Al termine della Seconda guerra mondiale, un tribunale militare internazionale, processò a Norimberga i capi nazisti sopravvissuti. Quella storica assise, pur con i suoi limiti, contribuì almeno in parte alla ricostruzione morale della nuova Germania e dell'Europa. Iniziò dunque un lento e difficile processo di rinnovamento che portò alla democrazia e che consenti al popolo tedesco di riacquistare dignità e prestigio nel mondo intero, forse come mai prima. Nonostante la nuova Costituzione proibisse la ricostituzione del Partito nazionalsocialista già nel dopoguerra, e ancor più a cominciare dagli anni Sessanta, il neo-nazismo raccolse nuovamente nostalgici e sostenitori offrendo sempre più sostegno al revisionismo storico. E non solo in Germania, dovunque nel mondo. È un fatto che ormai non desta meraviglia ma suscita sicuramente profonda inquietudine. La storia insegna che le dittature sono spesso l'esito finale della corruzione delle democrazie e dei sistemi liberali.
È l'abuso della libertà a spingere spesso i popoli verso la tirannide, di qualunque genere essa sia: «Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia» (Centesimus annus, 46). Nazismo e comunismo sono entrambi frutti della crisi delle società occidentali dell'Ottocento. Le stesse Potenze alleate che nel 1945 posero la parola fine alle velleità hitleriane portavano in sé non poche delle radici alienanti di quel sistema sociale ed economico. La crisi che colpisce le nostre società odierne, con il suo vuoto di valori, trova in tali radici una delle sue remote origini. Il triste spettacolo di tanti vecchi e nuovi "revisionisti" che non credono - o non vogliono credere - alla lezione della storia è ogni giorno di più sotto i nostri occhi. L'involuzione etica e morale a cui assistiamo tuttavia è anche la conseguenza dell'uso e dell'abuso politico che è stato fatto della storia per oltre sessanta anni. Troppe volte la politica ha fatto di essa uno strumento ideologico, ma è illusorio pensare di poter sfruttare impunemente la sofferenza umana per secondi fini.
Troppe volte i movimenti politici e le ideologie hanno abusato demagogicamente degli strumenti culturali e legislativi della democrazia, spingendo intere generazioni verso gli estremismi politici e pseudo-religiosi. Il ricorso politico allo strumento culturale e legislativo è una riprova di quanto il sistema sociale abbia già subito un'involuzione totalitaria. È una grave e pericolosa illusione credere di poter cambiare l'uomo ricorrendo imprudentemente alla coercizione culturale e legislativa. L'evoluzione dei costumi esige tempo e sapienza pedagogica, qualità essenziali di una civiltà matura che ha nell'uomo un riferimento etico fondamentale, non una mera fonte di consenso. C'è una verità che nessuna politica può comprendere a meno di farsi illuminare da quell'antica saggezza che nasce dalla dimensione religiosa: «Idem semper erit, quoniam semper fuit idem» (TERTULLIANUS, Apologeticus adversus gentes, 47). Ma che fare di fronte alla cecità ideologica di un laicismo che assume sempre più i connotati del paganesimo più spietato e disumano? La legge sgorga dalla vita concreta di una comunità, non si giustappone ad essa, nasce dal di dentro e la accompagna, non la sovrasta. La legge ha una dignità e un imperium che tuttavia non è arbitrium. Perciò, quando legislatore e leggi diventano sempre più estranee alla communitas e all'humanitas non sono più garanzie di ordine e di civiltà, ma fomite di quella summa iniuria tanto temuta dagli antichi iuris prudentes.
Il lager di Auschwitz.
Al suo ingresso venne posta l'ironica scritta che contribuì alla sua
triste fama:
«Arbeit Macht Frei»
In questa decadenza culturale e giuridica tanto peso ha avuto l'ideologia marxista che, in ossequio alla lotta di classe, troppo spesso ha propugnato non la giustizia temperata dall'equità ma una mera rivalsa perpetuatrice di ingiustizie. L'estremismo tuttavia - giova rammentarlo - genera sempre altro estremismo (cfr. Pacem in terris, 86). Quel razzismo oggi rinascente è anche la conseguenza di una serie di scelte erronee. L'imposizione talora forzata e artificiosa della convivenza di popoli e culture potrà risolvere il problema o aggravarlo? Purtroppo facilmente tende ad aggravarlo. Il pluralismo ideologico potrebbe costituire la peggiore cura possibile per questo male e Il rischio è che a lungo andare i rimedi demagogici, proposti da un'élite politico-intellettuale lontana dalla realtà, provochino più intolleranza di quanta non ne creino i gruppuscoli di nostalgici estremisti. Se le nostre società non sapranno offrire risposte adeguate ai problemi umani e sociali, e se non troveranno la via dello sviluppo sostenibile, la virulenta rinascita degli estremismi sarà inevitabile. È un'illusione pericolosa ritenere che le nostre democrazie siano immuni dalle radici filosofiche e ideologiche del nazismo e del comunismo.
Émile Zola e il caso
Dreyfus:
un caso emblematico di antisemitismo in una Francia
che si proclamava libera e illuminata
La prova concreta, la dimostrazione ineluttabile di questa tara ereditaria, sta nel fatto che le nostre società, pur proclamandosi antitetiche al nazismo (ma non altrettanto al comunismo) ne hanno di fatto sviluppato gli obiettivi più ambiziosi, sia pure con diverse ragioni ideali:
a) la ricerca della superiorità e della purezza razziale, ossia l'eugenetica,
b) il governo demografico,
c) la costruzione del super-uomo o dell'uomo nuovo.
