omosessuali di qualche tipo solo il 2% degli uomini e l’1% delle donne (cfr. VAN DEN AARDWEG G. J. M., Matrimonio omosessuale e affidamento a omosessuali, in Studi Cattolici, 449/50 (XLII), luglio-agosto 1998, 499-509).
Il comportamento omosessuale è un comportamento biologico innato?
L’esistenza d’individui con tendenze bisessuali e l’esistenza di persone che hanno mutato la loro inclinazione omosessuale indica che il comportamento omosessuale non è un comportamento biologico innato. Inoltre, contro l’ipotesi dell’omosessualità come condizione biologica è importante lo studio realizzato sul comportamento sessuale dei gemelli omozigoti, cioè con tutti i caratteri ereditari uguali e con la stessa struttura biologica. Lo studio, fatto per dimostrare questa incidenza genetica, ha evidenziato che tra i gemelli omozigoti vi è una concordanza del 52 per cento in quei casi rari in cui un gemello ha scelto un comportamento di tipo omosessuale. Tuttavia il dato piú importante emerso da questi studi è che il 48% dei gemelli omozigoti, pur essendo stati allevati insieme, mostra orientamenti sessuali opposti nei casi, rari, in cui uno dei gemelli ha scelto un comportamento di tipo omosessuale. Questo dimostra che il comportamento omosessuale non è biologicamente determinato, ma frutto d’interpretazioni e di scelte errate (cfr. LEVAY S. - HAMER D. H., Le componenti biologiche dell’omosessualità maschile, in Le Scienze, ed. italiana di Scientific American, anno XXVII, vol. LIII, n. 311, luglio 1994, 18-23; BYNE W., I limiti dei modelli biologici dell’omosessualità, Le Scienze, ed. italiana di Scientific American, anno XXVII, vol. LIII, n. 311, luglio 1994, 24-30; HORGAN J., L’eugenetica rivisitata, in Le Scienze, ed. italiana di Scientific American, anno XXVI, vol. LII, n. 300, agosto 1993, 80-88).
L’omosessualità è un vizio o una malattia?
Il vizio deriva dall’abitudine a comportarsi in modo disordinato e tale abitudine è la conseguenza di una prolungata ripetizione di atti disordinati. Esiste spesso un rapporto d’interdipendenza fra vizio e malattia. Si pensi al caso dell’alcolismo. Alcune persone possono giungere all’alcolismo per libera scelta, ma poi si crea uno stato di dipendenza psicologica, si hanno alterazioni ingravescenti della personalità e nascono anche patologie di tipo organico dovute all’abuso dell’alcol, come dipendenza biologica, turbe neurologiche, turbe dell’apparato digerente e di quello cardio-vascolare: molte scelte, libere all’inizio, ci rendono alla fine schiavi. Invece, molte scelte apparentemente libere non lo sono totalmente, sono in realtà fortemente condizionate da situazioni di disordine familiare e sociale, dalle quali la persona è influenzata e che subisce anche senza sua colpa: situazioni di disordine che nascono dall’accumulo e dalla concentrazione degli effetti prodotti dal cattivo uso della libertà fatto da tante persone, che interagiscono negativamente con la libertà del singolo e che riducono notevolmente la sua consapevolezza e la sua responsabilità spingendolo verso strade sbagliate. Dunque, il vizio può portare alla malattia e la malattia al vizio: spesso vizio e malattia si fondono e si confondono a costituire un cosiddetto “circolo vizioso”, una spirale senza apparente via d’uscita in cui le diverse componenti si alimentano reciprocamente. Ricerche scientifiche dimostrano che negli omosessuali si ha spesso un complesso d’inferiorità nei confronti del proprio sesso; una mancata identificazione con il modello del genitore del medesimo sesso; un attaccamento infantile non consapevole al genitore complementare; un precoce condizionamento dovuto ad atti sbagliati e ripetuti al punto da trasformarsi in abitudini (cfr. VAN DEN AARDWEG G. J. M., Omosessualità e speranza, terapia e guarigione nell’esperienza di uno psicologo, trad. it., Ares, Milano 1995, 55-89; CESARI G., Aspetti psicologici dell’educazione della sessualità, in CESARI G. e DI PIETRO M. L., L’educazione della sessualità, La Scuola, Brescia 1996, 15-54; KIELY B., La cura pastorale delle persone omosessuali. Nota psicologica, in CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera sulla cura pastorale delle Persone Omosessuali (1° ottobre 1996). Testo e commenti, LEV, Città del Vaticano 1995, 50-60).
Alcuni sostengono che l’omosessualità sia un comportamento naturale perché si verifica anche fra gli animali!
Un errore, nel quale s’incorre spesso, sta nel ritenere di poter confrontare il comportamento umano con quello animale, come se si trattasse di realtà omogenee. Se, per esempio, fra gli animali si verificano atti d’inaudita ferocia, come l’uccisione dei propri piccoli o degli individui piú deboli, ciò non significa che gli uomini debbano regolare la propria vita con le stesse modalità degli esseri viventi non dotati di autocoscienza e di ragione: le leggi con cui vanno regolati i comportamenti umani sono di natura diversa e vanno cercate nella ragione, nella morale e nell’etica che, per un cristiano trovano il loro vertice nel Vangelo e nel Magistero della Chiesa. Gli atti di tipo omosessuale che, in casi particolari, possono verificarsi fra gli animali sono di complessa interpretazione e gli studi in materia non sono completi. Nelle specie che hanno uno scarso dimorfismo sessuale vi è l’incapacità di riconoscere il sesso del partner e questo induce ad approcci e corteggiamenti di tipo apparentemente omosessuale. In molti uccelli e pesci, specie che non hanno grandi differenze apparenti fra i due sessi, l’essere dominante, dice l’etologo Konrad Lorenz, sopprime la sessualità femminile e l’essere dominato sopprime la sessualità maschile: non bisogna dimenticare che per gli animali l’essenza della femminilità consiste nell’essere sottomesso, cioè «messo sotto» in senso propriamente fisico. Molti pesci - per esempio i labridi della specie Thalassoma bifasciatum - iniziano la vita come femmine e costituiscono banchi di sole femmine, guidati da un maschio. Se il maschio viene tolto dal gruppo, la femmina piú robusta cambia colore e si trasforma in un maschio, che domina il gruppo ed è capace di fecondare. Le manifestazioni sessuali dei mammiferi, che hanno una piú marcata differenza fra i due sessi, costituiscono anche complesse cerimonie e strategie destinate a svolgere funzioni diverse da quelle della semplice pulsione sessuale (cfr. LE MOLI F., voce Omosessualità, in MAINARDI D., Dizionario di etologia, Einaudi, Torino 1992, 528-530; LORENZ K., Lorenz allo specchio. Autoritratto inedito del padre dell’etologia, trad. it., Armando, Roma 1989, 61-62; EIBL-EIBESFELDT I., I fondamenti dell’etologia. Il comportamento degli animali e dell’uomo, trad. it., Adelphi, Milano 1995, 614).
Qual è il significato degli atti di tipo omosessuale che si verificano nei mammiferi?
L’etologo Irenäus Eibl-Eibesfeldt spiega che l’atto di montare un individuo dello stesso sesso ha il significato di una minaccia d’aggressione o vuol essere un’affermazione di superiorità di rango. Fra i macachi, per esempio, tale azione ha anche il significato di accettazione di un ordine all’interno del gruppo, che serve a rafforzarne i vincoli. Il macaco superiore di rango è in genere il primo a montare. La zoologa Isabella Lattes Coifmann spiega che, quando due babbuini maschi s’incontrano, si salutano voltando il posteriore al compagno: si tratta di un’offerta sessuale di tipo femminile con funzione di acquietare l’altro, di ingraziarselo e di assicurarsi la sua protezione in caso di necessità. Per gli atti di tipo omosessuale che si verificano fra gli animali, gli etologi hanno già dato diverse spiegazioni: nelle specie che non hanno grandi differenze sessuali esiste l’incapacità di riconoscere il sesso del partner e, inoltre, l’essere dominato sopprime la sessualità maschile e l’essere dominante sopprime la sessualità femminile; nei mammiferi tali azioni hanno il significato d’imposizione del dominio e di affermazione di superiorità di rango, oppure possono costituire un gesto di acquietamento e di saluto, di accettazione di un ordine all’interno del gruppo, che serve a rafforzarne i vincoli, una manifestazione destinata a bloccare l’aggressività altrui e un gesto di sottomissione. Il comportamento sessuale animale è determinato anche dalle fasi dell’imprinting, cioè della formazione comportamentale e le esperienze dell’imprinting possono essere errate: per esempio, alcuni uccelli, allevati fin da piccoli da uomini, tentano l’accoppiamento con essi anche a dispetto d’intervenute convivenze con congeneri. Inoltre, non bisogna dimenticare che certi meccanismi comportamentali animali non sono sempre finalizzati alla sopravvivenza dell’individuo o della specie ma possono manifestare patologie e devianze da eccesso o da carenza di funzione, le quali portano anche a squilibri distruttivi (cfr. EIBL-EIBESFELDT I., Amore e odio. Per una storia naturale dei comportamenti elementari, trad. it., Adelphi, Milano 1996, 43, 46, 123; IDEM, I fondamenti dell’etologia, il comportamento degli animali e dell’uomo, trad. it., Adelphi, Milano 1995, 247 e 614; LATTES COIFMANN I., L’amore? Gli animali lo fanno cosí, Rizzoli, Milano 1995, 8 e 236; LORENZ K., L’ostilità tra generazioni e le sue probabili cause etologiche, in Lorenz allo specchio, trad. it., Armando, Roma 1977, 175-212, 183-184).
Si può fare una lettura teologica delle analogie e delle differenze fra l’uomo e l’animale relativamente ai comportamenti omosessuali?
