ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE
2018. Il punto della situazione
14 febbraio 2018
Nel 167 a.C. il re Antioco Epifane costruí un altare a Zeus nel tempio di Gerusalemme sacrificandovi animali impuri; l’evento è conosciuto e ricordato nella Sacra Scrittura come l’abominio della desolazione. Biblicamente, l’abominio della desolazione è la sostituzione di un culto santo con un culto empio. L’espressione “abominio della desolazione” esprime in modo eloquente lo sdegno e la tristezza per quanto accade in questa epoca, sia in Italia, sia nel resto del mondo e nella Chiesa. Chiunque abbia retta coscienza e sia mosso da animo sincero non può non constatare la gravità di una situazione che ormai ha raggiunto i limiti dell’insostenibile come non accadeva da tempo. L’umanità ha attraversato epoche storiche ben piú gravi e dolorose di quelle presenti, tuttavia oggi la corruzione è quanto mai pervasiva e diffusa a tutti i livelli, tanto da negare perfino la distinzione tra ciò che è bene e ciò che è male, ed è precisamente questo relativismo storicamente inedito che pone la nostra epoca al vertice dell’iniquità. La presente riflessione si articola in alcuni paragrafi che analizzano la situazione italiana, europea, internazionale ed ecclesiale che intende essere al tempo stesso un’aperta denuncia e un’indicazione per una possibile via di uscita dall’odierno vicolo cieco in cui l’umanità si è confinata con le sue scelte irresponsabili.
Gli ultimi decenni di storia italiana
“L’unità d’Italia fu un dettaglio della strategia imperiale britannica” (Denis Mack-Smith)
In questa fase storica l’Italia spicca ai primi posti di numerose classifiche negative europee e mondiali: dalla pressione fiscale all’evasione delle tasse, dall’abbandono scolastico al numero dei detenuti in attesa di giudizio, dalla durata dei processi alla mancanza di una vera libertà di stampa, inficiata da ordini professionali asserviti ai poteri forti e da covi di ideologie perverse. Fra le numerose sciagure dell’Italia vi è la mancanza di una reale alternanza politica. Nel contesto politico nazionale la cosiddetta opposizione è sempre riuscita con l’inganno, il ricatto e il ricorso alla corruzione, a ritagliarsi i suoi spazi di potere, con buona pace dell’elettorato e dei suoi vani mandati. Accadde cosí fra la vecchia DC e il PCI che, pur essendo privo per lunghi anni di adeguata base elettorale, riuscí comunque a ritagliarsi ampi spazi di potere (istruzione e magistratura in primis): si affermò cosí la lottizzazione politica, una lottizzazione che nel tempo avrebbe fatto a pezzi l’Italia privandola di quel poco di unità nazionale che ancora rimaneva dopo il disastro dell’ultimo conflitto mondiale. Fu tale l’ansia di una parte della DC, del mondo e dello stesso clero cattolico di regalare generosi spazi alla sinistra, che l’establishment anglo-americano fin dagli anni ‘70 dovette correre ai ripari dando luogo cosí alla strategia della tensione e al “caso Moro”. Ancora oggi, l’impero nato sulle ceneri della seconda guerra mondiale, fa sentire tutto il suo peso sulla sua lontana provincia chiamata Italia.
Oscar Wilde affermava che... “solo chi ha una faccia da stupido riesce ad entrare alla Camera dei Comuni, ma soltanto chi è stupido per davvero vi fa carriera”. Nulla di sostanziale è cambiato in questi anni nella situazione italiana; si spiegano dunque l’ampiezza e la profondità della corruzione e della menzogna politica, fatta di ostentate ostilità e di occulti accordi. Di fronte a quanto sta accadendo, alle conseguenze ormai evidenti di tanta sciagurata politica occorre porsi una domanda: quanto durerà ancora tutto questo?
Il tessuto del Paese si va sempre piú logorando, eroso da un regionalismo inetto che ha smentito gran parte delle promesse federaliste ma ha accresciuto, talvolta a dismisura, tutte le spese. Quale futuro può esserci per un Paese cosí, popolato da anziani (ma non a misura di anziano) e da sempre meno giovani, in buona parte incolti e senza prospettive future? Chi è responsabile di un crollo demografico che oggi (a detta dei medesimi politici) ci costringerebbe a rivolgerci agli immigrati e ai loro figli? Forse che i figli degli italiani, i nostri figli, non erano degni? Oppure il crollo demografico rientra in un disegno di scardinamento della già compromessa unità morale e culturale degli italiani e perfino dell’intera Europa? La risposta, davanti ai flussi migratori dai paesi islamici, chiaramente ricercati e incontrollati, anzi favoriti dallo scandalo delle ONG corrotte, ormai non può che essere affermativa, senza la minima ombra di dubbio.
Non meno significativo è quanto sta accadendo a seguito dell’attuazione della “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’ideologia di genere”: un programma socialmente sovversivo fra tanti, sorto da una raccomandazione del Consiglio d’Europa. Molti Stati europei hanno pensato di attuarla, fra questi spicca l’Italia, vittima di una minoranza ideologica radicale, ormai snobbata dall’elettorato, ma continuamente ripescata e imposta agli italiani da lobbies politiche e culturali compiacenti che si alternano da anni al potere. La stessa legge anti-omofobia che ci si ostina a voler imporre con sconsiderata ed immotivata urgenza darà un colpo ulteriore alla libertà di opinione e di stampa del cittadino. In tutto ciò la responsabilità della politica è estremamente grave e, quel che è peggio, perdura senza il minimo scrupolo anche di fronte ai disastri sempre piú evidenti che tali politiche comportano.
Sul lato economico le famiglie e le aziende italiane sono fra le piú vessate e oppresse d’Europa, se non di buona parte del mondo: vessate e oppresse da una burocrazia e da un fisco inetto, criminale e criminogeno che pare studiato ad arte per affliggerle in tutti i modi possibili. Non può esserci alcuna moralità, neppure una parvenza di moralità, in una pressione fiscale che ormai supera abbondantemente il 60%! Non c’è da stupirsi perciò se per lo Stato italiano valgono piú i morti che l’attività fisica della gioventú: alle famiglie che hanno affrontato un funerale è permesso detrarre cifre maggiori rispetto a quelle della palestra per i propri figli (2016). Imposte e tasse (inclusa quella oltremodo vergognosa di successione) sembrano balzelli calcolati appositamente per colpire chi ha piú figli. L’Italia è letteralmente diventata un mondo a rovescio! In compenso una parte cospicua della classe politica italiana ed europea si preoccupa affinché ai giovani delle scuole di ogni ordine e grado siano garantiti sesso libero, contraccezione e droghe, con sicuri e inimmaginabili effetti sulla loro moralità pubblica e privata e sui tassi di violenza di genere e di criminalità, ormai fuori controllo.
L’imprenditoria e la classe media italiana sono state ridotte al lumicino da chi negli ultimi decenni ha avuto nelle proprie mani le sorti dell’industria e della finanza del Paese. Il risultato è evidente se si guarda al numero delle fabbriche acquisite dagli imprenditori stranieri, a tutti quei settori produttivi dai quali siamo stati scacciati ad opera della concorrenza internazionale, al numero delle aziende pubbliche acquistate a prezzi di incredibile favore con il benestare di una politica sempre ossequiente ai padroni di oltreoceano. Questo disastro è il frutto di una lunga sudditanza politico-culturale che affligge l’Italia da almeno settanta anni e che l’ha condotta al punto in cui si trova. Tutto ciò senza che i responsabili abbiano mai reso conto delle loro azioni non solo dinanzi alla giustizia, essa pure ampiamente asservita, ma nemmeno dinanzi ad un elettorato che definire smemorato e altrettanto irresponsabile è poca cosa.
Come dimenticare scandali come quello dell’assegno inglese, lo smantellamento dell’IRI, l’apertura incontrollata delle frontiere commerciali con la Cina, la storia del panfilo Britannia, il passaggio all’euro, attuato nel peggior modo possibile? Paul Krugman, nel 1999, sul New York Times, scriveva: “Adottando l’Euro, l’Italia si è ridotta allo stato di una nazione del Terzo Mondo che deve prendere in prestito una moneta straniera con tutti i danni che ciò implica”. Ben altro ancora ci sarebbe da dire e da rammentare in merito alla genesi e alla gestione criminale della “questione euro” e piú in generale della questione economica dell’Italia. Un detto, attribuito a R. L. Stevenson, recita: “L’uomo saggio non cerca di affrettare la storia”. L’Europa e l’Italia attuali sono un esempio disastroso di cosa significhi affrettare artificiosamente la storia.
Un noto economista (Giulio Sapelli) ha detto che la Germania è stata fatta grazie all’acciaio degli Junkers, mentre l’Italia è stata unificata dalla sciaboletta di latta dei Savoia: sintesi efficace che esprime la realtà di un’Italia che dovrebbe suscitare ammirazione e timore perché ricchissima di genio, cultura, arte, scienza e tecnica, mentre invece suscita derisione, perché priva di un’entità politica realmente capace di unirla e guidarla al meglio delle sue sconfinate potenzialità. L’Italia ha bisogno di una classe dirigente nuova che - messa da parte la demonizzazione degli Stati nazionali e la menzogna di un alibi europeista privo di autentici valori - sia consapevole della necessità di un nuovo inizio. Un nuovo inizio che affossi definitivamente le vecchie menzogne del Risorgimento massonico, che ebbe fra l’altro il grave demerito di assoggettare l’Italia all’imperialismo britannico (Denis Mack-Smith definiva l’unità d’Italia un dettaglio della strategia imperiale britannica); un nuovo inizio che ripensi un ruolo per il Paese fissandone saggiamente obiettivi e priorità, che valorizzi ampiamente il suo passato, la sua storia, la sua ricchezza identitaria e su queste solide basi ponga la premessa per un futuro migliore. Finché l’Italia non tornerà alla sua vocazione primeva, recuperando le sue radici cristiane, non conoscerà altro che sofferenza e umiliazione. Questa Italia deve essere ripensata, come deve esserlo l’Europa unita, su basi ben diverse da quelle burocratiche, ideologiche ed economiche imposte finora. Nell’Europa e nell’Italia di oggi si percepisce pesantemente la “fantasia al potere” di sessantottina memoria... una fantasia degna degli incubi che emergono dal sonno della ragione.