Non è forse vero che l'arma atomica e l'ingegneria genetica, inutilmente ricercate da Hitler, sono poi state create e impiegate dai nostri sistemi politico-ideologici sia capitalisti che socialisti? L'ideologia della superiorità e della purezza razziale non è assente dalle nostre società ma solo latente. Il razzismo, come ricorda la sociologia, è spesso una questione di percentuali. Lo stesso decantato pluralismo razziale delle società anglosassoni, le ultime - è bene ricordarlo - ad abolire l'apartheid, è ben lontano dall'essere un fatto compiuto, a dispetto degli sforzi di "macchine ideologiche" come quella hollywoodiana. E l'individualismo esasperato delle nostre società non ha certo alleggerito le tensioni sociali semmai le ha aggravate. L'eugenetica e il suo complemento - ossia l'eutanasia - sono forse l'aspetto in cui si rivela la maggiore vicinanza ideologica al nazismo. L'eugenetica mira alla ricerca dell'uomo perfetto, alla radicale soppressione del malato e del fisicamente diverso. L'una e l'altra comportano la soppressione radicale del sofferente, dell'estraneo al processo produttivo, della solidarietà e della com-passione con il più debole. Si tende sempre più non a curare il malato ma ad eliminarlo dal contesto sociale.
Il governo demografico, inteso dal nazismo come incentivo numerico-razziale, essenziale nella società industriale, viene ora concepito dalle nostre società come strumento selettivo finalizzato ad un miglioramento qualitativo/quantitativo della vita. Questa mutazione è la logica evoluzione dovuta al passaggio dalla società industriale a quella post-industriale. Il progresso tecnologico muta gli strumenti e i metodi ma non gli obiettivi di fondo. Il mito del super-uomo o della costruzione dell'uomo nuovo non è affatto assente nell'epoca del "pensiero debole", ha solo assunto connotati più raffinati. Il super-uomo del terzo millennio, a differenza di quello del Novecento, non coltiva il mito della forza fisica, non sogna la conquista violenta di nuovi spazi vitali. Questo perché egli ha a disposizione la forza incomparabilmente superiore della tecnologia e dell'informazione: è l'evoluzione dalla fisica alla biologia, dalla forza bruta della meccanica alla forza controllata dell'elettronica. Anche le strategie belliche così sono passate dalla totaler krieg alla surgical war e il primo fronte di ogni guerra, oggi più che mai, è diventato quello dell'intelligence in un preoccupante crescendo di inquietudini orwelliane. Le inquietudini di un mondo che ha la bugiarda ossessione della privacy, violata in modo sempre più sfrontato e sistematico in nome della sicurezza: una sicurezza che però non alberga nelle nostre strade, né nelle nostre case. Dove dunque?
L'Unità del 6 marzo 1953 listato a lutto.
Vi si legge:
«Gloria eterna all'uomo che più di tutti ha fatto
per la liberazione e per il progresso dell'umanità»
Siamo al triste risveglio da una grande e pericolosa illusione dunque? Gli anni che verranno ci aiuteranno a dare una risposta a molte domande. Non c'è dubbio, nazismo e comunismo non si sono estinti del tutto, le loro radici non sono scomparse dalle dinamiche profonde dei nostri sistemi sociali, e neppure dal fondo delle nostre coscienze; sono sempre fra noi, come mostruosità pronte ad emergere dal sonno della nostra ragione; lo stesso che ha concepito l'ideologia capitalista dal volto disumano che ha abbruttito la storia dell'Ottocento. Nazismo e comunismo, entrambi feroci persecutori degli ebrei, si odiano solo perché alla fine dei conti devono spartirsi lo stesso bottino (cfr. GROSSMAN V., Vita e destino, Jaca Book, Milano 1984, 393-395), ma la cosa più tragica, in ultima analisi, è che è l'uomo, alla ricerca esasperata del potere e della prosperità, a costruire con le proprie mani la sua rovina. E questo, a ben pensarci, è stato il destino di tutti i tentativi umani, incluso il sionismo, di stabilire cosa sia il bene e cosa sia il male e di costruire in terra il paradiso. Di questi tentativi la storia dell'umanità ne è piena, e sono sempre, misteriosamente ma implacabilmente, falliti.
C'è nella Scrittura una frase profetica che può aiutare ebrei e cristiani nelle vie del dialogo: «Avverrà che nei tempi futuri il monte della casa del Signore sarà stabilito in cima ai monti e si ergerà al di sopra dei colli. Tutte le genti affluiranno ad esso, e verranno molti popoli dicendo: "Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché c'istruisca nelle sue vie e camminiamo nei suoi sentieri". Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. Egli sarà giudice tra le genti e arbitro di popoli numerosi. Muteranno le loro spade in zappe e le loro lance in falci; una nazione non alzerà la spada contro un'altra e non praticheranno più la guerra. Casa di Giacobbe, vieni, camminiamo nella luce del Signore!» (IEP - Is 2,2-5). Di fronte alla tragedia incombente della Shoah Papa Pio XI ribadì la condanna delle dottrine totalitarie e sottolineò la radice spirituale dell'antico Israele che c'è in ogni cristiano. Nessuno e nessuna ideologia dovrà mai prenderà il posto dell'unico vero Dio nel nostro cuore.
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Lettera enciclica «Mit brennender sorge» di Pio XI sul nazionalsocialismo (14 marzo 1937)
Lettera enciclica «Divini Redemptoris» di Pio XI sul comunismo ateo (19 marzo 1937)
I frutti dell'odio di classe - Memorie fotografiche
Il dissenso contro e nella Chiesa