Certamente. San Tommaso d’Aquino, per esempio, spiega che il male non ha una propria esistenza, ma è soltanto la privazione di un bene, che si può presentare in due forme: come mancanza di qualche cosa oppure come mancato raggiungimento di un fine. Le creature possono andare incontro a patologie, che però rientrano nell’ordine universale delle cose, come una parte in ordine al tutto. L’ordine dell’universo comporta che alcuni esseri possano patire difetti ma da questi procedono, per la provvidenza divina, altri beni, finendo per contribuire all’armonia dell’insieme: la disuguaglianza, che conferisce all’universo maggiore ricchezza di contenuto, implica che vi siano anche esseri corruttibili che non sarebbero tali se mai soggiacessero a corruzione o difetto (cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa Teologica, I, q. 48; I Sent., d. 44. q. 1, a. 2, ad 5). Il mondo corporeo ha in sé un’armonia: dal punto di vista della natura (universale) certi fenomeni sono naturali (come uccidere un animale per procurarsi il cibo) ma nello stesso tempo si oppongono ad una natura (particolare): nessun corpo, infatti, tende naturalmente alla propria distruzione ma, al contrario, si oppone attivamente ad essa. Certe devianze, poi, da cui sono colpiti gli animali all’interno della loro natura particolare - le quali vanno distinte dai comportamenti propri delle varie specie, finalizzati alla loro sopravvivenza - non farebbero parte dell’ordine della creazione, cioè dei progetti del Creatore, ma sarebbero il risultato, come dice la Rivelazione, di una misteriosa ferita originale che ha sconvolto non solo l’uomo ma tutta la natura intesa in senso biologico e materiale (cfr. Rom 8,19 - 22). L’uomo però è sostanzialmente diverso dall’animale perché, a differenza di esso, è capace di conoscere con la ragione le finalità della natura e può guidare l’istinto con la volontà. Solo l’uomo è in grado di capire ciò che è male e può intervenire per cercare di rimediare alla privazione di un bene. Solo nell’uomo si manifesta la consapevolezza e l’angoscia per la malattia e la morte, solo in lui vi è l’esigenza di una felicità perfetta, la quale rivela la sua insopprimibile tendenza verso l’assoluto e la sua nostalgia per il paradiso perduto. L’atto omosessuale, per quanto riguarda la natura umana, è conseguenza di abitudini sbagliate e, nella maggior parte dei casi, frutto di un atteggiamento infantile di attaccamento inconscio al genitore complementare, risultato di una strategia difensiva nevrotica e quindi errata nel tentativo di rimediare alla propria incompletezza psicologica (cfr. TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, Ia, q. 48; e IDEM, Commentum in Libros Sententiarum magistri Petri Lombardi, I, d. 44. q. 1, a. 2, ad 5; Rom 8, 19-22).
Surreale e velleitario già dal titolo: l'Unione
Europea
pretende di definire gli standard sessuali del futuro cittadino europeo.
Neppure le peggiori dittature della storia sono mai arrivate ad un simile
delirio di onnipotenza
La condizione omosessuale pone un problema alla realizzazione della persona?
L’attrazione omosessuale è “narcisistica”, nel senso che è basata sul tentativo illusorio e momentaneo di compensare le proprie carenze affettive, il proprio senso d’inferiorità e d’insicurezza, di affermare sé stessi, di sentirsi piú completi, di colmare le carenze nella propria identità cercando di appropriarsi delle qualità dell’altro individuo dello stesso sesso, continuamente ricercato come un mistero da comprendere e da assorbire. Nell’omosessuale il bisogno sessuale si fa piú intenso in presenza di delusioni, di solitudine e in ogni situazione vissuta con un senso di debolezza interiore, ma il comportamento omosessuale è una falsa soluzione che, invece di sanare la ferita originaria, finisce per rafforzare un’immagine di sé negativa e incompleta. Anche molti eterosessuali possono avere fantasie omosessuali nei momenti in cui sono sopraffatti dalle loro responsabilità o sentono di aver perso il controllo della situazione. Gli atti omosessuali possono rappresentare un’occasione di piacere sensibile, momentaneo e disordinato, ma non risolvono i problemi piú profondi della persona e impediscono la sua vera realizzazione (cfr. NICOLOSI J., Reparative Therapy of Male Homosexuality, A New Clinical Approach, Jason Aronson, Northvale (New Jersey)-Londra 1991; VAN DEN AARDWEG G. J. M., Omosessualità e speranza. Terapia e guarigione nell’esperienza di uno psicologo, op. cit., 55-116; IDEM, Omosessualità: verso la liberazione, op. cit., 810-811; IDEM, L’omosessualità si può curare?, op. cit., 41-42; IDEM, “Matrimonio” omosessuale e affidamento a omosessuali, op. cit., 508; CESARI G., op. cit., 44-52; KIELY B., La cura pastorale delle persone omosessuali. Nota psicologica, op. cit., nn. 2, 3, 4, e pp. 52-55).
Le differenze fra maschi e femmine sono innate o indotte dalla cultura?
La differenza tra maschi e femmine è innata. Esiste in tutte le persone sin dal concepimento, a livello genetico. Questa fondamentale differenza si esprime poi nelle peculiari caratteristiche fisiche, psicologiche e spirituali proprie del maschio e della femmina. Le differenze fra il maschio e la femmina esistono a prescindere da qualsiasi influenza sociale o ambientale, come ampiamente noto. È attraverso di esse che assumono una loro particolare espressione l’educazione, le interazioni sociali, la cultura, etc...; espressione che nella società ha un ruolo fondamentale nello sviluppo della bellezza, della diversità e della specificità del maschile e del femminile. Solo la teoria del gender disconosce questo dato di fatto. Una teoria non è mai una certezza scientifica; una teoria è solo un oggetto di studio che nessuna persona responsabile applicherebbe mai alla vita reale. Solo quando la teoria viene verificata scientificamente e validata dall'esperienza essa diviene un dato certo, applicabile alla vita concreta. La giustapposizione artificiosa di una teoria alla realtà è tipica delle ideologie che pretendono di assurgere a visioni totalizzanti della realtà, una velleità sempre e ampiamente smentita dalla storia.
Cos’è l’ideologia del “gender”?
Per “teorie di genere” (o “Gender Theory”) si intende un complesso di studi ed opere saggistiche prodotte soprattutto nel mondo anglosassone, a partire dagli anni ‘60 del Novecento, in diversi ambiti accademici (psicologia, filosofia, sociologia, linguistica, etc...). Queste teorie nascono nell’ambito dei movimenti ideologici femministi per contestare la posizione sociale della donna e promuoverne la leadership. Con il tempo però le teorie di genere vennero fatte proprie dai movimenti gay, arrivando ad ipotizzare una società ideale in cui l’uguaglianza tra le persone può essere attuata solamente denunciando nel “sesso” una mera convenzione sociale/culturale, costruita attraverso l’imposizione di regole e norme esterne, che obbligherebbe le persone a vivere “da maschio” o “da femmina”, tesi che le teorie di genere negano. L’identità sessuale, secondo queste teorie, deve essere sostituita dall’identità di “genere”, che disconosce il dualismo eterosessuale in favore della piú vasta ed arbitraria gamma di auto-rappresentazione del sé. Sarebbero dunque cinque i generi principali: maschile, femminile, omosessuale, transessuale ed ermafrodita, ma il governo australiano ne ha riconosciuti ufficialmente 23; l’edizione americana di Facebook (un dato del tutto irrilevante e di pura curiosità) permette di scegliere il proprio genere tra 56 diverse opzioni)! Il genere diventa cosí un dato altamente mutevole, influenzato - questo sí - dal contesto ambientale e ancor piú dal desiderio individuale o dall’emotività passeggera. Nonostante le teorie di genere siano radicalmente smentite oltre che dall’evidenza, dai dati scientifici che attestano l’assoluta naturalità di un sistema fondato sulla complementarietà dei sessi maschile e femminile, caratterizzati ancor prima della nascita, esse vengono oggi sostenute - in ambito politico - con il pretesto dei “diritti” individuali e dell’”uguaglianza”. Si tratta dunque di un’ideologia puramente politica (non scientifica) propagandata con tutti i mezzi dalle lobby che la sostengono quale unica garanzia contro le situazioni di discriminazione e di violenza. L’ONU e l’Unione Europea hanno preso posizione a favore di queste teorie divulgandole tra le giovani generazioni. Si tratta di opzioni politico-ideologiche di estrema gravità che negano la realtà antropologica piú evidente di tutte: che si nasce maschi e femmine, e che la complementarietà delle doti naturali dei due sessi è una ricchezza straordinaria per l’umanità intera. Educare i giovani all’idea di una “identità di genere” nebulosa e indefinita crea una pericolosa instabilità psicologica, che può creare conflitti negativi tra la sessualità corporea e quella psichica con tutti i danni che ne conseguono.
Che cosa sono le “lobby LGBT”?
Le lobby LGBT (lesbian-gay-bisexual-transexual) sono associazioni, circoli e gruppi di pressione impegnati nel promuovere le teorie di genere applicate alla “cultura gay”. La piú nota è l’Associazione Internazionale Lesbiche e Gay (ILGA), una struttura internazionale che riunisce al suo interno numerose altre associazioni in tutti i continenti e il cui ramo europeo è la ILGA Europa. Gli obiettivi di tali organizzazioni sono molto lontani dai reali bisogni e interessi delle persone omosessuali, perseguendo invece finalità politiche ed economiche, basate su esclusive logiche di potere. Si tratta spesso di organizzazioni finanziate da privati, ma anche da organismi pubblici (come nell’Unione Europea) che ricevono il sostegno di esponenti politici come fossero l’espressione di una maggioranza: in realtà esse rappresentano solo delle élites che cercano di influenzare a loro favore le scelte dei governi e dei parlamenti.
Cosa si intende per piacere disordinato?