La crisi, anzitutto identitaria, riguarda tutto il popolo italiano, che già da tempo ha smesso di credere nel futuro e nella vita e per questo è condannato lentamente all’estinzione, se non interverranno fattori nuovi. Non è un caso che l’Italia si ricandidi oggi piú che mai a guidare la classifica dei Paesi a piú basso indice di natalità al mondo. Un indice che non è dovuto alla crisi odierna poiché la tendenza dura da oltre quattro decenni: in altre parole, il crollo delle nascite precede la crisi economica e, anzi, ne è una delle cause principali. In realtà gli italiani smettono di mettere al mondo dei figli non solo per ragioni economiche ma anche per mancanza di fiducia nel futuro, ne è controprova il fatto che nei paesi piú poveri inaspettatamente accade il contrario. È significativo che il crollo delle nascite in Italia abbia accompagnato il rapido processo di secolarizzazione che, dal punto di vista sociale e legislativo, si è tradotto in una diffusione disordinata della contraccezione, del divorzio e poi dell’aborto con tutte le tragedie umane e sociali che ne sono derivate e che sperimenteremo ancor piú duramente. L’effetto piú evidente è stato quello del rapido invecchiamento della popolazione e dell’aumento insostenibile della spesa previdenziale e assistenziale, che non potrà che peggiorare negli anni a venire. L’invecchiamento della forza lavoro e la conseguente perdita di competitività porterà con sé minori investimenti, dunque anche il restringimento della base d’imposizione fiscale. A partire dalla cosiddetta “Seconda Repubblica” si è aggravato a dismisura lo scandalo delle pensioni d’oro, dei vitalizi e degli stipendi ingiustificabili e abnormi della casta degli alti dirigenti statali: una vera piaga, un morbo incurabile che affligge pesantemente le finanze pubbliche e che il giornalismo d’inchiesta stima ammonti ad almeno 200 miliardi di euro. Ben piú difficile invece è quantificare l’ammontare delle cifre perse a seguito di furti, di corruzione e di innumerevoli truffe. Impossibile, in queste condizioni, mettere ordine nel bilancio di qualsiasi Stato.
A rendere maggiormente drammatica la situazione è l’assoluta irresponsabilità di intere classi politiche e intellettuali ideologizzate che non vogliono considerare la realtà, rendendo impossibile qualunque opzione seria verso un esito favorevole. Una classe dirigente, quella attuale, che è quasi ovunque la peggiore mai vista dai tempi della Seconda guerra mondiale, sia per mancanza di cultura e di professionalità, sia per la sua radicale e profonda immoralità. Questa classe dirigente ha preso in mano le redini della politica europea grazie alle lobby culturali, politiche e finanziarie quanto mai aliene dai processi democratici. La consapevole e irresponsabile disgregazione della famiglia, l’ingiustificabile e falsa urgenza della questione omosessuale, lo sdoganamento di qualunque deriva culturale, etica e morale, l’ideologia di genere con le sue irrazionali e patologiche follie, la decadenza giuridica, espressa da norme ridicole come la legge contro il “femminicidio” o l’”omicidio stradale” sono fra le prime cause di questa crisi profonda che si riversa poi anche nel campo economico: il diritto statuale non segue piú la ragione ma l’onda delle passioni contingenti.
In tutto questo, fra classe politica e magistratura non è facile capire quale delle due detenga il primato dell’irresponsabilità. Indro Montanelli, il 13 luglio 1981, scriveva su Il Giornale: «Questi magistrati sono inamovibili, impunibili, promossi automaticamente, pagati meglio di qualsiasi altro dipendente pubblico, incensati dai giornali di sinistra (cioè dalla maggioranza della stampa) e molto spesso malati di protagonismo» - e chiudeva -: «Questa non è la magistratura, è solo il cancro della magistratura. Ma che è già arrivato allo stadio di metastasi». Ormai una parte sempre piú rumorosa della magistratura italiana, nei fatti, non opera piú a favore dell’ordine pubblico e a servizio dei cittadini onesti ma a favore e a tutela di ideologie criminali.
Come afferma Benedetto XVI nella Caritas in Veritate la vera crisi, origine delle altre, è una crisi morale. Questa Italia e la sua classe dirigente vorranno rialzarsi? Tutti attendono la fine della crisi e sognano utopicamente il prossimo momento favorevole, ma diceva Seneca... “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”. Senza una profonda conversione morale e intellettuale non ci sarà mai un momento favorevole.
Salvador Dalí - The Persistence of Memory (1931)
Un’Europa senza identità e valori
“Rendi gli uomini mezze donne e le donne mezzi uomini, cosí governerai facilmente su mezze cose” (Mao Tse-tung)
L’Europa unita ormai suona sempre piú come una sorta di dogmatismo insopportabile. Uomini politici che fino a ieri adoravano l’Unione Sovietica hanno cambiato Unione e oggi adorano un’Unione Europea sempre piú invadente e arrogante. C’erano due modi di fare l’Europa, uno era quello che potremmo chiamare inclusivo, il modello cioè che integra le nazioni in una confederazione che ha come punti di forza la risposta comune alle insidie del nostro tempo: lo strapotere finanziario mondiale, l’egemonia del dollaro, l’invasione cinese e delle cosiddette tigri del Sud Est asiatico, la minaccia di un’immigrazione massiccia dal Sud del pianeta e le turbolenze delle rivoluzioni islamiche del Nord Africa. Su questi temi l’Europa si è dimostrata del tutto incapace di assumere una posizione. Il termine “incapace” tuttavia rischia di trarre in inganno, sí, perché questa incapacità è voluta, ed è ancora una volta la conseguenza di scelte ideologiche tanto irrazionali quanto perniciose.
Questa Europa in realtà non la si è voluta unire, ecco perché non ha una politica estera, militare, strategica, economica e nemmeno culturale all’altezza della situazione odierna. È stato scelto infatti un altro modo di fare l’Europa, come un gradino verso la globalizzazione, dunque un’Europa che non integra ma disintegra le sovranità nazionali, politiche, economiche e culturali. Questa Europa non ha nulla a che fare con la civiltà europea, la sua vita reale, le sue tradizioni, la sua arte e la sua cultura. Questo giustifica sempre piú l’anti-europeismo che cresce nelle opinioni pubbliche europee dall’Ungheria alla Francia, dalla Finlandia all’Italia, insinuandosi anche in Germania e trascinando nel fallimento anche l’euro, una moneta artificiale e intrinsecamente nociva, specie per le economie piú fragili. Non è affatto un caso che si sia detto: prima l’Europa economica e poi il resto. In realtà neppure l’Europa economica si è mai compiuta in questa sorta di super-Stato stile Kalergy dove a detenere il vero potere non è il Parlamento, liberamente eletto, ma le Commissioni, del tutto sottratte alla sovranità popolare. Non aveva tutti i torti Vladimir Bukosvkij, dissidente sovietico, a chiamare l’Unione Europea con l’acronimo EURSS (o URSSE in italiano): Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche Europee.
Le leggi e i processi contro persone accusate di “islamofobia”, di negazionismo, i disegni di legge italiani come quelli contro l’omofobia o il femminicidio, le norme a favore dell’eugenetica, sono solo tasselli di un mosaico piú vasto, di un “nuovo ‘ordine’” che l’Europa dei commissari intende costituire seviziando a colpi di leggi imposte dall’alto l’anima profonda dei popoli europei.
L’errore è all’origine, ossia nell’avere istituito un’unione pseudo-federale in forma di trattato fra Stati. Ne è nata cosí un’Unione in cui il popolo europeo non è affatto sovrano. Alla base di essa non ci sono i cittadini ma gli Stati. Questi ultimi però a loro volta contano ben poco. Se infatti si leggono i trattati dell’Unione Europea (noti con il nome di “Trattato di Lisbona”) ci si accorge che votandoli gli Stati membri hanno dato vita ad un centro di potere abnorme che assorbe la massima parte di quelle che erano le loro prerogative sovrane. Tra competenze esclusive, competenze concorrenti e ambiti in cui “l’Unione ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri” (Trattato sul funzionamento dell’Unione, art. 6) gli Stati sono stati ridotti a ridicole “prefetture” della Commissione Europea. Non solo.
L’Unione si configura come un ente sovrano con poteri “etici” che assomigliano sempre piú a quelli dei sovrani assoluti dell’Ancièn Regime piuttosto che a quelli dei capi di governo delle moderne democrazie. Si legga, ad esempio, l’art. 3 del trattato istitutivo dell’Unione: alla Commissione, ovvero alla segreteria di un’Unione che in effetti è un’alleanza fra Stati, vengono affidati compiti che in democrazia possono avere senso (e fino a un certo punto) solo nella misura in cui vengono esercitati da un governo eletto, controllato da un parlamento eletto e realmente sovrano. Nel caso dell’Unione europea invece non si dà né l’uno né l’altro. Infatti, a tutto vantaggio della burocrazia e delle lobbies, l’Unione ha due teste: una, la Commissione, nominata dai governi degli Stati membri e non eletta dai popoli, e l’altra, il Consiglio Europeo, composto dai capi di governo democraticamente legittimati a governare i loro rispettivi Stati, ma non a governare l’Unione. È dunque urgente, prima che sia troppo tardi, esigere con fermezza l’avvio di una rinegoziazione generale dei trattati europei.
In questa problematica il “caso Italia” è forse il piú grave di tutti. Giulio Tremonti in una intervista al quotidiano “Libero” ha evidenziato che “la sinistra italiana, tra il 2000 e il 2001” ha introdotto “non richiesta, nell’articolo 117 della Costituzione [italiana] la formula della nostra sottomissione quando si afferma che il potere legislativo dello Stato è subordinato ‘ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario’, intendendo per ordinamento comunitario non solo i trattati, ma anche i regolamenti e le direttive europee”. Si è trattato di una trovata cosí “geniale” che ovviamente gli altri Stati d’Europa si sono ben guardati dall’imitarla. I volenterosi governanti italiani sono i soli ad averla escogitata, cosí che questa infelice nazione è obbligata a recepire tutto, bail-in compreso, benché esso sia contrario all’art. 47 della Costituzione sulla tutela del risparmio. La verità è che non siamo piú uno stato sovrano e indipendente, non abbiamo piú una moneta e ci vengono imposte delle politiche e delle norme che fanno l’interesse nazionale altrui e non certo il nostro.
All’ombra del Trattato di Lisbona l’Unione Europea si sta trasformando in un’imponente macchina istituzionale che corre sempre piú verso sviluppi di tipo autoritario, con in piú una forza di polizia (Eurogendfor) dotata di poteri abnormi e del tutto ingiustificabili in uno Stato di diritto: forza che deve essere del tutto soppressa o radicalmente riformata in maniera degna di uno stato di diritto democratico. L’auspicio è che gli europei aprano gli occhi e fermino al piú presto questa mostruosità giuridica ed etica senza precedenti nella storia mondiale.
In questa Unione si percepisce una “voglia totalitaria” di campi di rieducazione sul modello della Cina maoista, che sta invadendo anche l’Italia. Un chiaro esempio è dato dalla già citata “Strategia nazionale per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale”, a forte orientamento omosessualista. Si sta instaurando un clima di intolleranza e di sopraffazione da parte delle lobbies LGBT contro chi rifiuta l’indottrinamento ideologico da esse posto in atto. Non si può accettare che l’educazione dei figli venga espropriata ai genitori per favorire un “indottrinamento di Stato” in stile cubano. È doveroso opporsi ad un’ideologia arbitrariamente imposta e contraria ai valori morali ed etici fondamentali; un’ideologia orientata ad una concezione semplicista e materialistica della vita sessuale, che subordina l’esperienza affettiva e relazionale alle nozioni meramente biologiche apprese nella prima infanzia, trascurando la problematicità etica tipica della sfera sessuale, come di ogni agire umano.
Libertà di opinione, libertà religiosa, libertà di educazione: tutto viene calpestato pur di affermare un’ideologia propugnata da una piccola minoranza arrogante che si sente presuntuosamente investita da un compito messianico. Ad essa si accoda volentieri tutto il mondo del politicamente corretto. È ciò che si vuole spacciare come “nuovo ordine mondiale”, ma che assomiglia sempre piú a quello che la Scrittura chiama appunto: “abominio della desolazione” (Dan 11,31). Un abominio demoniaco posto in atto da chi ha la presunzione... «in animo di mutare i tempi e il diritto» (Dn 7,25).
Tutto ciò evidenzia con chiarezza il livello di degrado morale a cui la politica europea e globale ci sta conducendo. Da una parte la pianificazione sistematica della corruzione, del degrado morale e della perversione fin dalla piú tenera età; dall’altra l’asservimento indiscriminato, senza alcun limite e decenza, perfino della ricerca scientifica e della medicina alla logica esasperata del potere e del denaro. Ogni impostura di questi “specialisti del falso” e “professionisti della disinformazione” è coperta da una perfetta ipocrisia, grazie alla quale la corruzione dei costumi è presentata come affrancamento da medievali inibizioni e come strada aperta verso un radioso futuro. Per accreditare e imporre il falso, perfino nella ricerca come nella pratica medica, hanno esaltato una nuova anonima entità, la cosiddetta “comunità scientifica”, detentrice esclusiva della verità, insindacabile, infallibile e rigorosamente dogmatica. Accade cosí che al di fuori di ogni razionalità, logica ed evidenza scientifica, si impongano attraverso politici corrotti e istituzioni asservite, ogni genere di scelte tanto futili quanto dannose coprendole con un’etichetta falsificata di scienza e di progresso.
L’Europa massonica, Francia in testa, ha rifiutato pervicacemente le radici cristiane nella sua Costituzione. Un’Europa, egemonizzata da una Germania egoista e autoreferenziale, colonia asservita agli Stati Uniti, incapace di difendere i propri legittimi interessi e perfino di tutelare la privacy dei propri cittadini. Uno degli esempi piú recenti di questo vergognoso asservimento è la debacle libica che - dopo quella delle guerre nei Balcani e nel Medio Oriente - ha visto Stati Uniti e Francia distruggere uno dei paesi piú sviluppati del Nord Africa creando centinaia di migliaia di profughi in fuga verso l’Europa. Sono le guerre del criminale “Nobel per la pace” Barack Hussein Obama (Libia, Siria, Afghanistan, Iraq, Yemen, Somalia, Pakistan, Egitto, etc...) che hanno scatenato enormi flussi di disperati e di rifugiati. Se ciò non bastasse, l’Unione Europea ha favorito ciò che può essere definito un suicidio politico ed economico, consentendo agli USA di far esplodere in Ucraina un’ulteriore e disastrosa guerra civile. Non contenta di ciò, in un autolesionismo tanto ottuso quanto miope, ha ancora obbedito accettando gravi e pericolose sanzioni economiche contro la Russia; una Russia ormai aperta al dialogo, che aveva smantellato il Patto di Varsavia in una nuova ottica di integrazione nel contesto internazionale. Non cosí è stato con la struttura della NATO, pensata in modo tale da continuare a legare l’Europa agli Stati Uniti. Un’Europa che purtroppo non si è mai data una vera sovranità. La differenza è apparsa solo tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90, quando l’intero sistema a conduzione sovietica è crollato, mentre il sistema gestito dagli USA ne è uscito rafforzato, sicché a partire dal 1991 la morsa di ferro degli Stati Uniti sopra l’Europa è diventata ancora piú forte di prima. Un’economia neo-liberista, sempre piú arrogante e assassina sta distruggendo la nostra civiltà, aggravando ed esasperando le tensioni sociali fino alle sue estreme conseguenze. Il risultato è che la Russia di Vladimir Putin si sta liberando dalla tirannia degli squallidi oligarchi, dei nuovi ricchi creati da un americanismo rampante e corrotto, mentre l’Europa invece è asservita piú che mai ai suoi vecchi padroni.
La storia moderna dimostra - se mai ce ne fosse bisogno - che un’economia senza regole certe, sottratta al controllo della politica e non finalizzata al bene comune produce immani tragedie. In ultima analisi ideologie distruttive come il nazismo e il comunismo sono in gran parte frutti degeneri di economie selvagge (liberiste), del tutto fini a se stesse e avviluppate in un egoismo individualista o comunque oligarchico, votato a qualsiasi crimine e delitto. È urgente dunque creare una legislazione nazionale e internazionale che sottometta definitivamente l’economia alle regole democratiche e vieti tassativamente ogni attività puramente speculativa che pretenda di generare ricchezza non dal capitale virtuoso e dall’industria ma solo dal denaro. La tragedia dell’economia moderna richiede l’istituzione di un tribunale internazionale per i crimini economici e finanziari che faccia giustizia di tutti i delitti perpetrati contro interi popoli in nome della ricchezza sfrenata di pochi assassini.
Il genocidio degli Armeni
Turchia e Medio Oriente
“L’indifferenza è gemella della crudeltà” (proverbio turco)
La politica in Medio Oriente segue da lungo tempo l’agenda a guida americana e soprattutto israeliana. L’attacco alla Siria ha evidenziato le ragioni della Russia: l’alternativa ai regimi laici non sarebbe stata una “primavera” o una democrazia ma solo l’instaurazione di ulteriori teocrazie islamiste assassine. Anche le altre “primavere” arabe sono tutte miseramente fallite, lasciando solo macerie morali e materiali e gravissime destabilizzazioni politiche ben difficili da gestire. La destabilizzazione è diventata il vero scopo della politica americana e israeliana; la nuova arma per lasciare il resto del mondo in crisi permanente, una crisi che regali alla superpotenza una leadership indiscriminata e ulteriori possibilità di espansione economica. Il caos (ordo ab chao) rientra ormai da tempo nei nuovi interessi statunitensi e non solo in Medio Oriente. In quest’ottica i “fallimenti” di Obama diventano importanti successi di un’America divenuta appunto potenza non piú stabilizzatrice (fino alla fine degli ‘80 del Novecento) ma destabilizzatrice. Il ritiro parziale dall’Iraq, il tergiversare sulla Siria, la turpe creazione artificiale dell’ISIS, il contrasto al programma nucleare iraniano, la guerra alla Libia di Gheddafi e la crisi in Ucraina hanno prodotto un unico risultato: rendere instabili e insicuri gli approvvigionamenti energetici mettendo in difficoltà tutte le altre potenze industriali. Per queste ragioni è inutile attendersi da Washington una soluzione ad una qualsiasi crisi. La minaccia del terrorismo islamico, creato e sostenuto ad arte, verrà “ereditata” da europei, russi, cinesi, indiani e dalle repubbliche ex sovietiche. Sono scenari drammatici che si aggiungono a quelli altrettanto foschi del resto del mondo, come quelli della Turchia di Erdogan. Una Turchia piú infida che mai che, ripudiata la sua artificiosa laicità, si pone ormai come cuneo dell’espansionismo islamico nel cuore dell’Europa. Non è certo un caso se il 4 ottobre 2015, il presidente turco ha tenuto a Strasburgo un incontro con i connazionali immigrati in Europa e li ha arringati in qualità di “Turchi d’Europa” incitandoli... “a non assimilarsi ai paesi che li ospitano, ma a mantenere la loro identità turca e islamica”. Tutto ciò quando i cristiani, gli alawiti, gli sciiti, i curdi, e pure gran parte degli arabi sunniti d’Iraq e di Siria stanno pagando un prezzo altissimo alla politica turca di sostegno all’islamismo. Appare chiaro ormai che l’obiettivo di Erdogan e del suo partito è la reislamizzazione della Turchia nella sua versione piú deteriore. Ma quale Europa avremo se la Turchia dovesse mai accedervi? Non si tratta solo di una questione religiosa. L’ingresso turco cambierebbe l’identità stessa di questa Europa dal ventre molle. La Turchia fa già parte della NATO, che è una struttura puramente militare, ma non senza problemi: l’unico conflitto nell’Europa meridionale scoppiato nel corso della Guerra Fredda è stato provocato proprio dalla Turchia, con l’invasione di Cipro. Cipro è oggi uno Stato membro dell’UE a cui manca tutta la costa settentrionale, ancora occupata illegittimamente dai turchi e ivi costituitisi in Stato autonomo, mai riconosciuto dalla comunità internazionale. Andando indietro nella storia la Turchia, guida dell’Impero Ottomano, dal XV secolo in poi ha sempre avuto un piede in Europa, ma sempre e solo nel ruolo di invasore. Le battaglie di Lepanto (1571) e di Vienna (1683) sono momenti importanti di unità cristiana e anche tappe fondamentali del processo di costruzione dell’identità europea: entrambe sono state combattute per respingere un’aggressione ottomana. Anche il genocidio degli armeni del 1915 è un altro capitolo irrinunciabile della memoria europea: il primo genocidio del Novecento. In Turchia, ancora oggi, è vietato anche solo ricordarlo ed è reato scriverne. La Grecia spende cifre considerevoli del suo bilancio per le forze armate, soprattutto per difendersi da un’eventuale aggressione della Turchia. Anche la Grecia infatti subí il trauma della pulizia etnica: circa 200.000 morti sulla costa egea dell’Anatolia, per mano dei nazionalisti turchi, negli anni immediatamente successivi alla Prima Guerra Mondiale. Oggi, la Turchia disloca la sua armata piú potente e moderna proprio sulla costa egea, per far fronte alla Grecia, un paese che non ha mai minacciato militarmente nessuno. Fra i due paesi si è cosí creata la paradossale situazione di una sorta di guerra fredda interna alla NATO. I successivi governi turchi e poi la presidenza del “neo-ottomano” Erdogan non hanno certo contribuito a ridurre la tensione. Contrariamente ad altre conflittualità storiche intra-europee, come quella fra Germania e Francia o tra Francia e Inghilterra, quella fra la Turchia e i suoi vicini non è solo storica, ma ancora viva e latente. A questo punto non si vede proprio come sia possibile essere turchi ed europei al tempo stesso. L’Europa deve tassativamente liberarsi dalle economie corruttrici dei Paesi arabi (Arabia Saudita in testa) che, con il benestare degli Stati Uniti, ne sostengono l’islamizzazione, ossia l’obnubilazione della sua civiltà anche attraverso ondate migratorie sempre piú frequenti e sempre meno giustificate da ragioni umanitarie. La situazione odierna è talmente grave da giustificare ampiamente sia l’impiego massiccio e deciso dello strumento militare, sia l’adozione di leggi speciali - anche in deroga ad alcune norme democratiche - per fermare e invertire questa invasione accuratamente pianificata sia dell’Italia, sia dell’Europa. Quale ruolo vi giochino gli interessi americani, le varie lobbies economiche come la Open Society di George Soros, con il corollario di ONG compiacenti è ormai chiaro. Appaiono sempre piú sagge e profetiche le parole del Cardinal Giacomo Biffi riportate nella sua nota pastorale La città di san Petronio nel terzo millennio (Bologna, 12 settembre 2000):
«L’Italia [ma le medesime considerazioni valgono per il resto dell’Europa] non è una landa deserta o semidisabitata, senza storia, senza tradizioni vive e vitali, senza un’inconfondibile fisionomia culturale e spirituale, da popolare indiscriminatamente, come se non ci fosse un patrimonio tipico di umanesimo e di civiltà che non deve andare perduto. In vista di una pacifica e fruttuosa convivenza, se non di una possibile e auspicabile integrazione, le condizioni di partenza dei nuovi arrivati non sono ugualmente propizie. E le autorità civili non dovrebbero trascurare questo dato della questione. In ogni caso, occorre che chi intende risiedere stabilmente da noi sia facilitato e concretamente sollecitato a conoscere al meglio le tradizioni e l’identità della peculiare umanità della quale egli chiede di far parte. Sotto questo profilo, il caso dei musulmani va trattato con una particolare attenzione. Essi hanno una forma di alimentazione diversa (e fin qui poco male), un diverso giorno festivo, un diritto di famiglia incompatibile col nostro, una concezione della donna lontanissima dalla nostra (fino ad ammettere e praticare la poligamia). Soprattutto hanno una visione rigorosamente integralista della vita pubblica, sicché la perfetta immedesimazione tra religione e politica fa parte della loro fede indubitabile e irrinunciabile, anche se di solito a proclamarla e farla valere aspettano prudentemente di essere diventati preponderanti. Mentre spetta a noi evangelizzare, qui è lo Stato - ogni moderno Stato occidentale - a dover far bene i suoi conti».