Per “piacere disordinato” si intende il piacere momentaneo di una facoltà che entra in conflitto con le altre componenti della personalità, con i bisogni di natura spirituale che, nell’uomo, si trovano sempre mescolati con quelli inferiori, biologici, che possono entrare in conflitto con le leggi fondamentali della natura. Leggi che l’uomo è in grado di conoscere mediante la ragione. Il piacere momentaneo e disordinato, che contrasta con quanto è giusto, prima o poi danneggia e impedisce la realizzazione e quindi la felicità della persona. Secondo Giuseppe Cesari, ordinario di psicologia clinica all’Università di San Diego in California, l’aspetto specifico della natura umana è il bisogno di significato. Egli introducendo in psicologia il concetto di fecondità, analogo a quello di felicità, definisce “felice” come termine co-radicale a quello di “fecondo”. Sempre secondo Cesari, per esempio, nel campo sessuale la genitalità risulta pienamente soddisfacente solo se è vissuta all’interno di un’autentica relazione d’amore perché, altrimenti, rimane inappagato il bisogno fondamentale, vero basic need, consistente nell’essere in una vera relazione con l’altro. Cesari, partendo da un contesto di matrice freudiana, dice che l’affetto omosessuale non è vero amore, ma una forma di regressione al narcisismo primario pre-edipico: “omofilia” vuol dire essenzialmente “egofilia”. L’omosessuale, sia maschio sia femmina, ha patito qualche mancanza nella relazione con il genitore dello stesso sesso; ha un bisogno morboso di attenzione e di affetto da parte delle persone dello stesso sesso rispetto alle quali si è costruito un complesso d’inferiorità riguardante la propria identità sessuale; ha mantenuto un attaccamento infantile verso il genitore complementare - attaccamento quasi sempre abilmente e inconsciamente mascherato - e gli atti omosessuali non sono manifestazioni di un amore autentico, ma manifestazioni di una strategia sbagliata e nevrotica, con cui la persona omosessuale tenta di difendersi da problemi piú o meno inconsci, che non è riuscito a risolvere: incompletezza, solitudine, inferiorità e infantilismo. Gli atti omosessuali possono portare un sollievo momentaneo alla persona ma, a lungo andare, non risolvono mai i suoi problemi piú profondi: gli atti sessuali vengono ridotti ad una prestazione, fruiti con modalità simili a quelle ossessive e con comportamenti sostanzialmente masturbatori; manca una vera relazione interpersonale e, pertanto, il breve piacere legato all’ordine fisico non è in grado di coinvolgere e di appagare la persona nella sua totalità (cfr. CESARI G., Aspetti psicologici dell’educazione della sessualità, in CESARI G. - DI PIETRO M. L., L’educazione della sessualità, La Scuola, Brescia 1996, 27, 37, 48-49, 50).
Perché molti psicologi contemporanei non considerano piú l’omosessualità come un comportamento sessualmente disordinato?
In campo psicologico, oggi molti considerano l’omosessualità come un disordine soltanto quando non è voluta dalla persona, cioè quando è ego-distonic: questo è, per esempio, l’approccio del Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 3a ed., A.P.A., Washington D.C. 1980, 281-282), voluto dal consiglio direttivo dell’APA, l’Associazione Psichiatrica Americana; questo nonostante che un sondaggio indipendente, realizzato fra gli psichiatri statunitensi mentre il Manuale era in preparazione, mostrasse come la maggioranza di essi considerava l’omosessualità un disordine del comportamento sessuale. Quella accolta dal Manuale (che è il piú noto, ma non l’unico testo guida di riferimento nella psichiatria) non è una posizione di carattere scientifico, ma una presa di posizione relativista nel campo della psicologia, secondo la quale ogni considerazione sull’omosessualità - e non solo - deve essere non di tipo oggettivo, ma di tipo soggettivo. In altre parole, se il soggetto si sente gratificato dagli atti omosessuali esso è da considerarsi normale: sarebbe come dire che, se il tossico-dipendente, l’alcolizzato, lo zoofilo, il sadico, il masochista si sentono gratificati dalle loro azioni disordinate, essi sono da considerarsi normali e vanno incoraggiati a proseguire sulla loro strada. Nel 1994 il consiglio direttivo dell’APA ha tolto dal settore delle patologie del Manuale perfino la pedofilia, e con le stesse motivazioni: la pedofilia sarebbe un disordine soltanto se il pedofilo soffre per la sua condizione (cfr. APA - AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 3a ed., Washington D.C. 1980, 281-282; KIELY B., La cura pastorale delle persone omosessuali. Nota psicologica, in Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla cura pastorale delle persone omosessuali (1° ottobre 1986). Testo e commenti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995, 50-52; VAN DEN AARDWEG G. J. M., “Matrimonio” omosessuale e affidamento a omosessuali, op. cit., 507).
Se la condizione omosessuale è cosí pregiudizievole perché tanti vogliono restare tali?
Se è per questo, anche molti tossicodipendenti e alcolizzati desiderano rimanere nella loro condizione. Infatti, come già detto, ogni abitudine sbagliata crea uno stato di dipendenza. Il filosofo marxista Herbert Marcuse rilevava che lo schiavo, nella misura in cui è stato condizionato ad essere tale, desidera rimanere nella sua condizione, ciò non toglie che si tratti sempre di un’alienazione e lo schiavo, al pari di ogni altra persona, deve essere aiutato a recuperare la libertà. Nel caso degli omosessuali, la mancata soluzione delle difficoltà psicologiche iniziali, le abitudini sbagliate, i condizionamenti psichici, fisici, comportamentali e l’ideologizzazione della deviazione, consolidano il comportamento sessuale disordinato rendendone sempre piú arduo e difficile il cambiamento. Fra l’uomo e le cattive abitudini si può venire a creare un meccanismo analogo a quello che s’instaura nel caso delle tossicodipendenze: ogni abitudine sbagliata, anche se impedisce la felicità dell’individuo, ne determina uno stato di asservimento, un circolo vizioso fatto di delusioni e di ricerca ossessiva di piaceri momentanei e disordinati ottenuti aumentando la “dose” o attraverso la ricerca di nuovi oggetti in grado di abbassare la soglia di eccitazione. Rollo May, il fondatore della psicologia esistenzialista americana, spiega che ogni atteggiamento sbagliato porta con sé la sua sofferenza e la sua delusione ma, quando s’instaura una forma di dipendenza, la persona non riesce piú a utilizzare la sofferenza e la delusione in modo costruttivo, ossia mettendole in relazione con l’atteggiamento sbagliato, cosí, a causa dell’abitudine e dell’illusione, finisce per trasformarle negli elementi di un circolo vizioso (cfr. MAY R., L’arte del counseling, il consiglio, la guida, la supervisione, trad. it., casa editrice Astrolabio-Ubaldini, Roma 1991, 98-102). Il piacere è propriamente la quiete che si ha nel raggiungere e nel possedere l’obbiettivo del proprio desiderio, mentre il desiderio è il movimento verso un obbiettivo. Quando l’oggetto del proprio desiderio è inadeguato - in quanto non naturale e non conforme alla giustizia - il possesso è imperfetto rispetto alle aspettative, a causa dell’inadeguatezza della cosa posseduta nei confronti delle esigenze piú profonde della persona. Cosí il piacere momentaneo viene frustrato perché l’uomo si sente insoddisfatto e diviso, contemporaneamente schiavo del male fatto e deluso dal piacere ottenuto: il movimento del desiderio non cessa, ma diventa ossessivo e non si ha il vero piacere che è la quiete di tutte le facoltà dell’uomo nel bene amato. Dal movimento ossessivo del desiderio nasce il “culto” della novità e del cambiamento perché quando la realtà, con il suo ordine e le sue finalità, viene sostituita e deformata dall’immaginazione, l’intelligenza, privata dell’oggetto suo proprio, non è mai soddisfatta del nutrimento inconsistente che le viene offerto e ne reclama subito un altro perché, quando si viaggia verso un falso obbiettivo si può continuare a sognare, ma quando ci si ferma per possederlo esso delude le aspettative. Nel caso della genitalità, per esempio, quando il sesso viene privato del suo ordine e della sua finalità, quando viene separato dall’amore autentico e dalla tenerezza, gli atti sessuali disordinati producono assuefazione, ma non attenuano il bisogno sessuale il quale, ad ogni sterile ripetizione, si accresce: l’innalzamento della soglia del desiderio richiede l’aumento continuo dello stimolo sessuale, la ricerca della novità e del cambiamento e di nuove perversioni per ottenere lo stesso effetto (cfr. MORIN J., Il piacere negato, trad. it., Editori Riuniti, Roma 1994, 111-112).
La condizione omosessuale è una situazione di alienazione?
Molte deviazioni nascono dal conflitto fra il pensiero e la realtà: l’essere umano va aiutato ad avere un giusto rapporto fra il pensiero e la realtà perché la liberazione da ogni disordine ha luogo nella misura in cui la persona non si pone piú in contrasto con l’ordine fondamentale delle cose. Nella misura in cui si giunge ad accettare il mondo reale e le sue leggi si diventa capaci di soddisfare le proprie esigenze all’interno della medesima realtà. La tendenza omosessuale è una tendenza ad agire in modo disordinato rispetto alle finalità del proprio corpo: si tratta di un disordine evidente fra il pensiero e la realtà. La persona che ha un comportamento di tipo omosessuale è una persona alienata dalla propria natura e dalla propria identità. Per la loro intima struttura gli organi genitali servono a unire l’individuo maschile con l’individuo femminile e questa unione li rende atti alla generazione di nuove vite. Secondo leggi inscritte nella natura stessa, l’atto sessuale presenta sempre due significati fra loro connessi: il significato unitivo e il significato procreativo. Anche se nella donna esistono dei naturali periodi di infecondità, la disposizione procreativa resta intatta: questo rende lecito e in alcuni casi doveroso per i coniugi, quando le circostanze lo richiedono (salute fisica e psicologica, condizioni socio-economiche ed educative), l’uso della sessualità senza scopi immediatamente procreativi. Dinanzi a tale realtà perciò l’atto omosessuale è sempre e soltanto una simulazione del rapporto sessuale naturale fra l’uomo e la donna, un comportamento disordinato rispetto ai progetti e alle finalità insite nella stessa struttura umana.
Perché l’uomo deve rispettare le leggi della natura?
Se si volesse dare una risposta puramente laica si dovrebbe dire anzitutto che rispettare la natura significa rispettare anzitutto la propria stessa struttura e identità. La natura è ciò che esiste e che non dipende dalla volontà degli uomini. Per il credente la sua essenza - che solo l’intelletto può penetrare, anche se mai in modo esaustivo - consiste nelle finalità e nei progetti del Creatore. Nella natura non c’è solo il dato materiale ma in essa si nasconde anche la ragione ultima e profonda delle cose. I sensi hanno il compito di registrare come si presentano le cose ma l’intelletto ha la capacità di cercare e comprendere il progetto che ha creato e dato forma alla materia. La natura è come l’opera di un artista: anche se è stata danneggiata, l’intelletto può rintracciare, conoscendo l’autore, la ragion d’essere dell’opera e può intuirne le caratteristiche perdute o perturbate; questo fa il medico quando distingue fra fisiologia e patologia; questo fa l’etologo quando distingue fra comportamento proprio di una specie, finalizzato alla sua sopravvivenza, e comportamento deviante. Se è vero che l’uomo è un essere capace di dominare la natura, è pur vero che la natura si lascia dominare solo conoscendone le leggi e applicandole. Chi va contro la natura troverà la natura contro di sé. Il dominio dell’uomo sulla natura non è assoluto ma relativo, cioè non può andare oltre il limite costituito dalle finalità stesse dell’ordine naturale: gli equilibri ecologici, per esempio, rappresentano uno di questi limiti.
Che differenza vi è fra tendenza omosessuale e atto omosessuale?
Un uomo può sentire in sé la tendenza al male, ma non per questo è costretto a rubare o a uccidere. La persona con tendenze omosessuali rimane sempre una persona e, pur essendo condizionata da un punto di vista emotivo, ha in sé la libertà che gli consente di resistere all’inclinazione disordinata e di essere padrona dei propri atti. La tendenza omosessuale è espressione di un disordine emotivo e tradurre la tendenza in atto omosessuale significa aggravare questa situazione di disordine (cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, LEV 1995, nn. 3 e 11, pp. 18-19, 20-31).
Si può guarire dalla tendenza omosessuale?
Dalla letteratura scientifica si ricava che circa un terzo dei pazienti omosessuali che si sottopongono ad una idonea terapia guarisce, un altro terzo cambia progressivamente, nel senso che questi soggetti possono ancora avere, nel corso della vita, sporadiche fantasie omosessuali, ma l’attrazione per l’altro sesso prevale e il modo di relazionarsi con gli individui dello stesso sesso è corretto. L’ultimo terzo non cambia perché è costituito da persone in qualche modo forzate a sottoporsi alla terapia o non sufficientemente motivate. Fra i fattori che influenzano positivamente la prognosi sono fondamentali la motivazione al cambiamento, una fede religiosa vissuta in modo positivo, forti legami familiari, buoni valori di base, pazienza con sé stessi e accettazione della natura continuativa della lotta (cfr. DABBENE R., La terapia riparativa dell’omosessualità maschile, in Studi Cattolici, anno XLIII, n. 463, settembre 1999, 626-629). Esperti nella cura dell’omosessualità dimostrano che i complessi omosessuali possono essere curati se la persona con tendenze omosessuali vuole sottoporsi ad opportune terapie psicologiche. Ma i complessi omosessuali possono essere prevenuti durante l’infanzia soprattutto con una giusta educazione. Gerard J. M. van den Aardweg, uno dei massimi studiosi della terapia dell’omosessualità, afferma che un’educazione dei giovani mirante ad annullare le specificità maschili e femminili e la mancanza, in famiglia, dei ruoli paterno e materno può avere effetti disastrosi sulla psiche infantile, provocando l’insorgere dei complessi nevrotici omosessuali (cfr. VAN DEN AARDWEG G. J. M., L’omosessualità si può curare?, op. cit., 43;IDEM, Omosessualità e speranza. Terapia e guarigione nell’esperienza di uno psicologo, op. cit., 80-83). Terapie psicologiche idonee e prolungate possono perciò guarire le inclinazioni emotive disordinate che portano ad un comportamento sessuale deviato. Infatti, una delle maggiori scoperte scientifiche è quella del cosiddetto “encefalo plastico”: nel cervello umano vi sono aree che rispondono unicamente al codice genetico, ma vi sono “zone plastiche” che possono modificarsi. Le aree che vengono modificate dalle abitudini, dall’apprendimento, sono quelle frontali e le zone anteriori dell’area temporo-parietale. Queste aree, e anche il sistema limbico ad esse collegato, che è sede delle emozioni, possono subire l’influenza dell’ambiente e modificarsi. Ogni esperienza nuova, a lungo ripetuta, ogni attività cognitiva, ogni apprendimento svolge una vera e propria azione biochimica sull’encefalo plastico e modifica le strutture biologiche cerebrali (cfr. ANDREOLI V., E vivremo per sempre liberi dall’ansia, intervista di Marina Terragni, Rizzoli, Milano 1997, 85-90 e 98).
Vi è chi sostiene che i casi di omosessualità fra gli adolescenti sono frequenti. Se è vero, perché?
L’uomo è un essere eterosessuale, ma non bisogna mai dimenticare che tutto ciò che è soggetto a sviluppo e formazione è pure soggetto al rischio di deformazioni e di alterazioni. Ogni sviluppo armonico non è automatico, ma sottoposto ad innumerevoli tensioni e aggressioni che, se non sono adeguatamente controbilanciate, corrette, indirizzate e combattute, possono dar luogo a deformazioni: questo vale tanto per la psiche quanto per il corpo. L’adolescenza è una fase delicata dello sviluppo della persona, che deve raggiungere l’indipendenza su tutti i piani; soprattutto deve realizzare il distacco psicologico dai propri genitori, deve superare l’egocentrismo infantile, deve cominciare ad agire autonomamente sul mondo circostante e scegliervi il proprio ruolo. La crisi d’identità nell’adolescente riguarda non solo i ruoli all’interno della società, ma anche il ruolo legato al sesso. L’adolescente deve accettare coscientemente la sessualità e deve imparare ad acquisire progressivamente un controllo sul proprio istinto sessuale - ancora rivolto soprattutto al proprio corpo e alla propria persona - per indirizzarlo verso la persona di sesso complementare e per unirlo alla tenerezza e all’affetto. Ugualmente, deve imparare a controllare sempre meglio il proprio istinto di aggressività, che non è fondamentale solo per difendersi ma per “aggredire”, nel senso piú vasto del termine, un compito o un qualsiasi problema. Egli deve imparare ad adattarlo alle circostanze, deve metterlo al servizio della giustizia e dei diritti degli altri, insomma, deve orientarlo verso la realizzazione di un progetto. Tutti sanno, per esempio, quanto siano impazienti i giovani e come sia difficile, per loro, rimandare a piú tardi un obbiettivo anche quando la situazione lo esige. Durante lo sviluppo verso la maturità biologica e psicologica l’adolescente può avere sensazioni erotiche indefinite, che possono essere associate nell’immaginazione con molteplici oggetti e situazioni, anche le piú stravaganti. In questo stadio, che alcuni definiscono “multisessuale”, può esserci anche una tendenza omosessuale transitoria (da non confondersi con l’omosessualità vera e propria), che può portare alcuni adolescenti ad avere qualche esperienza sessuale (non necessariamente fisica) con giovani del proprio sesso. Si tratta di situazioni in cui il partner può funzionare come sostituto di quello eterosessuale o può essere usato come uno specchio per avere conferma di sé stesso e per superare l’inquietudine derivante dalla diversità dell’altro sesso. Spesso, in questo periodo, la scelta dell’amico segue un modello narcisistico con una idealizzazione dell’altro, che avrebbe le qualità che si vorrebbero avere personalmente e che quindi si possiedono come “per procura”. L’attività omosessuale transitoria viene vissuta come prova generale e come preparazione della normale attività sessuale: una sorta di gioco che anticipa la realtà. In certi casi, in presenza di una particolare situazione psicologica, per esempio un’accentuata insicurezza o una mancata identificazione con il modello del genitore dello stesso sesso, vi è il pericolo che l’adolescente resti legato a questo tipo di soddisfacimento sessuale. Il periodo dell’adolescenza è un periodo delicato e difficile che richiede la presenza di educatori che sappiano tranquillizzare l’adolescente e nello stesso tempo che gli sappiano spiegare le cose e indicare gli obbiettivi giusti verso cui deve imparare ad orientarsi. Le cattive compagnie e la mancanza di educatori possono indirizzare l’adolescente verso la fissazione in comportamenti e idee errate, che possono porre, successivamente, le premesse per un comportamento di tipo omosessuale o di altro genere (cfr. ARGENTIERI S., La sessualità, in IDEM, Dieci psicanalisti spiegano i temi centrali della vita, 3a ed. Rizzoli, Milano 1987, 113-123; BOURGEOIS M., Psicologia sessuale dell’adolescente, in Dizionario di sessuologia, diretto da Robert Volcher, Cittadella editrice, Assisi (Perugia) 1975, 270-286; JAMONT C., I problemi sessuali dell’adolescenza, in Enciclopedia della sessualità, a cura di A. Willy e C. Jamont, 3a ed., Borla, Bologna 1974, 217-226; THOMPSON E., La sessualità del bambino, Ibidem, 165-170; VAN DEN AARDWEG G. J. M., Omosessualità e speranza, terapia e guarigione nell’esperienza di uno psicologo, trad. it., Ares, Milano 1995, 49-51).
È possibile cambiar sesso?