Pablo Picasso - Guernica (1937)
L’America del terzo millennio
«Togli il diritto, e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti?» (S. AUGUSTINUS, De Civitate Dei, IV, 4, 1)
Uno degli elementi che contraddistinguono la civiltà dalla barbarie è l’impegno costante per creare e sostenere istituzioni che riducano l’uso della forza ad «ultima ratio». Purtroppo si tratta di un elemento che non ha mai caratterizzato particolarmente la politica americana, da lungo tempo in stato di sfida perpetua verso il resto del mondo. Ciò che è piú grave è che in questi ultimi decenni anche l’Unione Europea si è spesso accodata vergognosamente alle medesime politiche. Il 24 marzo 1999, i paesi della NATO scatenarono la guerra contro la Serbia in violazione delle norme fondamentali dello Statuto dell’ONU e dell’Atto finale di Helsinki. Venne compiuta una plateale aggressione contro uno Stato sovrano e membro dell’ONU. La definizione di aggressione, deliberata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre del 1974, lo attesta nero su bianco: “Il bombardamento, da parte delle Forze armate di uno Stato, del territorio di un altro Stato, sarà qualificato come atto di aggressione”. E ciò - lo afferma con chiarezza il documento - non può essere giustificato da nessuna considerazione di qualsiasi carattere: politico, economico, militare, etc... Il bombardamento contro la Serbia durò 78 giorni: 2.300 attacchi aerei contro 995 obbiettivi, 25.000 tonnellate di bombe sganciate, uso su vasta scala di munizionamento non convenzionale (depleted Uranium), un migliaio i missili da crociera lanciati, circa 2.000 civili uccisi, quasi 7.000 civili feriti, numerosi edifici distrutti o semidistrutti incluse case, scuole, monasteri e chiese, perfino luoghi riconosciuti dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità. Da allora la macchina bellica americana ha scatenato un conflitto dopo l’altro, soprattutto dopo l’attentato alle Twin Towers e al Pentagono (2001); attentati sempre piú controversi e difficili da spiegare nelle loro incredibili modalità esecutive, al limite del fantastico.
Ancor piú grave è stata la violazione del diritto in Iraq. L’amministrazione statunitense portò alla tribuna dell’ONU un’ignota sostanza dichiarandola arma chimica per ingannare consapevolmente la comunità internazionale. Una dimostrazione evidente del comportamento perverso degli USA nonché della scarsa affidabilità delle asserzioni di numerosi servizi di sicurezza occidentali. La violazione della sovranità dell’Iraq nel 2003 dimostrò un disprezzo palese per il diritto internazionale e la sua cinica, sfacciata sostituzione con il barbarico diritto del piú forte. La banalizzazione della minaccia dell’uso della forza, ritenuta inammissibile 30-40 anni fa (vedasi appunto l’Atto finale di Helsinki), è il frutto di una vergognosa involuzione etica e morale dell’Occidente odierno.
Gli USA e i loro alleati se ne sono serviti almeno una decina di volte in un quarto di secolo e niente fa credere che questa prassi cesserà presto. L’ultimo caso è il bombardamento dello Yemen da parte della coalizione capeggiata dall’Arabia Saudita con il consenso degli USA: il Consiglio di sicurezza dell’ONU, infatti, non ha dato il suo nulla osta a questo intervento. L’Occidente, ormai avvezzo a trasgredire le leggi internazionali, neanche se ne accorge; nemmeno si pone piú una seria discussione sull’opportunità o meno di simili guerre. Il mainstream mediatico non si chiede neppure che cosa abbiano realmente ottenuto gli USA, la NATO e l’UE spargendo fiumi di sangue e sprofondando in un caos pressoché irrimediabile intere regioni del pianeta. Quanti decenni occorreranno per rimediare a cosí tanti danni? Se gli Stati Uniti, forti del fondamentalismo protestante, presumono di essere la “nazione piú benedetta” (da Dio), il popolo eletto biblico, e sono convinti di essere “la città luminosa sulla collina”, è naturale che sentano il periodico bisogno di punire e purgare i peccati (e i peccatori) che vivono intorno a loro, onde tornare, purificati, a diffondere il “bene” e la “democrazia” nel mondo. È quella condizione cui Churchill alludeva quando disse che... “gli americani provano di tanto in tanto il bisogno di fare il bidet all’anima”, e poi “vogliono far bere a noi l’acqua”.
Cosa direbbe oggi Eisenhower? Quell’Eisenhower - pur militare egli stesso - che con straordinario coraggio denunciò nel 1961 il predominio “palese e occulto” del complesso militare-industriale negli Stati Uniti? Quel complesso oggi esiste ancora e si è arricchito di un terzo protagonista: la finanza neo-liberista. Il saggio di Gianfranco Peroncini, La nascita dell’impero americano. 1934-1936: la Commissione Nye e l’intreccio industriale, militare e politico che ha governato il mondo, uscito per i tipi di Mursia nel 2013, non ha avuto la risonanza che forse meritava. Peroncini vi analizza l’operato di una commissione parlamentare americana che esaminò le vere cause dell’entrata in guerra degli USA durante la Prima guerra mondiale. Il tema è piú che mai attuale e non solo per la concomitanza con il centenario dello scoppio della Grande Guerra. A colpire sono le straordinarie e amare similitudini con l’America di oggi afflitta da un fenomeno pericolosamente degenerativo che ha radici ben piú profonde di quanto non s’immagini.
Il problema degli USA - e non solo oggi - è il predominio quasi assoluto e pervicace delle lobby nelle istituzioni, nel governo, nel Congresso e persino nell’amministrazione della Giustizia. Oggi non c’è piú corrispondenza tra i suoi valori piú alti e le sue istituzioni, dominate da una classe politico-affaristica solo in apparenza rispettabile. Il sogno americano ormai è morto. Oggi poco o nulla è rimasto del principio che vieta non solo l’uso della forza, ma perfino la minaccia di usarla. Lo stesso dicasi per il principio dell’integrità territoriale, per quello dell’inviolabilità delle frontiere e quello della soluzione delle controversie internazionali con mezzi pacifici.
Il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991 ha dato lo spunto ad una pericolosa ideologia chiamata neoconservatorismo. L’Unione Sovietica era servita fino ad allora come vincolo alle azioni unilaterali da parte degli USA. Con la rimozione di questo vincolo su Washington, i neoconservatori hanno intrapreso il loro piano di egemonia statunitense sul mondo. Gli USA erano improvvisamente diventati “l’unica superpotenza”, “l’unico potere”, che avrebbe potuto agire senza limiti, ovunque nel mondo”. Il giornalista neoconservatore del Wahington Post Charles Krauthammer ha riassunto la “nuova realtà” come segue:
“Abbiamo uno schiacciante potere a livello mondiale. Siamo i custodi designati dalla storia del sistema internazionale. Quando l’Unione Sovietica è caduta, è nato qualcosa di nuovo, qualcosa di totalmente nuovo - un mondo unipolare dominato da una sola superpotenza scevra dal controllo di rivali e con possibilità di raggiungere ogni angolo del globo. Questo è uno sconvolgente sviluppo nella storia, mai visto dai tempi della caduta di Roma. Persino Roma non può essere presa a modello di quello che rappresentano gli USA oggi”.
L’incredibile potere unipolare che la storia ha dato a Washington viene cosí protetto ad ogni costo. Nel 1992 uno dei massimi ufficiali del Pentagono, il sottosegretario Paul Wolfowitz, ha imposto la sua dottrina, la quale è diventata la base della politica estera degli USA. La Dottrina Wolfowitz sentenzia che il “primo obiettivo” della politica estera e militare degli Stati Uniti è “prevenire il riemergere di un nuovo rivale, sia sul territorio dell’ex Unione Sovietica o da qualche altra parte, che possa creare minaccia [alle azioni unilaterali degli Stati Uniti] nell’ordine di quella creata precedentemente dall’Unione Sovietica. Questa considerazione è fondamentale per sottolineare la nuova strategia di difesa regionale e richiede uno sforzo atto a prevenire che qualsivoglia potenza ostile possa controllare una regione, le cui risorse potrebbero, se sfruttate a dovere, essere sufficienti a generare un potere globale”. Una “potenza ostile” consiste in una nazione abbastanza forte da avere una politica estera indipendente dai dettami di Washington.