La volontà di cambiare le caratteristiche sessuali del proprio corpo nasce da un grave disturbo dell’identità sessuale che si chiama transessualità. Gli interventi chirurgici (denominati anche adeguamento tra identità fisica ed identità psichica o semplicemente adeguamento di genere) a cui i soggetti si sottopongono non portano ad un vero cambiamento di sesso, piuttosto conferiscono l’apparenza del sesso desiderato. Gli individui vengono castrati e mutilati dei loro organi genitali normali e gli organi finti “costruiti” sono privi della capacità di procreare, i rapporti sessuali normali sono spesso dolorosi o impossibili. Al riguardo è significativa la testimonianza di Walt Heyer, sottopostosi a questa operazione. Il 13 aprile 2014 a Brescia è stata presentata l’edizione italiana di Paper Genders-Il mito del cambiamento di sesso, il libro in cui racconta tutta la sua storia:
“È pura follia - scrive - continuare ad avallare una procedura chirurgica, fallimentare e causa di grandi sofferenze, come risposta a un disturbo che è di natura psicologica”. Di seguito alcuni stralci del suo racconto: «Esattamente nell’aprile di 30 anni fa, finivo sotto i ferri di un chirurgo con l’obiettivo di essere trasformato in qualcosa che non avrei mai potuto essere. Negli otto anni in cui ho vissuto come Laura Jensen ho scoperto che è una follia avvallare una procedura chirurgica che produce cosí tanti fallimenti e suicidi (si veda, per esempio, il triste caso di Nathan Verhelst, dopo una serie di operazioni per il cambio di sesso il cui risultato è stato per lui deludente. Affermava di sentirsi ancora prigioniero di “quel corpo da donna” quando invece si era sempre considerato uomo. Pur non essendo affetto da alcuna malattia incurabile a 44 anni ha chiesto l’eutanasia, somministratagli in un cosiddetto “paese civile” della nostra Europa, il Belgio, dove è consentita non solo per le sofferenze fisiche insopportabili ma anche per quelle psichiche). Un uomo sottoposto a terapia ormonale e intervento chirurgico non diventerà mai una donna: non è possibile... Nessun uomo può essere artificialmente trasformato nella donna che Dio ha creato per noi. Molti che come me sono stati spinti a credere di potersi affidare alla chirurgia per risolvere i loro problemi mi scrivono attraverso il mio sito Web, che ha circa 60.000 contatti annui. Molti si vergognano o hanno paura a esprimersi pubblicamente, molti di loro vivono ai margini della società, cercando rifugio nell’alcool e nella tossicodipendenza; ma, attraverso i contatti sul Web mi confidano di essere amaramente pentiti e chiedono aiuto per potere tornare alla loro identità originaria. Quello che mi preme far sapere è questo: i transgender hanno problemi psicologici, come la depressione, i disturbi d’ansia e i disturbi dissociativi; non nascono cosí, e per risolvere i loro problemi non hanno bisogno di chirurgia, bensí di terapeuti competenti che sappiano fare diagnosi accurate e comprendere quali strumenti sono utili a prevenire il ricorso alla chirurgia, troppo spesso causa di esiti fallimentari e tragici. Per dare fondamento a queste affermazioni, condividerò la mia storia. Certo, potrei essere facilmente liquidato e considerato un caso isolato. Ma non è cosí. Uno studio svedese condotto su 324 transgender (cioè la totalità di coloro che nel periodo 1973-2003 si sono sottoposti in Svezia all’intervento chirurgico di riassegnazione sessuale) ha concluso che dopo l’intervento chirurgico c’è un rischio di mortalità, comportamento suicidario e problemi psichiatrici significativamente superiore alla media nazionale svedese. E allora perché continuare a proporre la chirurgia come soluzione? Dove sono gli psichiatri e gli psicologi? Negli ultimi 40 anni c’è stata tanta disinformazione; la verità è stata soffocata, forse per motivi politici, e intanto molti transgender hanno pagato e pagano con il rimpianto o addirittura con la propria vita. In Paper Genders ho tracciato la storia della chirurgia di cambiamento di sesso: da Alfred Kinsey a Harry Benjamin, a John Money, fino a Paul Walker, lo psicologo che nel 1981 ha rilasciato il suo parere favorevole per la mia transizione. Ma come sono finito nel suo studio? A cinque anni mia nonna amava vestirmi da bambina; mi aveva persino confezionato un elegante abito lungo in chiffon color porpora. La cosa si ripeteva con una certa regolarità e forse lí si possono rintracciare gli inizi del mio disturbo di identità di genere. Già da bambino pensavo che doveva esserci qualcosa di sbagliato in me, che in realtà avrei dovuto essere una femmina. Dopo i problemi con la nonna ci fu dell’altro: quando avevo circa 10 anni ho subito le attenzioni di uno zio, un adolescente disturbato e dedito all’alcool... Era umiliante e mi faceva stare male. A 15 anni mi sentivo intrappolato nel corpo sbagliato. Ho combattuto intensamente il mio desiderio di cambiare genere. Mi sono dato all’alcool per far fronte all’ansia. Tuttavia, nonostante i miei sforzi, il desiderio di essere una donna non se ne andava, nemmeno dopo due anni di matrimonio, due figli eccezionali e il successo professionale. Alla base del mio delirio di genere c’era un disturbo dissociativo non diagnosticato e io mi illudevo che la chirurgia mi avrebbe aiutato. Cosí nel 1983 finii sotto il bisturi del dott. Stanley Biber. Ma non ne trassi giovamento dal punto di vista del benessere psicologico. L’incontro con Dio nella preghiera fu fondamentale nel ritrovarmi. La forza della preghiera aprí i miei occhi e compresi che la chirurgia era stata un errore; nello stesso tempo anche il mio cuore si aprí e scoprii che Dio era lí per risanarmi. Sí, ho sbagliato a mettere la mia vita nelle mani di un chirurgo e ho imparato che le sole mani alle quali dovremmo affidarci sono quelle di Dio. Cosí oggi a 72 anni sono un testimone la cui esperienza diretta dice che proporre il cambiamento di genere come trattamento è forse il piú grande inganno che la medicina abbia mai perpetrato. Gesú Cristo ci aspetta con la braccia aperte, pronto a risanare le nostre vite infrante. Io ne sono la prova. La mia forza è quella della verità: oggi sono l’uomo che Dio ha creato, Walt Heyer, maschio, rinnovato e risanato dalla potenza, dalla grazia e dall’amore di Gesú Cristo».
Quale atteggiamento deve avere la società verso gli omosessuali?
La società deve avere rispetto, compassione e delicatezza verso le persone con queste problematiche. L’abitudine omosessuale tuttavia non deve essere tutelata né equiparata al comportamento sessuale naturale, che porta a costituire una famiglia e ad adottare figli. La società deve fornire ogni sostegno per aiutare le persone omosessuali che vogliono compiere un cammino di liberazione. Liberazione che trova conferma in fenomeni sociali come la crescita del movimento internazionale “ex gay”: si tratta di veri movimenti di base, come Courage, dove omosessuali ed ex omosessuali si aiutano per promuovere un cambiamento di vita in modo da superare l’omosessualità. Oggi invece vengono organizzate, incoraggiate e promosse pubbliche manifestazioni di persone favorevoli al comportamento omosessuale. I comportamenti sessuali disordinati possono e devono essere tollerati se attuati in privato - purché non costituiscano forme di violenza sulle persone -, ma è giusta la pubblica apologia della devianza, qualsiasi essa sia? Sarebbe giusta, per esempio, la pubblica apologia dell’alcolismo? La pubblica apologia del vizio, di ogni vizio, lede la libertà dei piú piccoli e dei piú deboli, in special modo quella degli adolescenti che attraversano una fase delicata di sviluppo, che interessa tutti gli aspetti della personalità, con crisi d’identità, compresa quella sessuale. Essa ha un effetto dannoso su tutti coloro che hanno ferite psicologiche, le quali possono predisporre al comportamento disordinato; ha un effetto negativo su chi cerca di guarire da queste problematiche e non aiuta a motivare tutti coloro che ne sono vittime. Sul problema dell’omosessualità viene esercitata da piú parti una notevole pressione ideologica che finisce per confondere in molti la capacità di giudizio. Non va dimenticato che una menzogna, quando viene continuamente ripetuta, finisce per essere confusa con la verità (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2358; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, in Cura Pastorale delle Persone Omosessuali, Lettera e commenti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995, 83-88; CONCETTI G., Diritti degli Omosessuali, Edizioni Piemme, Casale Monferrato (AL) 1997, 42).
Non riconoscere legalmente l’unione fra omosessuali è una discriminazione?
Non è una discriminazione. Un comportamento disordinato non può avere l’approvazione e l’aiuto di alcuna legge. Il soggetto che vuole guarire deve essere aiutato a curarsi. La persona sofferente, qualunque patologia abbia, possiede gli stessi diritti di ogni altra persona, compreso il diritto di esser curata; la patologia invece non ha “diritto” ad alcuna tutela (cfr. I diritti sociali delle persone omosessuali). Se ogni comportamento disordinato dovesse godere di approvazione e aiuto legale, come impedire, per esempio, il matrimonio, fra uomini e animali, perversione indicata come zoofilia o bestialità? Questa possibilità è tutt’altro che fantasiosa, sia considerando l’esistenza di queste forme di deviazione, sia considerando il fatto che vi alcuni gruppi di animalisti che sostengono l’uguaglianza giuridica fra l’uomo e gli animali. Ogni disordine morale, quando è accettato e tutelato, non solo tende a perpetuare e a diffondere se stesso, ma apre la porta ad altri comportamenti distorti e irrazionali, gravidi di conseguenze. Per poter arrivare al “matrimonio” omosessuale, i movimenti gay cercano d’introdurre nella legislazione un primo ponte, ossia i cosiddetti PACS (Patti Civili di Solidarietà), che hanno la chiara funzione strumentale di equiparare la coppia gay ad una vera famiglia. Attraverso i PACS queste lobby vogliono estendere i benefici sociali e fiscali di cui godono le coppie sposate (ben pochi in Italia), agli omosessuali. Una considerazione anche per quanto riguarda i conviventi eterosessuali: come non è giusto concedere a nessuno di fare l’imprenditore se non rispetta le regole che lo Stato ha previsto a tutela degl’interessi di quanti sono coinvolti nel lavoro dell’impresa, cosí non è conveniente estendere i benefici del matrimonio a chi non intende o non può assumere tutte le responsabilità del matrimonio stesso (cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, in Cura Pastorale delle Persone Omosessuali, Lettera e commenti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1995, nn. 6, 7, 9, 14, 15, 16; CONCETTI G., Diritti degli Omosessuali, Edizioni Piemme, Casale Monferrato (AL) 1997, 50 e 73).
Cos’è il “DDL Scalfarotto”, proposto in Italia, in merito alle iniziative “anti-omofobia”?
Il disegno di legge (DDL) “Scalfarotto” intende introdurre nell’ordinamento italiano l’omofobia e la transfobia come aggravanti di un eventuale atto discriminatorio nei confronti di una persona. Oggi simili aggravanti, oltre che per generici “motivi abietti”, esistono solo per i casi di discriminazione fondata sulla razza, la religione, l’etnia o la nazionalità della vittima; ciò al fine di scoraggiare quelle violenze che storicamente hanno condotto ai piú gravi conflitti sociali. Questo DDL porta a gravi conseguenze: a) l’equiparazione indebita dell’orientamento omosessuale ai sopracitati dati socio-identitari, ben piú rilevanti nella vita sociale delle persone; b) la pericolosa assenza di una definizione chiara e condivisa di cosa sia, in concreto, un atto di “omofobia” o di “transfobia”, introducendo cosí gravi limiti alla libertà di espressione. Questa improvvisata terminologia mediatica viene usata oggi per comprendere ogni sorta di atteggiamento, in qualche misura reticente, nei confronti dell’orientamento omosessuale, quasi si trattasse di una condizione in sé positiva e costitutiva di un valore sociale. Da ciò deriva il rischio di criminalizzare ogni opinione contraria in merito all’identità della famiglia, ai requisiti naturali del matrimonio e all’opportunità di negare ad una coppia omosessuale l’adozione dei minori o l’accesso alla procreazione artificiale. Con il succitato DDL si intende promuovere cosí una propaganda all’insegna del “politicamente corretto”, nel tentativo di bollare ogni dissenso come istigazione all’odio e alla discriminazione. Se il disegno di legge “Scalfarotto” venisse approvato, questi abusi ideologici ne uscirebbero rafforzati, anzi garantiti da una indebita norma sui reati d’opinione; tipologia di reato inaccettabile per qualunque autentica democrazia. Inutile - oltre che indebita - poiché già oggi l’ordinamento italiano, dalla Costituzione fino al Codice Penale, dispone di una gamma di strumenti efficaci per affermare la dignità intangibile di ogni persona umana e per difenderne e tutelarne l’integrità fisica e morale.