La dichiarazione unilaterale del potere statunitense è iniziata seriamente durante l’amministrazione Clinton, con l’intervento nella ex Yugoslavia, Serbia, Kosovo e la no-fly zone imposta sull’Iraq. Nel 1997 i neoconservatori hanno stilato il “Progetto per un nuovo secolo statunitense”. Nel 1998, 3 anni prima dell’11 settembre, i neoconservatori hanno inviato una lettera al Presidente Clinton chiedendo un cambio di regime in Iraq e la rimozione di Saddam Hussein dal potere. Successivamente essi hanno preparato un programma per rimuovere sette governi in cinque anni.
Gli eventi dell’11 settembre 2001 sono considerati come “la nuova Pearl Harbor”, che i neoconservatori hanno definito necessaria per iniziare le loro guerre di conquista in Medio Oriente. Paul O’Neil, il primo Segretario del Tesoro del Presidente G. W. Bush, ha dichiarato pubblicamente che il programma del primo meeting con il suo gabinetto riguardava l’invasione dell’Iraq. Questa invasione era stata pianificata prima dell’11 settembre 2001. Dall’11 settembre Washington ha distrutto in tutto o in parte otto nazioni ed ora si oppone alla Russia sia in Siria sia in Ucraina, senza contare la Georgia.
Qualunque persona sia dotata di onestà e di retta coscienza non può non riconoscere in simili orientamenti qualcosa di profondamente immorale e folle: l’America non è piú l’arsenale delle democrazie ma l’arsenale della tirannide. Un’ideologia fanatica e impazzita per il potere ha controllato le amministrazioni Clinton, Bush e Obama e ora mira ad asservire anche l’amministrazione Trump. Si tratta di una lobby cosí presa dalla sua stessa arroganza che non esita a provocare pesantemente la Russia e a rovesciare un governo eletto democraticamente in Ucraina sostituendolo con un governo fantoccio, controllato da Washington.
Per perpetuare la sua egemonia gli USA hanno gettato al vento le garanzie date alla Russia che la NATO non si sarebbe spinta verso Est. Non contenti di questo gli USA si sono ritirati dal Trattato Anti Missili Balistici (ABM), il quale specificava che né USA né Russia avrebbero sviluppato o dispiegato missili anti-balistici. I neoconservatori hanno riscritto la dottrina militare statunitense e innalzato le armi nucleari dal loro ruolo di minaccia a forza di attacco preventiva. Sicché hanno iniziato a posizionare basi ABM ai confini russi, sostenendo che le basi servivano per difendere l’Europa da inesistenti missili balistici intercontinentali iraniani (ICBM). La Russia ed il suo Presidente Putin sono stati demonizzati in un’irresponsabile escalation mediatica precludendo cosí ogni possibile dialogo. L’effetto è stato la distruzione della fiducia tra potenze nucleari. Il governo russo ha constatato che Washington non rispetta le proprie stesse leggi, men che meno il diritto internazionale, e che non può essere considerata affidabile nel rispettare gli accordi. Questa mancanza di fiducia, unita alle aggressioni contro la Russia e alle sanzioni economiche stolidamente applicate anche dalle nazioni europee (Germania e Regno Unito in testa), stanno preparando il terreno per una guerra termonucleare globale.
In tutta onestà non si può dar torto al Presidente della Federazione Russa quando, il 28 settembre 2015, al 70° anniversario delle Nazioni Unite, ha affermato che la Russia non può piú tollerare tale situazione a livello mondiale. Due giorni dopo Putin prese il comando della guerra contro l’ISIS in Siria, una risoluzione che si rivelerà provvidenziale per il popolo siriano, ormai affrancato dagli orrori di una guerra creata ad arte da Stati Uniti ed Israele.
Una valutazione non meno severa tuttavia la meritano anche i governi europei, specialmente quelli di Germania e Regno Unito, complici del declino verso una guerra nucleare. In effetti quasi tutta l’Europa, connivente con gli USA, collabora all’aggressione senza sosta da parte di Washington contro la Russia, ripetendone la propaganda e supportandone le sanzioni e gli interventi militari contro altri paesi. Inutile dire che fino a che l’Europa non sarà altro che un’appendice di Washington, la prospettiva della guerra globale diventerà sempre piú concreta.
Oggi, piú che mai, un elemento importante affinché si possa evitare un conflitto globale è l’abolizione della NATO o la sua radicale trasformazione in un’entità a servizio dell’ONU che includa anche la Federazione Russa. Se la NATO continuerà ad esistere come puro strumento delle folli politiche di Washington la guerra nucleare globale diventerà una possibilità sempre piú reale e mortale per tutti.
Arroganti, sprezzanti e indifferenti alle leggi internazionali, gli USA manipolano e al contempo rinnegano le Nazioni Unite; sono ormai il potere piú pericoloso che il mondo abbia mai conosciuto, un autentico “stato canaglia” con un potere militare ed economico di dimensioni inusitate. Lo scrittore e poeta britannico, premio Nobel, Harold Pinter (1930-2008) ha definito l’Europa - soprattutto la Gran Bretagna - complice e compiacente, o come dice Cassio nel “Giulio Cesare”: «...scrutiamo intorno per trovarci tombe disonorate». Non a caso profonda insofferenza e disgusto stanno crescendo ovunque nei confronti delle manifestazioni del potere USA e del liberismo globale. Opporsi a questa tirannide significa affermare con determinazione, come sostenuto da Pinter: «Noi non diventeremo mai ciò che voi volete. Non accettiamo il destino che avete scelto per noi. Non accettiamo le vostre condizioni. Non ci conformiamo alle vostre regole. Noi siamo liberi. E il vostro brutale e spietato ingranaggio mondiale deve essere smascherato e combattuto».
La nuova Russia di Putin
“Chi non rimpiange la disgregazione dell’URSS,
non ha cuore, chi vuole ricrearla cosí com’era, non ha cervello”
(Vladimir Vladimirovič Putin)
A dispetto delle fobie neoconservatrici di un’America sempre piú vilmente asservita alla turpe politica israeliana, negli ultimi due decenni non si è mai vista una sola crisi internazionale provocata dalla Russia, semmai un ridimensionamento di Mosca nello scenario strategico; una Russia che, in politica estera, chiedeva solo di essere rispettata in quel che restava delle proprie zone di influenza, come l’Ucraina e alcune repubbliche asiatiche.
Le spese militari degli Stati Uniti sono superiori alle spese militari di quasi tutti i Paesi del mondo messi insieme. Quelle complessive della NATO sono circa dieci volte superiori a quelle della Federazione Russa. La Russia inoltre ha pochissime basi militari all’estero. Mentre il Patto di Varsavia è stato sciolto da tempo, la NATO ha continuato ad allargarsi anche ad Est, spinta dalla leadership americana che teme grandemente una duratura cooperazione politica ed economica fra Russia ed Europa: anche per questo l’America di Obama aveva fatto esplodere la crisi ucraina. Non esiste piú una Russia imperiale, ma una Russia che da tempo chiede solo di essere accettata nella comunità internazionale e di poter dare il proprio contributo al progresso, alla pace e alla stabilità internazionali. Chi ragiona con onestà intellettuale dovrebbe chiedersi piuttosto quali siano gli obiettivi geostrategici che gli USA stanno surrettiziamente e pericolosamente perseguendo. Non è certo minacciando nuove sanzioni economiche ed un’escalation missilistica nell’Europa dell’Est che si assicurano la pace nel mondo e un futuro al genere umano.
È chiaro che una Russia che cedesse la propria sovranità a favore delle forze mondialiste, spianerebbe la strada a chi ha intenzione di concludere il lavoro sporco iniziato con l’11 settembre 2001. Ma la Russia cristiana di Putin si pone oggi come formidabile ostacolo a quel progetto anti-umano, a rivendicare la sovranità sulle proprie risorse naturali, ad impedire la costruzione di un mondo unipolare e ad ostacolare il processo di disgregazione degli Stati medio-orientali, allo scopo di dominare geopoliticamente l’intero pianeta ponendolo sotto l’egemonia statunitense.
La politica forte di Putin ha legittimamente impedito che la Russia venisse derubata selvaggiamente delle proprie risorse, infiltrata progressivamente da elementi estranei alla propria cultura, privata del proprio ruolo nella storia e nel mondo e svigorita nella propria crescita demografica. È significativo che parlando proprio della questione omosessuale, cosí gradita all’America di Obama, Putin nel febbraio 2015 abbia detto: “Io rispetto e continuerò a rispettare la libertà individuale in tutte le sue forme, ma il mio atteggiamento è legato all’espletamento delle mie funzioni e il nocciolo della questione è che uno dei principali problemi di questo Paese è di natura demografica”. Infatti non c’è alcun dubbio che i costumi trasgressivi compromettano la crescita demografica e un Paese vasto come la Russia non può certo reggere con i tassi di incremento demografici italiani. Quelle di Putin sono parole sagge e realistiche di chi ama e serve semplicemente la propria patria.
Contrariamente a ciò che i mass-media vogliono far credere, la pace del mondo oggi non è minacciata dalla Russia, semmai è al presente garantita dalla sua ritrovata potenza. La lezione della guerra contro la Serbia dovrebbe avere insegnato molte cose all’Europa. Gli unici che ne hanno tratto vantaggio sono coloro che miravano a indebolire la presenza cristiana nei Balcani, che hanno favorito e favoriscono l’immigrazione mussulmana in Europa e che sostengono contemporaneamente le battaglie per i cosiddetti “diritti individuali”, allo scopo di annientare nel continente europeo ogni identità etnica, di sesso, di cultura, di religione, di appartenenza, per farne una squallida terra di apolidi, di consumatori, frammentati in mille tribú, in mille etnie contrapposte, in mille fedi, secondo quel processo di dissoluzione che regalerebbe all’Europa lo stesso triste destino del Medio Oriente e dell’Africa odierni. Sarebbe ora che gli europei comprendessero che coloro che vorrebbero puntare i missili contro Mosca per colpire ufficialmente i terroristi mediorientali stanno lucidamente preparando un accerchiamento alla Russia per soffocarla e distruggerla, essendo essa l’ultimo baluardo contro un potere mondialista satanico che ha ormai annichilito quasi ogni altra nazione.
La Russia di Putin è oggi l’ostacolo piú serio per chi pensava nel breve volgere di qualche anno di chiudere la partita in Asia centrale, di asservire completamente l’Europa, di dominare il Medio Oriente, prima del confronto finale con la Cina. Per questo gli screzi sulle piazze di Mosca, attivate da minoranze numericamente risibili, ma economicamente e politicamente sostenute da fortissimi interessi occidentali, ricevono cosí tanta risonanza sui media di tutto il mondo: presentare la Russia come una nazione, in cui la democrazia dei tempi di Eltsin sarebbe messa in discussione dall’autocrazia di Putin, serve a spianare la strada ad una nuova classe dirigente piú aperta agli interessi americani e israeliani, disposta a ritirarsi dagli scenari mediorientali ed incline al saccheggio delle risorse naturali russe, esattamente come nella triste epoca di Eltsin.
Comprendere e accogliere la Russia di Putin, senza banali intenti celebrativi, significa credere ancora nell’uomo, nella libertà e dignità degli individui e dei popoli. Chi sostiene le ragioni difensive della Russia si oppone a che le ricchezze delle nazioni siano drenate per riempire i forzieri di pochi e la vita delle persone diventi ricettacolo di ogni sorta di immondizia.
«La prossima grande eresia - come diceva Gilbert K. Chesterton nel 1926 - sarà semplicemente un attacco alla moralità, in particolare la moralità sessuale. E non viene da qualche sopravvissuto socialista della Fabian Society, ma dalla esultante energia vitale dei ricchi decisi infine a divertirsi, senza Papismo, né Puritanesimo, né Socialismo che li trattengano... La follia di domani non sta a Mosca ma molto piú a Manhattan».
Giannizzeri
Islam
“Mostrami ciò che Maometto ha portato
di nuovo e vi troverai solo delle cose cattive e disumane, come la sua
direttiva a diffondere
la fede per mezzo della spada” (Manuele II Paleologo)
“Dal 630 d.C. in avanti la Storia non ricorda
casi in cui l’integrazione di islamici all’interno di società non-islamiche
sia riuscita”
(Giovanni Sartori)
Dagli anni ‘70 del Novecento assistiamo ad un estremismo islamico che minaccia sempre piú i diritti umani e la libertà in tutto il mondo. Non si può piú tacere. Troppe notizie giungono da ogni parte del mondo islamico e tutte dello stesso segno. Le cause di questo espansionismo sono tante, dalla corrottissima dinastia wahabita che si rifugia dietro la custodia dei luoghi sacri all’Islam, alla politica medio-orientale americana e israeliana, ai paesi del Golfo Arabo, che inviano copiosi finanziamenti alle moschee e alle scuole coraniche di tutto il mondo, specie europee, affinché educhino i giovani alla lotta e al “martirio per l’Islam”, contro il “nemico cristiano e occidentale”.
Molti intellettuali occidentali mentono (sapendo di mentire) affermando che questo non sarebbe il vero Islam. Forse esiste un Islam teorico, magari quello dei Sufi, perseguitati e sterminati dall’Islam in tutto il mondo, specie quello wahabita, ma l’Islam ha mostrato spesso - e lo mostra sempre piú - ben altro volto. Si dice che la maggioranza dei credenti in Allah siano persone pacifiche e che aspirino solo a vivere in pace e in libertà, affermazione che è credibile, come per tutti gli altri credenti nel mondo. Se è cosí è lecito chiedersi: perché queste masse umane di moderati non protestano mai; perché non nascono associazioni e corposi gruppi mussulmani al fine di condannare duramente le violenze dei terroristi, il “martirio per l’Islam” e le innumerevoli violazioni contro la libertà religiosa e la dignità umana? Come non ricordare il caso di Asia Bibi, la donna cattolica pakistana, poverissima, madre di quattro figli, che da anni è detenuta in condizioni disumane ed è stata condannata a morte solo per essersi dichiarata cristiana e aver rifiutato la conversione all’Islam? Quali masse mussulmane si sono mai mobilitate per questa donna umile e coraggiosa?
La falsità e l’ipocrisia dei governi occidentali nell’affrontare l’estremismo islamico ha ormai raggiunto vertici insostenibili. Particolarmente eloquente è stato l’intervento del presidente russo Vladimir Putin che, al termine del G20 tenutosi ad Antalya, in Turchia (il 15 e 16 novembre 2015), è stato molto esplicito nello spiegare che «l’ISIS è finanziato da individui di 40 Paesi, inclusi alcuni membri del G20». Non pago di questo, per avvalorare le sue tesi ha esposto ai presenti un dossier americano preparato a Washington dalla Brookings Institution in cui si analizzano i dati raccolti nel 2013 e pubblicati nel 2014 relativi a coloro che, attraverso donazioni private, finanziano i terroristi. Eccone alcuni stralci:
«Fuad Hussein, capo di gabinetto di Massoud Barzani leader del Kurdistan iracheno, ritiene che “molti Stati arabi del Golfo in passato hanno finanziato gruppi sunniti in Siria ed Iraq che sono confluiti in ISIS o in Al Nusra consentendogli di acquistare armi e pagare stipendi”. “Una delle ragioni per cui i Paesi del Golfo consentono tali donazioni private - aggiunge Mahmud Othman, ex deputato curdo a Baghdad - è per tenere questi terroristi lontani il piú possibile da loro”. David Phillips, ex alto funzionario del Dipartimento di Stato USA ora alla Columbia University di New York, assicura: “Sono molti i ricchi arabi che giocano sporco, i loro governi affermano di combattere ISIS mentre loro lo finanziano”. L’ammiraglio James Stavridis, ex comandante supremo della NATO, li chiama “angeli investitori” i cui fondi “sono semi da cui germogliano i gruppi jihadisti” ed arrivano da “Arabia Saudita, Qatar ed Emirati”». Il presidente Vladimir Putin ha sottolineato il doppio gioco della Turchia, paese in cui abitano altri “angeli investitori”:
«Ankara assicura di aver rafforzato i controlli lungo la frontiera ma un alto ufficiale d’intelligence occidentale spiega che... “la Turchia del Sud resta la maggior fonte di rifornimenti per ISIS”. “Ci sono oramai troppe persone coinvolte nel business nel sostegno agli estremisti in Turchia - conclude Jonathan Shanzer, ex analista di anti-terrorismo del Dipartimento del Tesoro USA - e tornare completamente indietro è diventato assai difficile, esporrebbe Ankara a gravi rischi interni”».
La mossa di Putin ha cosí messo in rilievo l’operato estremamente deprecabile del presidente turco, Recep Tayyp Erdogan, anfitrione del summit e pretendente ad un posto d’onore per la Turchia in seno all’Unione Europea. Forse non è eccessivo dire che mai una nazione sí governata fu piú immeritevole di essere accolta in un consorzio umano.
In Italia ci sono dai due ai tre milioni di musulmani, i cui diritti alla libertà religiosa sono riconosciuti, ma essi non protestano mai contro le violenze sistematiche compiute dai loro correligionari. A parte i casi piú eclatanti, ma solo per breve tempo, le notizie che portano alla ribalta l’estremismo di radice islamica scivolano come acqua sul vetro, senza suscitare dibattiti, proposte o chiare prese di posizione. Pare quasi che discutere dell’Islam sia uno dei tanti tabú che il “politicamente corretto” ha imposto all’informazione e alla cultura italiana ed europea. Eppure non è piú possibile tacere, non si può piú far finta di niente.
Un certo “terzomondismo” ormai datato, punta il dito sempre e solo sul colonialismo occidentale, cosa che in parte è sicuramente vera, peccato però che il fenomeno del colonialismo sia di molto successivo ad un altro colonialismo, sempre violento e mai pacifico, ossia a quell’espansionismo islamico che da Maometto in poi trovò un argine definitivo solo con la nascita dei potenti Stati nazionali europei. Benedetto XVI, nella famosa conferenza all’Università di Regensburg (13 settembre 2006) asserí che l’Islam, per entrare nel mondo moderno, deve “confrontarsi con la violenza sull’uomo per Dio, che non esiste, non può esistere”. Il 19 marzo 2009, lo stesso Benedetto XVI, incontrando nella nunziatura di Yaoundé 22 rappresentanti dell’Islam disse che le religioni devono collaborare per “rendere manifesto il vasto potenziale della ragione umana, che è essa stessa un dono di Dio... Ciò che è ‘ragionevole’ va ben oltre ciò che la matematica può calcolare, la logica può dedurre e gli esperimenti scientifici possono dimostrare... Il ragionevole include anche la bontà e l’intrinseca attrattiva di un vivere onesto e secondo l’etica”. Questa visione della religione, ha aggiunto, “rifiuta tutte le forme di violenza e di totalitarismo: non solo per principi di fede, ma anche in base alla retta ragione. In realtà, religione e ragione si sostengono a vicenda, dal momento che la religione è purificata e strutturata dalla ragione e il pieno potenziale della ragione viene liberato mediante la rivelazione e la fede”.
Le distruzioni di antichi reperti assiri da parte dell’ISIS al museo di Mosul vengono dopo la distruzione da parte dei talebani dei grandi Buddha di Bamiyan e dopo analoghe devastazioni ai danni delle civiltà cristiano-bizantina, egizia, induista ed ebraica: tutto ciò proviene appunto da una fede aliena da qualsiasi ragione. L’odio verso la civiltà occidentale va di pari passo con l’odio per tutte le civiltà anteriori all’Islam o comunque fuori dall’Islam. Il rifiuto nei confronti di qualsiasi cultura diversa dimostra che è un vicolo cieco quello a cui conduce l’ideologia islamista secondo la quale prima, dopo o fuori dal Corano non deve esistere nulla. Come dice il premio Nobel per la letteratura Vidiadhar Surajprasad Naipaul la conversione all’Islam significa l’arabizzazione, implica che il convertito abbandoni totalmente il proprio passato e la propria cultura. All’esatto opposto c’è il cristianesimo, che - per definizione - è “cattolico” cioè universale, ed è stato capace di abbracciare e integrare ogni civiltà. Esso è nato fin dall’inizio in dialogo con l’ebraismo (sul cui tronco è germinato), con la cultura greca e con quella romana, sopravvissuta anche alla fine dell’impero romano. La civiltà europea, forgiata dal cristianesimo, è cosí diventata capace di incontrare e valorizzare tutte le nuove civiltà che ha via via scoperto.