Cosa succederebbe se venissero approvate leggi come il “DDL Scalfarotto”, già all’esame in Italia?
Con la Legge Scalfarotto non ci sarebbe piú libertà di opinione in materia di famiglia e di educazione; l’unico pensiero lecito sarebbe quello imposto dalla legge, ossia dall’ideologia gender. Il reato di omofobia/transfobia punirebbe infatti ogni forma di dissenso, imponendo l’ideologia di genere in tutti gli ambiti della vita sociale, pubblica e privata. Il DDL Scalfarotto prevede infatti il reato d’opinione: verrebbe punito penalmente chi sostenesse la non equiparabilità di situazioni oggettivamente e costitutivamente diverse; sarebbe reato perfino affermare quanto sancito dalla stessa Corte Costituzionale italiana (cfr. sentenza n. 138 del 2010): «le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio». Potrebbe diventare reato perfino sostenere una realtà di fatto, ossia che la famiglia costituita da un uomo e da una donna è un bene insostituibile per la crescita delle persone e per la società intera. Anche esprimersi a favore della famiglia e difendere il diritto di educare i propri figli secondo i propri valori potrebbe diventare reato.
Cosa è l’omofobia?
Il termine omofobia è un neologismo coniato in ambito giornalistico per indicare i casi di violenza nei confronti di persone omosessuali. Come per molti neologismi, spesso errati e pericolosi per le conseguenze mediatiche e sociali che ne scaturiscono, il suo significato è stato ampliato fino ad includere tutte le forme di pensiero, di critica, di obiezione o dissenso, rispetto alle rivendicazioni delle associazioni LGBT. Questo neologismo, come altri neologismi devianti coniati dai mass-media, fa di questo termine un vero e proprio strumento di repressione nei confronti di chi sostiene idee differenti da quelle della teoria gender e di chi non accetta l’imposizione mediatica e culturale posta in essere dalle sue lobby.
Una famiglia è composta necessariamente da un uomo e da una donna?
Questo è proprio ciò che implica la nostra natura: l’essere umano riceve la vita grazie all’unione di un uomo e di una donna, all’interno di un legame stabile, che da cosí luogo alla famiglia. L’uomo e la donna sono complementari l’uno all’altra, non solo per le loro caratteristiche fisiche, ma anche perché solo dalla loro unione può nascere una realtà nuova. La reciprocità uomo-donna vissuta nell’amore e nella donazione totale di sé all’altro è il fondamento della famiglia, ed è il cammino di una piena e profonda umanizzazione della cultura e della società.
Le unioni di fatto sono famiglie?
La famiglia è la culla naturale delle nuove generazioni. Essere famiglia significa essere aperti alla generazione di una nuova vita, ciò che proviene solo dall’unione di un uomo e di una donna. Allo stesso tempo è necessario garantire alla vita nascente un luogo idoneo alla sua crescita, alla sua promozione e al suo accompagnamento in tutte le sue tappe. Non può dirsi famiglia una coppia che non può garantire ai figli che accoglie le condizioni naturali necessarie allo sviluppo: la condivisione totale di ogni bene, la stabilità del legame, l’essere consolidata da un vincolo giuridico e non basata sulla mera convivenza, senza responsabilità e garanzie, etc...). La coppia di fatto - per definizione - non offre niente di tutto questo, ne segue che non si può chiamare famiglia ciò che famiglia non è.
Se due persone dello stesso sesso si amano, perché non deve essere loro accordato il diritto di adottare un figlio?
Premettiamo che non può esistere un "diritto al figlio". Un figlio non è una cosa, un oggetto, ma una persona che, come tale, non è mai proprietà o "diritto" di qualcuno. Per far crescere un figlio poi non basta l’amore. Lo dice l’esperienza e lo dicono gli studi clinici: l’amore è la premessa, ma da solo non basta. In particolare, una coppia dello stesso sesso, anche se legata da forti sentimenti e dotata di risorse morali e materiali ottimali, non può offrire ad un bambino tutto ciò di cui egli ha bisogno per maturare la sua identità, che è un processo di assoluta importanza per il bene della persona. Non potendo offrire l’immagine vissuta della complementarietà dei sessi e dei ruoli, nel bambino resterebbe un profondo vuoto di identità, una fragilità che si ripercuoterebbe su tutta la persona e in tutto l’arco della sua esistenza.
I bambini adottati da una coppia omosessuale possono essere educati in modo corretto?
I figli di coppie di omosessuali sono privi dell’esempio di relazioni normali uomo-donna e mancano di un’importante premessa per lo sviluppo di legami etero-sessuali. I primi dati del 1996 sono allarmanti e le statistiche (P. Cameron e K. Cameron), effettuate su campioni della popolazione urbana degli Stati Uniti d’America, dicono che piú della metà di quanti hanno un genitore omosessuale è pure diventata omosessuale. Non va, poi, sottovalutato il fatto che i figli adottati da omosessuali potrebbero subire attenzioni di tipo sessuale da parte dei loro genitori adottivi, perché le statistiche dicono che il 23% dei maschi omosessuali e il 6% delle lesbiche avrebbero avuto contatti sessuali con minorenni al di sotto dei 17 anni; e questo secondo il Gay Report del 1979, che sicuramente non nutre prevenzioni contro gli omosessuali. Si tratta di una statistica confermata dallo studio di A. P. Bell e M. S. Weinberg; inoltre l’internazionale gay non può negare gli stretti rapporti con le associazioni dei pedofili, dato che l’associazione americana di pedofili NAMBLA, North American Man-Boy Lovers Association, fa parte della ILGA, International Lesbian and Gay Association, e nei Paesi Bassi le associazioni omosessuali, COC, hanno voluto e ottenuto, nel 1990, la depenalizzazione dei rapporti sessuali con minorenni al di sopra dei 12 anni. Nel 1993 la ILGA, che è associata ai pedofili americani, è stata riconosciuta come organo consultivo dall’ECSOC, Economic and Social Council, dell’ONU: l’emancipazione dell’omosessualità e della stessa pedofilia, dunque, sembra avere notevoli gruppi di pressione alle proprie spalle e sembra essere manovrata molto in alto. La rete d’associazioni che si occupa di pianificazione familiare IPPF, International Planned Parenthood Federation, nel 1969, nella presentazione di un piano strategico all’ONG Population Council, che pure si occupa di pianificazione della popolazione, raccomandava d’incoraggiare la diffusione dell’omosessualità. Queste organizzazioni agiscono a livello di base, ma sono molto influenti anche a livello politico e operano per divulgare tutti i metodi disponibili per impedire la trasmissione della vita umana. Fa parte di questa strategia contraria alla procreazione anche l’introduzione di “nuovi diritti”, fra cui il diritto all’aborto e il riconoscimento delle unioni omosessuali. Il SIECUS, Sex Information and Educational Council of the U.S., la holding che opera come servizio informazioni dell’IPPF, si è impegnato già negli anni ‘70 a proporre come naturali sia i contatti sessuali fra bambini, sia la “sessualità intergenerazionale”. Provoca ancor piú meraviglia e preoccupazione il fatto che, nel 1994, il consiglio direttivo dell’APA abbia ordinato la rimozione della pedofilia dal settore delle patologie da rubricare nel Manuale dell’associazione. Tornando alla domanda iniziale: se una coppia è omosessuale è prevedibile che educherà - anche con il comportamento palesemente omosessuale - il bambino adottato a considerare normali gli atteggiamenti e lo stile di vita omosessuali impedendogli, in questo modo, di poter realizzare i naturali processi di identificazione psicologica riguardanti la differenza sessuale e la complementarietà fra i sessi, e questo non potrà che determinare, nel bambino, le premesse del comportamento omosessuale (cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, op. cit., nn. 6, 7, 9, 14, 15 e 16, e pp. 85-88; VAN DEN AARDWEG G. J. M., Matrimonio omosessuale e affidamento a omosessuali, in Studi Cattolici, 449/50 (XLII), luglio-agosto 1998, 500; CAMERON P. et al., The longevity of homosexuals: before and after the Aids epidemic, in Omega. Journal of Death and Dying, anno 29, n. 3, 1994, 249-272; HENDIN H., Suicide in America, Norton, New York 1995; SCHOOYANS M., Nuovo disordine mondiale. La grande trappola per ridurre il numero dei commensali alla tavola dell’umanità, trad. it., San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano) 2000, 32-34).
L’omogenitorialità dunque pregiudica la crescita del bambino?
I primi anni di vita sono di importanza fondamentale per lo sviluppo del bambino. La presenza di una coppia genitoriale uomo-donna è essenziale per lo sviluppo equilibrato della persona. Affinché il bambino possa sviluppare un’identità solida e matura ha bisogno di potersi identificare nel genitore dello stesso sesso e, al contempo, differenziarsi dal genitore del sesso opposto. Il bambino ha bisogno di scoprire attraverso di loro, che sono il suo riferimento primario, il mondo del maschile e il mondo del femminile, in termini di sentimenti, di atteggiamenti e di ruoli. Se questo processo non può avvenire il bambino avrà difficoltà a sviluppare una chiara idea di sé, come maschio o come femmina, e ad interiorizzarla nel profondo. Il risultato sarà spesso una personalità frammentata, confusa e fragile, con tutti i seri danni che ne conseguono.
Gli omosessuali sono soggetti a contrarre l’AIDS?