Ebbene, la nostra civiltà, da tre secoli a questa parte, ha rifiutato la sua identità cattolica (cioè universale) e ha finito col partorire il razzismo, lo schiavismo e i mostri totalitari che hanno insanguinato non solo la sua storia ma anche quella di tanti altri popoli. L’Unione Sovietica, la Cambogia dei Khmer rossi e la Rivoluzione culturale cinese hanno fatto decine e decine di milioni di morti eppure sono state osannate in Occidente da scriteriati intellettuali atei e da sedicenti rivoluzionari. Pol Pot, si era formato alla Sorbona, e cosí gli altri leader dei Khmer rossi, figli della cultura marxista europea: Khieu Samphan e Hou Youn conseguirono il dottorato di ricerca in economia a Parigi, come pure Ieng Sary, Ieng Thirith, Khieu Ponnary, Ok Sakun, Son Sen e Suong Sikoeun, che studiarono Rousseau, Robespierre, Marx e i discorsi della sinistra intellettuale e politica francese, infatuata dall’URSS di Stalin. Ecco il vero colonialismo occidentale, quello culturale anti-cristiano, che ha sparso i suoi veleni nel mondo intero, incluso quello islamico.
In fondo tutti quei personaggi non inventarono nulla di nuovo, né in materia di massacri, né in materia di distruzione - per motivi ideologici - dei monumenti antichi e delle opere d’arte. Già la rivoluzione francese, accanto alle sue stragi sanguinarie, aveva perpetrato quella che forse è la piú colossale distruzione di opere d’arte della storia. Basti citare le abbazie di Cluny e di Citeaux, fari della civiltà europea, rase al suolo insieme ad altre chiese millenarie: quella di Saint-Denis, la certosa di Champmol, le cattedrali francesi, con le devastazioni, a Parigi, di Notre Dame e Saint-Germain-des-Prés, fino a Sémur-en-Auxerrois, Sens e Vézelay e le piú importanti chiese romaniche e gotiche. Nel solo mese di novembre 1793 vennero distrutti 434 dipinti nel deposito del Museo Centrale e nell’aprile 1794 il Comitato di Salute Pubblica ne fece bruciare molti altri. Le armate napoleoniche non solo perpetrarono il piú grande furto di opere d’arte della storia, ma devastarono opere di inestimabile valore. Come non ricordare il sistematico saccheggio di Roma, quello di Torino, Napoli e Firenze? Quante grandi chiese italiane furono trasformate in stalle o caserme dalle truppe napoleoniche che danneggiarono capolavori come gli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo? Nel Novecento fu la volta del comunismo. A Mosca fu demolita la Cattedrale del Redentore e centinaia di altre chiese furono saccheggiate e trasformate in stalle o musei dell’ateismo, non prima d’aver bruciato o rubato antiche icone e arredi sacri. Anche negli altri paesi dell’Est si fece lo stesso. Pochi denunciarono questi immani delitti, tuttavia l’Occidente mantenne spesso un rigoroso silenzio, grazie all’imperante e vergognoso conformismo di sinistra. Tutte le ideologie totalitarie, inclusa l’odierna ideologia islamista, sostenuta dai petro-dollari, hanno bisogno di fare tabula rasa delle altre civiltà pretendendo di azzerare la storia.
Anche oggi l’opinione pubblica che conta, quella sinistra liberal ancora marxisteggiante che spadroneggia sui mass-media e nelle istituzioni scolastiche, soprattutto in Italia, manifesta di frequente disprezzo verso quei principi e quella storia cristiana su cui si sono fondati la nostra libertà e il nostro benessere. L’Europa dei tecnocrati odierni si spinge perfino oltre la vecchia Europa giacobina, smaniosa di cancellare le tracce di tutto ciò che è cristiano tentando di epurare (in Francia) perfino la toponomastica millenaria.
La stessa sinistra, sempre pronta a lottare per i “diritti civili” resta vergognosamente muta di fronte ai cristiani perseguitati e all’umiliante condizione delle donne nei paesi islamici. L’astioso pregiudizio contro il cristianesimo delle élite progressiste e massoniche va di pari passo con il loro benevolo pregiudizio verso l’Islam del quale non vogliono denunciare nemmeno i piú atroci massacri. Quella stessa sinistra progressista vuol far credere che il terrorismo non abbia nulla a che fare con l’Islam e giunge al punto di capovolgere ignominiosamente la storia facendo passare i cristiani per aggressori evocando le crociate, che furono non aggressione quanto reazione all’invasione islamica di terre già cristiane secoli prima che Maometto stesso vedesse la luce.
Bertrand Russel in un suo saggio sul bolscevismo scrisse che fra tutte le religioni esso può essere paragonato all’Islam piuttosto che al cristianesimo: “Islamismo e Bolscevismo sono religioni pratiche, sociali, non spirituali, impegnate a conquistare il dominio del mondo terreno. I loro fondatori non avrebbero resistito alla terza tentazione nel deserto di cui parla il Vangelo” (RUSSELL B., Teoria e pratica del bolscevismo, Roma 1970, s. p.). Il filosofo, politologo e storico tedesco Eric Voegelin dimostrò che l’islamismo e il bolscevismo sono diverse maschere riemergenti della gnosi (cfr. VOEGELIN E., The new science of politics, in VOEGELIN E., Modernity Without Restraint, (The collected works of Eric Voegelin, 5), Columbia 2000, 191), per questo l’Islam nasce fin dall’inizio come progetto socio-politico e militare. Maometto fu essenzialmente un condottiero che fondò una teologia politica universalista, funzionale alla conquista dell’Arabia e poi del mondo.
A chi afferma che il problema del fondamentalismo sia rappresentato solo da pochi estremisti violenti e non dall’Islam in sé, risponde egregiamente Samuel Huntington: “Millequattrocento anni di storia dimostrano il contrario. L’Islam è l’unica civiltà ad aver messo in serio pericolo, e per ben due volte, la sopravvivenza dell’Occidente” (cfr. HUNTINGTON S. P., Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti Ed. 1997, 306). Bernard Lewis sottolinea che: “Per quasi mille anni dal primo sbarco moresco in Spagna al secondo assedio turco di Vienna, l’Europa è stata sotto la costante minaccia dell’Islam” (trad. da HUNTINGTON, S. P., The Clash of Civilizations and the Remaking of the World Order, Simon and Schuster, New York 1996, 210). L’enorme pressione dei grandi capitali petroliferi da una parte e l’immigrazione incontrollata dall’altra sono una grande tenaglia che già si stringe su un’Europa cieca perché ammalata da ideologie insensate; talmente cieca da soffocare tante e autorevoli voci profetiche.
Il cardinal Giacomo Biffi, uno dei pochi esponenti qualificati e contro-corrente del clero italiano, affermò con chiarezza: «Io penso che l’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la ‘cultura del niente’, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l’atteggiamento dominante nei popoli europei, piú o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa ‘cultura del niente’ (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’Islam che non mancherà: solo la riscoperta dell’avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto... i ‘laici’, osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l’ispiratrice piú forte e la difesa piú valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersene troppo tardi».
Sennonché tutte queste riflessioni, qualsiasi riflessione logica, per i fautori dell’Islam, sono prive di senso: logica e ragione, qualsiasi altra cosa, per loro contano meno di ciò che afferma la lettera del Corano. Ecco il punto. L’Islam purtroppo ha un grave problema e questo problema si chiama Corano; il Corano ha un grave problema e questo problema si chiama falsità storica. Sottoporre a critica storica il Corano significa scoprire le sue vere radici che si nascondono sotto la manipolazione e la falsificazione della cultura religiosa giudeo-cristiana. Il vero profeta cercato e rinnegato dai credenti musulmani di tutto il mondo non è e non è mai stato Maometto, ma in ultima analisi Cristo stesso. Il sufismo islamico lo comprese secoli fa. Senza questa presa di coscienza il mondo islamico non si libererà mai dai mali che lo affliggono e che si esprimono nella sua impossibilità di vivere pacificamente accanto al resto del mondo. La vera primavera araba (e non solo) è ancora di là da venire e ha il volto di Cristo, non certo il marchio dell’arroganza politica ed economica di un occidente egemonizzato da un’America senza Dio.
Albert Bierstadt - Storm in the Mountains (1870)
Clima, ambiente e ideologia
“Il tempo è una grande metafora della vita, a volte va bene, a volte va male, e non c’è niente che tu possa fare, se non portarti un ombrello” (Terri Guillemets)
“Secondo i meteorologi la previsione era giusta, era sbagliato il tempo” (Henri Tisot)
In questi anni purtroppo, anche le persone interessate alle vicende del cambiamento climatico, si dividono secondo criteri che appaiono sempre piú ideologici e sempre meno scientifici; tra quelli “certi” che in questi ultimi anni il clima sia peggiorato di molto a causa delle emissioni dei combustibili fossili e quelli piú “scettici” che credono che i disastri come quelli attuali ci siano sempre stati. Partendo da questi due punti di vista diversi, si affrontano i disastri naturali in due modi diversi: governando opportunamente l’ambiente per tornare a vivere come qualche decennio o secolo fa, oppure operando nelle infrastrutture e nei modi di vivere affinché si riducano progressivamente gli effetti degli eventi climatici.
La prima modalità è nota come “mitigazione”: la sua concezione nasce durante la Guerra fredda, periodo in cui anche il clima doveva essere “gestito” in modo da poter essere utile in battaglia. Dopo la caduta del muro di Berlino il clima diventa un problema da affrontare attraverso il mercato, ad esempio con l’Emission trading system (il sistema di commercio delle emissioni di anidride carbonica adottato dall’Unione Europea).
La seconda modalità è nota come “adattamento” ed è quella applicata dall’uomo da quando è comparso sulla Terra: se c’è la siccità si scavano pozzi e si costruiscono acquedotti, per evitare inondazioni si costruiscono argini e dighe, etc... Inoltre si cerca progressivamente di fare la stessa cosa puntando sul principio dell’efficienza energetica.
La politica e l’ideologia hanno spesso utilizzato questa divisione puntando sulla paura e forzando in tal modo la scelta della sola “mitigazione”: la firma del protocollo di Kyoto è stato uno degli effetti di questa politica perversa. Per correttezza occorre anche scrivere che, in realtà, la diminuzione delle emissioni oggi è dovuta piú alla crisi industriale e dei consumi piuttosto che all’azione di mitigazione scaturita dai protocolli.
Pare che alla politica sia sfuggita l’importanza della gestione oculata del territorio, dell’ingegneria, del miglioramento delle infrastrutture, delle industrie, per produrre manufatti piú duraturi, etc... Forse, investendo la stessa enorme quantità di denaro usata per mitigare il clima, ora ci troveremo in condizioni migliori.