L’AIDS, Sindrome da Immunodeficienza acquisita, è una malattia infettiva che si trasmette soprattutto attraverso i rapporti sessuali: la promiscuità sessuale (i rapporti con piú partner) favorisce la diffusione della malattia. Luc Montagnier, lo scienziato che ha scoperto e studiato il virus che provoca l’AIDS afferma che i rapporti omosessuali sono piú efficaci per la trasmissione del virus: infatti sono i rapporti ano-genitali a costituire il fattore di rischio piú importante. Il genetista Jerome Lejeune, scopritore della trisomia 21, il difetto cromosomico responsabile della sindrome di Down, spiega che la mucosa intestinale non ha difese contro i virus trasmessi tramite rapporti sessuali. L’uso del preservativo riduce il rischio di contrarre la malattia, ma non lo elimina: oltre tutto bisognerebbe munirsi anche di mascherina, di guanti chirurgici e di occhiali protettivi! Alcuni ricercatori inglesi hanno reso noti i risultati di una loro indagine condotta sull’uso del preservativo fra gli omosessuali (cfr. Journal of Immune Deficiency Syndromes, n. 4, New York 1989, 404-409). Anzitutto il preservativo risulta inefficace nel 7% dei casi, anche quando è stato escluso un suo uso non appropriato. Inoltre, il 30% degli omosessuali ha constatato la rottura del preservativo nel corso del rapporto: questo vuol dire che almeno il 30% degli omosessuali che utilizza il preservativo è esposto alla possibilità del contagio (cfr. MONTAGNIER L., AIDS l’uomo contro il virus, la lotta alla “peste del 2000” nella cronaca dello scienziato che l’ha scoperta, trad. it., Giunti, Firenze 1995, 103; LEJEUNE L., Per me non esiste, intervista a cura di Alessandro Banfi, in Il Sabato. Fatti e commenti della settimana, anno VIII, n. 40, Milano 5-10-1985, 4; SPAGNOLO A. G., AIDS: e se partissimo dalla verità scientifica?, in Avvenire, Milano 2-11-1989 che cita il Journal of Immune Deficiency Syndromes, n. 4, New York 1989, 404-409).
I bambini che hanno un insegnante “dichiaratamente” omosessuale possono essere educati in modo corretto?
Se essere omosessuale “dichiarato” significa fare pubblica ostentazione e pubblica apologia dell’omosessualità, facendo di essa una proposta educativa e presentandola come un bene, in questo caso il diritto del minore ad essere educato secondo i valori dei genitori e, il diritto dei genitori ad orientare il figlio verso i propri valori educativi, prevalgono sul diritto della persona a vivere liberamente le proprie scelte sessuali. I genitori devono essere liberi di poter scegliere i valori educativi che vogliono trasmettere ai propri figli. Se la “tolleranza” è il rispetto di tutte le diversità, bisogna rispettare anche il diritto dei genitori che vogliono per i propri figli un’educazione sessuale rispettosa dell’ordine e delle finalità della natura e conforme ai propri modelli familiari. Se la scuola pubblica, in una situazione di diffuso relativismo, vuole imporre, in tema di educazione sessuale, un comportamento moralmente disordinato com’è quello omosessuale, i genitori hanno il diritto inviolabile di esigere un’informazione sessuale rispettosa della natura e delle finalità dell’amore umano e conforme ai propri modelli familiari; un’informazione che spieghi ai figli che l’omosessualità è un comportamento sessuale disordinato, frutto di abitudini sbagliate e di seri problemi psicologici irrisolti. Considerazioni analoghe possono esser svolte per il mondo dello sport e per quello militare, cioè in tutti quei luoghi in cui chi dirige ha un ascendente oggettivo su chi viene diretto (cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, op. cit., n. 11, p. 86).
Secondo la Chiesa cattolica che cosa dovrebbe fare un omosessuale?
La Chiesa cattolica insegna che qualsiasi persona incontra problemi e difficoltà, ma anche opportunità di crescita. Anche nelle persone omosessuali deve essere riconosciuta la libertà fondamentale che caratterizza la persona umana. Grazie a questa libertà lo sforzo umano, illuminato e sostenuto dalla retta ragione e dalla grazia di Dio, potrà consentire a queste persone di liberarsi progressivamente dal comportamento omosessuale anche con l’aiuto di uno psicoterapeuta. G. J. M. van den Aardweg ha potuto constatare il caso di alcune persone, delle quali ha accuratamente analizzato le sensazioni e gli atteggiamenti, la cui guarigione si è progressivamente realizzata senza psicoterapia, ma mediante una profonda conversione religiosa attraverso la quale il soggetto, sottomettendo la propria volontà alla legge di Dio, è stato liberato dal suo egocentrismo, è stato ri-orientato e liberato da sé stesso, dal suo “ego” infantile, emotivamente indirizzato in senso omosessuale. Per la dottrina della Chiesa cattolica, le persone omosessuali sono chiamate, come tutte le altre persone, a fare del loro meglio per realizzarsi pienamente come uomini/donne e come cristiani. Il cristiano, che vive con una fede autentica è consapevole del progetto di Dio, mantiene vivo l’amore per i comandamenti e persevera nello sforzo di combattere contro le illusioni del peccato. Cosí egli, anche attraverso molte sconfitte e debolezze, viene purificato e riesce a diventare migliore. Lo psicologo olandese G. J. M. van den Aardweg ha notato che, durante il trattamento psicoterapico, i pazienti omosessuali che vivono la loro fede religiosa in modo positivo hanno maggiori possibilità di un cambiamento radicale perché la pratica dei sacramenti (in particolare la confessione), e l’amore del prossimo hanno un effetto terapeutico. La volontà di guarire, come in ogni terapia, è un elemento determinante per il buon esito della cura, ma per voler guarire è anche indispensabile sentirsi amati. Secondo lo psichiatra William Glasser, iniziatore di un indirizzo psicoterapeutico definito “terapia della realtà”, uno dei bisogni fondamentali dell’essere umano è quello di sentirsi amato. Le persone che hanno fede, specie attraverso la preghiera, sentono nella loro vita l’amore di Dio che le sostiene, le illumina e le incoraggia anche nelle difficoltà piú gravi. Secondo Albert Görres, professore di psicologia, psicosomatica e psicoterapia, che dirige l’istituto clinico di psicoterapia dell’università di Monaco di Baviera, uno dei principali ostacoli che si oppone al superamento dell’omosessualità sta nella mancanza di una motivazione che illumina e incoraggia l’individuo. La recente tendenza a difendere gli orientamenti e gli atti omosessuali, che trova echi anche nel mondo scientifico, deriva da un atteggiamento culturale che privilegia l’importanza della gratificazione sessuale momentanea e la libertà dell’individuo, intesa in senso soggettivo e relativistico. Questo cambiamento culturale coinvolge anche altre questioni come l’aborto, la castità prematrimoniale, il divorzio, la fedeltà coniugale: tutti punti nei quali la “scomoda” dottrina della Chiesa cattolica viene contestata. In questo clima culturale però difendere la dottrina cattolica equivale a difendere le famiglie del futuro e tutte le persone che non vogliono arrendersi alle loro debolezze (cfr. VAN DEN AARDWEG G. J. M., Omosessualità e speranza. Terapia e guarigione nell’esperienza di uno psicologo, op. cit., 140-152; GLASSER W., Terapia della realtà, trad. it., Astrolabio-Ubaldini, Roma 1971, 24-27; GÖRRES A., Il male e il superamento del male nella psicoterapia e nel cristianesimo, in IDEM, Il Male. Le risposte della psicoterapia e del cristianesimo, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1986, 11-219; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla cura pastorale delle persone omosessuali, op. cit., nn. 2, 3, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 15, 16 e 17, pp. 16-39; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2357, 2358 e 2359; TETTAMANZI D. et al, Antropologia cristiana e omosessualità, Quaderni de “L’Osservatore Romano”, Città del Vaticano 1997).
L’antichità classica era piú tollerante nei confronti dell’omosessualità?
Alcuni intellettuali, favorevoli al vizio omosessuale, sostengono questa tesi. Secondo loro il comportamento omosessuale era considerato normale nell’antichità classica e sarebbero stati i cristiani ad aver introdotto il concetto di comportamento sessualmente disordinato. La storia dei costumi sessuali, in realtà, non è cosí semplice. Nella Grecia antica, per esempio, non era ammessa l’omosessualità fra adulti ma solo la pederastia cioè il rapporto fra l’adulto e l’adolescente (il ragazzo dai 12 ai 16 anni). Non erano invece ammesse relazioni con i giovani piú piccoli o con gli adulti. Solone (640-560 a.C.) aveva imposto la pena di morte da applicare a qualsiasi maschio adulto sorpreso nei locali di una scuola dove i ragazzi erano al di sotto della pubertà. L’omosessualità fra adulti era considerata depravazione come pure l’atteggiamento sessualmente passivo nell’adulto; il ruolo passivo era considerato normale solo per le donne e gli adolescenti. La pederastia era tollerata solo se non si protraeva oltre i limiti di età previsti; il giovane poi, una volta superata l’adolescenza, doveva assumere un atteggiamento sessualmente attivo. Inoltre, come si deduce dal dialogo Simposio, di Platone (427-347 a.C.) il giudizio positivo sulla pederastia non era condiviso da tutta la società ateniese, una parte di essa, anzi, la considerava come manifestazione di impudicizia. Probabilmente la pederastia era quindi circoscritta ad alcuni ambienti intellettuali. Alla base del giudizio favorevole sulla pederastia, c’era la fallace idea che tale relazione preparasse l’adolescente alla maturità intellettuale e psicologica (pederastia pedagogica). Una tale convinzione si trova anche presso alcune popolazioni indigene; si tratta di una convinzione dovuta, probabilmente, ad un pensiero di tipo magico. Come nella magia si finisce per credere che è possibile uccidere il nemico compiendo atti ostili sull’immagine di lui cosí, per contatto sessuale con l’adulto, si pensa che il giovane possa assorbire la virilità dell’adulto stesso. In diverse tribú la pederastia pedagogica viene praticata nei rituali d’iniziazione, mentre è vietata nella vita quotidiana; è il caso, per es. della Polinesia, delle isole Ebridi, delle tribú dei Marind-Anim e dei Keraki in Nuova Guinea. Sempre da un pensiero di tipo magico nasce, ad esempio, in alcune società il sulamitismo, ovvero la credenza che attraverso il congiungimento con un fanciullo si possa allungare la propria vita, assorbendo l’essenza vitale del giovane. In Marocco, per esempio, si è constatata l’esistenza di una credenza secondo cui le relazioni omosessuali con un uomo noto per la sua fortuna permettono al soggetto sessualmente passivo di trarne beneficio. Nella Grecia antica, dunque, l’omosessualità fra adulti e il ruolo sessualmente passivo del maschio erano proibiti; ugualmente proibito era il cosiddetto matrimonio omosessuale. Nel mondo romano classico il padrone poteva abusare sessualmente dello schiavo o della schiava come “cosa” propria, ma tra uomini liberi la legge proibiva la pederastia anche se gli adolescenti erano consenzienti. Tra gli uomini liberi, inoltre, la legge puniva anche la passività sessuale del maschio (Lex Scatinia) (cfr. MUSITELLI S. - BOSSI M. - ALLEGRI R., Storia dei costumi sessuali in Occidente. Dalla preistoria ai nostri giorni, Rusconi, Santarcangelo di Romagna (Rimini) 1999, 84-85; PLATONE, Simposio, VIII, 192 A, Bompiani, Milano 2000, 85, 91; ANDREOLI V., Dalla parte dei bambini, per difendere i nostri figli dalla violenza, Rizzoli, Milano 1999, 20-21; BASTIDE R., Comportamento sessuale e religione, in VOLCHER R., Dizionario di sessuologia, op. cit., 616-628. PALEM R.-M., Omosessualità maschile e femminile, in VOLCHER R., Dizionario di sessuologia, op. cit., 461-478; DI BERARDINO A., L’omosessualità nell’antichità classica, op. cit., 17-24).
Come gestire gli istinti e i bisogni umani?
Gli istinti dell’uomo non sono, in se stessi, né buoni né cattivi: essi sono componenti naturali dello psichismo umano che devono essere integrati e coordinati con la volontà e la ragione e posti al servizio della persona. Nell’esperienza umana dell’istinto, accanto ai bisogni biologici (o inferiori), coesistono bisogni superiori (o spirituali) e l’essere umano può moderare, mediante la volontà e la ragione, la spinta ad agire (energia) che essi determinano. Il lavoro della volontà e della ragione, quando è coscientemente finalizzato, provoca, nel tempo, una progressiva integrazione e sottomissione dei bisogni inferiori a quelli superiori; inoltre può anche determinare la diminuzione di alcune forme d’interesse, ritenute d’importanza secondaria. Anche la grazia e l’ispirazione divina promuovono la crescita dell’interesse verso le attività superiori e piú nobili, attività verso cui diventa progressivamente piú facile indirizzare l’energia attivata dai bisogni inferiori: questa è la conseguenza di quella che viene definita tradizionalmente come ascesi. Non si tratta, come sostiene la psicoanalisi freudiana, della conversione dell’inferiore al superiore ma della sottomissione dell’inferiore al superiore, dello spostamento volontario dell’energia dall’inferiore al superiore, della liberazione e dello sviluppo di interessi via via piú alti, di disposizioni interiori superiori che portano gradualmente in secondo piano gli interessi secondari. Non si tratta dunque (cosa molto importante) di pura e semplice repressione degli istinti. Quella repressiva può essere solo la fase iniziale di un processo che successivamente deve portare l’uomo a costruire e a sviluppare la sua personalità. In caso contrario non si avrebbe una vera ascesi ma una pseudo-mortificazione che è un surrogato inutile e dannoso. Per distinguere una vera ascesi da una pseudo-mortificazione un buon metro di misura è costituito dalla serenità interiore aliena dalla presunzione del “perfezionismo”. Esso proviene dalla confusione fra il modello ideale verso cui ci si incammina e la pretesa di impeccabilità che nasconde invece l’esaltazione e l’idealizzazione del proprio ego. Il perfezionista vive nella continua preoccupazione che nasce dal pensiero dei propri difetti; egli rifiuta se stesso e desidera essere un altro. Il perfezionista non sa accettare la crescita progressiva che, in quanto progressiva, non sarà mai perfettamente compiuta in questa dimensione terrena. Il perfezionista vive perciò nella tristezza che non nasce dall’amore di Dio ma dall’amor proprio ferito che agisce camuffandosi spesso anche dietro le apparenze dell’umiltà. Un maestro di spiritualità come sant’Ignazio di Loyola ricorda che, nelle vie dello spirito, la tristezza, i tormenti di coscienza, i dubbi, lo scoraggiamento ed ogni atteggiamento che toglie la pace non provengono mai da Dio che invece è pace, gioia, certezza, serenità, ma dall’amor proprio o dall’azione diabolica. Come già detto, la repressione può essere solo la fase iniziale di un processo che deve portare l’uomo a costruire e a sviluppare la sua personalità. Non fare qualcosa di negativo è soltanto la premessa indispensabile per poter fare qualcosa di positivo. Volendo fare un esempio concreto, limitarsi soltanto a rinunciare ad un piacere ritenuto sbagliato non è sufficiente, infatti il desiderio per questo piacere aumenterebbe e finirebbe per diventare un’ossessione. Dopo la rinuncia occorre diventare sempre piú consapevoli dei motivi per cui l’oggetto del desiderio a cui abbiamo rinunciato è sbagliato, sempre piú consapevoli della sua illusorietà, del fatto che rappresenta soltanto un soddisfacimento momentaneo che non risolve i problemi piú profondi della persona e che alla lunga impedisce la propria realizzazione e felicità. Questo itinerario di progressiva consapevolezza presuppone, insieme con l’aiuto della grazia che svolge un’azione di sostegno, non solo il fuggire le cattive occasioni, non solo il non fare il male, ma di fare il bene prima di tutto all’interno del proprio cuore. Ma di quali opere si tratta? Anzitutto occorre dare spazio al ragionamento, all’osservazione oggettiva, ossia alla contemplazione del reale, al fine di attuare il dissolvimento critico delle illusioni che ci assillano. Nel Vangelo (Mt 15,19) il Signore afferma chiaramente che la sorgente del male sta nel cuore dell’uomo; da esso, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, etc... nella mentalità ebraica il cuore costituisce l’interno dell’uomo in senso molto ampio. Oltre ai sentimenti il cuore infatti comprende i ricordi, le idee, i progetti e le decisioni: il cuore è il centro dell’essere dove l’uomo dialoga con se stesso e si assume le proprie responsabilità. È qui dunque che avviene il conflitto fra le passioni, la volontà e la ragione; qui dobbiamo riportare l’ordine fra le potenze dell’anima; qui hanno origine i dialoghi che l’uomo intraprende con se stesso e lo portano, prima ad interpretarne i segnali, e poi a decidere e ad agire. Solo dopo un serio e costante lavoro svolto nel proprio cuore, finalizzato a dissolvere in maniera critica le illusioni e a prendere consapevolezza della realtà, la rinuncia ad un qualsiasi piacere disordinato si trasforma nella preferenza verso “altri piaceri” che non contrastano con la verità e la giustizia; solo allora la rinuncia si trasforma davvero nella scelta di un altro obbiettivo e di un’altra direzione di marcia. In questo modo la persona progredisce moderando e utilizzando costruttivamente tutte le sue energie: questa è quella che in altre parole chiamiamo anche integrazione (che, come già detto, non è la sublimazione di freudiana memoria). Nessuno può progredire senza avere una valida direzione in cui muoversi. La ragione, dopo il peccato originale, può sbagliarsi nei suoi giudizi, sia per difetto di conoscenza, sia perché il conflitto fra le passioni e la volontà può ostacolarne e confonderne l’efficacia, con il rischio continuo e reale che le nostre debolezze diventino la misura del bene e del male, sí da farci ritenere male il bene e bene il male. Perciò solo attraverso il sostegno della fede è possibile trovare e mantenere la retta via. Il razionalista (colui che si avvale della sola ragione escludendo la fede) non riconosce l’importanza della fede, come guida e sostegno, e finisce per dimenticare che la ragione non è una facoltà infallibile ma che, al pari delle altre facoltà umane, è soggetta all’errore; essa pertanto può portarci, prima o poi, a conclusioni fuorvianti. È proprio quello che accade quando la mete umana partorisce le ideologie e pretende di ingabbiare la complessità della vita umana in pochi principi astratti. Per sviluppare il dono della fede il credente deve meditare sulla Sacra Scrittura e sul magistero della Chiesa e deve inserire costantemente la ragione nell’orizzonte fornito dalla fede. Esaminando il caso che piú ci interessa, l’istinto sessuale non è utile solo per la procreazione e il benessere della coppia: la sua integrazione consente lo sviluppo di una forma superiore e spirituale di bisogno, quella che ci spinge verso l’amore e la donazione di noi stessi agli altri, senza piú confini. Questo è il motivo per cui la castità proviene da una sessualità umana vissuta come servizio all’amore di comunione e di donazione interpersonale. Lo psichiatra Giambattista Torellò dice che lo studio del comportamento umano “(…) ha permesso alla psicologia piú recente di riconoscere, nella repressione e nella soddisfazione dei cosiddetti istinti, fenomeni ugualmente propri e confacenti alla natura dell’essere umano, che solo in rapporto ad un’altra serie di valori umani sono in grado di causare salute o malattia, serenità o tensione, piacere o disagio. Ciò che decide la loro positività o negatività, la loro sanità o azione patogena è il quadro d’insieme in cui s’inseriscono, l’atteggiamento fondamentale dell’esistente, le motivazioni libere dello spirito. Per quanto si riferisce concretamente al cosiddetto “istinto” sessuale, decisivo sarà il ruolo dell’”amore”: continenza per amore è rasserenante e soddisfacente, cosí come rasserenante e soddisfacente è il rapporto sessuale per amore” (cfr. DE FRAINE J. - VANHOYE A., voce Cuore, in LÉON-DUFOUR X. et al., Dizionario di Teologia Biblica, Marietti, Genova 2002, 242-246; GIOVANNI PAOLO II, Enciclica “Fides et ratio” circa i rapporti tra fede e ragione, 14-09-1998, nn. 16, 45 e 46; IDEM, Esortazione Apostolica Post-Sinodale “Pastores dabo vobis” circa la formazione dei Sacerdoti nelle circostanze attuali, 25-03-1992, n. 29; NUTTIN J., Psicanalisi e personalità, San Paolo, Roma 1984, 85-87, 312; TORELLÓ J. B., Dalle Mura di Gerico. Temi di psicologia spirituale, Ares, Milano 1987, 116-117).
Perché è cosí importante proteggere e promuovere la famiglia?
La famiglia, come realtà fondata sulla permanente comunione di vita e di affetti fra un uomo ed una donna è l’unica forma di unione che consente la pienezza della relazione di chi la compone e la stabilità di vita, che nasce dalla consapevolezza dell’identità del proprio essere uomo o donna. Una famiglia sana contribuisce alla crescita della comunità sociale nella quale vive, educa i propri figli al valore della vita e della dignità umana, educa alla responsabilità, all’onestà, alla libertà e all’autenticità. Questi importanti compiti fanno della famiglia un’istituzione sociale fondamentale e insostituibile: solo al suo interno le nuove generazioni vengono accolte e ricevono le risorse necessarie per diventare adulte ed affrontare il mondo. Per questo la famiglia è da sempre la cellula primaria della società; è un bene che non ha uguali e perciò va sempre protetta e promossa in ogni modo.
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