Il “climate scientist” Richard Lindzen nel 2007 ha dichiarato: “Le generazioni future si chiederanno, con perplesso stupore, come mai il mondo sviluppato degli inizi del XXI secolo è caduto in un panico isterico a causa di un aumento della temperatura media globale di pochi decimi di grado. Si chiederanno come, sulla base di grossolane esagerazioni di proiezioni altamente incerte di modelli matematici, combinate con improbabili catene di interferenze, è stata presa in considerazione la possibilità di ritornare all’era preindustriale”.
Tralasciando lo spettacolo insulso di una Basilica di San Pietro dissacrata da immagini profane (l’8 dicembre 2016), di recente, anche Papa Bergoglio è intervenuto sulla questione attraverso la cosiddetta “enciclica ambientalista”; un testo che ha suscitato cori di approvazione insieme ad altrettante riflessioni critiche. Fra le tante si è distinta quella dello scienziato Franco Battaglia che ha inviato a Papa Bergoglio una lettera aperta, alquanto schietta. Lo studioso rileva che il “consenso scientifico” citato nella “Laudato si’” non sia affatto tale. “Anzi, a dire il vero, - sostiene Battaglia - è contro il consenso che la scienza fa progressi, ma questa è un’altra storia. Al consenso s’appellò Urbano VIII. E Galileo non della Chiesa, ma dei suoi stessi colleghi e del consenso cosiddetto scientifico fu vera vittima. Bisogna appellarsi, invece, ai fatti. E i fatti, inconfutabili, sono quelli che seguono. Il pianeta vive da milioni d’anni in una sorta di perenne stato glaciale, interrotto, ogni centomila anni, da diecimila anni di, detta in gergo, “optimum climatico”. Orbene, questa nostra umanità sta vivendo nell’ultimo di questi favorevoli periodi. Ed è da ventimila anni, cioè da quando il pianeta cominciò a uscire dall’ultima era glaciale, che i livelli dei mari si sono elevati: di oltre cento metri rispetto ad allora. Né l’attuale “optimum climatico” ha raggiunto ancora i massimi di temperatura che si raggiunsero, in assenza di attività umane, negli “optimum” climatici precedenti (...)”.
Profanazione della Basilica di San Pietro (8 dicembre 2015)
La lettera prosegue affermando che... “Per esempio, durante l’ultimo “optimum climatico”, vi sono stati periodi caldi (olocenico, romano e medievale), intervallati da cosiddette piccole ere glaciali, l’ultima delle quali durò qualche secolo ed ebbe il suo minimo 400 anni fa, quando il clima riprese a riscaldarsi, e sta continuando a farlo fino ad oggi. Ma 400 anni fa, quando cominciò il processo, le additate attività umane erano assenti, e assenti rimasero per almeno tre secoli (...). È stato, l’ultimo scorso, un secolo di monotòno crescente riscaldamento, corrispondente all’inconfutabile monotòna, crescente immissione di gas-serra? La risposta è no (...). Nel periodo 1945-1970, in pieno boom di emissioni, il clima visse un periodo d’arresto, ed è da almeno 14 anni che sta accadendo la stessa cosa: a dispetto di una crescita senza sosta delle emissioni d’anidride carbonica, la temperatura media del pianeta è al momento stabilizzata ai livelli di 14 anni fa (...)”. “Qua e là nella Sua lettera - prosegue Battaglia - Ella punta il dito contro l’abuso della tecnologia e la fede cieca nella scienza. Sante parole. Ma allo stesso tempo Ella chiede alla scienza e alla tecnologia cose che esse non possono dare, né - allo stato attuale delle conoscenze - è pensabile che possano mai dare, a meno di una qualche imprevedibile rivoluzione; e che, in quanto imprevedibile, non potremmo neanche formulare. Proporre che i Paesi poveri usino solo quegli impianti [solari ed eolici] per il proprio fabbisogno energetico, significa negare loro l’energia, cioè significa condannarli alla povertà. Proporre, poi, che siano i Paesi ricchi a sostenere l’enorme, quanto inutile, sacrificio economico, significa impoverire le popolazioni di questi Paesi a vantaggio di quella ristretta minoranza che, unica, si avvantaggerebbe del miserabile affare. La ristretta minoranza che ha assunto le forme del diavolo che, temo, s’è insinuato nei cuori dei Suoi consiglieri, Santissimo Padre”.
Edvard Munch - L'urlo (1893)
Chiesa
“Siate, Cristiani, a muovervi piú gravi: non siate come penna ad ogne vento, e non crediate ch’ogne acqua vi lavi. Avete il novo e ‘l vecchio Testamento, e ‘l pastor de la Chiesa che vi guida; questo vi basti a vostro salvamento. Se mala cupidigia altro vi grida, uomini siate, e non pecore matte, sí che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida!” (Dante Alighieri)
“La parola “Chiesa” indica un fenomeno storico il cui unico significato consiste nell’essere per l’uomo la possibilità di raggiungere la certezza su Cristo” (Don Luigi Giussani)
“Dir male della Chiesa (che nessuna antica professione di fede si dimentica di chiamare «santa») non è mai stato ritenuto nell’ascesi cristiana un atto particolarmente meritorio” (Card. Giacomo Biffi)
“La Chiesa cattolica è un’istituzione che io sono tenuto a considerare divina ma per i non credenti una prova della sua divinità potrebbe essere trovata nel fatto che nessuna istituzione meramente umana condotta con una tale disonesta imbecillità sarebbe durata quindici giorni” (Hilaire Belloc)
Il 25 marzo 2005, Venerdí santo, alla presenza di Papa Giovanni Paolo II si tenne la consueta Via Crucis al Colosseo. Consueta quanto al rito ma inconsueta in alcune riflessioni coraggiose dovute alla penna dell’allora Cardinal Joseph Ratzinger. Alla nona stazione egli denunciava: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza»!
L’11 febbraio 2013, Papa Benedetto XVI si è dimesso. Un evento improvviso e che non accadeva da secoli. Poco prima lo IOR era stato escluso dallo SWIFT (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication) e la Santa Sede venne trattata alla stregua di uno Stato-terrorista. Una misura alquanto estrema se si pensa che la solerte amministrazione USA non ha mai richiesto tali misure neppure nei confronti delle banche gestite dal cosiddetto Stato islamico (ISIS), reo di crimini innominabili! Una campagna cosí violenta contro la banca vaticana, confermata dall’apertura di inchieste penali da parte della sempre ossequiente magistratura italiana non si era mai verificata prima. Cosí la finanza vaticana non poteva piú pagare le nunziature, sostenere le missioni, perfino gli stessi Bancomat della Città del Vaticano erano stati bloccati. Qualche giornalista ha scritto che “la Chiesa di Benedetto non poteva piú “né vendere né comprare”, la sua vita economica aveva le ore contate”. Dopodiché, senza aspettare l’elezione di papa Bergoglio, il sistema SWIFT è stato sbloccato all’annuncio delle dimissioni papali. Un attacco di tale entità non si vedeva da quando l’amministrazione Bush fece esplodere la “questione pedofilia” ai tempi di Giovanni Paolo II, quando egli protestò duramente contro l’attacco americano all’Iraq. Un attacco giustificato da armi di distruzione di massa inesistenti, sicché il territorio iracheno si trasformò in un mare di sangue: centinaia di migliaia di morti. A distanza di dodici anni dalla guerra, il diritto alla vita non è per niente assicurato, e non solo in Iraq; al contrario è tutto il Medio Oriente che non trova pace.
Da allora molta acqua è passata sotto i ponti e la Chiesa è piú che mai nell’occhio del ciclone, osteggiata e attaccata dai poteri forti che desiderano asservirla ai propri scopi, colpendola dall’interno oltre che dall’esterno, là dove è possibile. Sarebbe un grave errore ritenere che quella sporcizia di cui parlava Benedetto XVI sia di natura del tutto endogena. In buona parte quella sporcizia è il frutto di un mondo degenere che da sempre la combatte e cerca di servirsene per i suoi fini, tanto piú quanto piú essa si oppone alle sue voglie.
Basti pensare allo sfruttamento mediatico di papa Francesco, volto a snaturare il magistero della Chiesa e a ridurre il Vangelo a sterile e banale moralismo filantropico. Sull’onda della sua immagine, spesso artefatta dai media, si parla di Chiesa povera, una povertà predicata da un mondo che invece vede nella ricchezza l’unico bene possibile! E quando mai il mondo ha avuto a cuore il bene della Chiesa o la sua spiritualità o la purezza del messaggio evangelico? In realtà il mondo vuole non una “Chiesa povera” ma solo una “povera Chiesa”, un pauperismo a buon mercato che ne mortifichi gravemente la sua bellezza, la sua indipendenza e la sua azione apostolica.
Oggi occorre diffidare anche dei media ufficialmente cattolici, anch’essi, in certi casi, ideologicamente orientati. L’attenzione prestata ai discorsi del Papa e il modo nel quale questi vengono commentati da parte dei giornali, delle riviste e delle emittenti che si presentano come “di ispirazione cattolica” sono evidentemente materia di libera scelta religiosa e professionale, ma in nessun caso possono prescindere dai dettami della coscienza, perché è dovere di ogni credente, nella Chiesa, contribuire al bene comune, ossia alla vita di fede del Popolo di Dio. Nell’interesse del popolo di Dio, che ha diritto ad essere formato dai suoi Pastori, bisogna che tutti contribuiscano, appunto, ad indirizzare la mente e il cuore dei credenti a Cristo.
Se l’operato del Papa viene presentato come l’espressione di una “corrente” all’interno della Chiesa (quella dei progressisti, dei riformatori, degli antidogmatici), o peggio ancora come l’imposizione a tutta la Chiesa di un “carisma” particolare o di una specifica “via” spirituale, non si fa giustizia della funzione propria del papato: il Santo Padre è il padre di tutti, e il suo “carisma” gli impone di riconoscere e promuovere tutti i “carismi” che lo Spirito suscita nella Chiesa, ossia le diverse spiritualità degli ordini e delle congregazioni religiose, dei movimenti e delle associazioni laicali, cosí come i diversi riti liturgici e le diverse tradizioni pastorali delle Chiese locali in Occidente e in Oriente. In caso contrario si rischia di spacciare l’opinabile per dogmatico, il che poi conduce, nella coscienza dei fedeli, a quella relativizzazione dell’assoluto che segue alla dogmatizzazione del relativo.
Da piú parti si parla del pericolo di scismi piú o meno sommersi, alludendo al distacco di gran parte dei comuni fedeli dalla dottrina dogmatica e morale della Chiesa; ora il conflitto tra cattolici dell’una e dell’altra fazione (un conflitto cosí ideologico da ricordare gli estremismi degli anni post-conciliari) può degenerare in un moltiplicarsi di scismi piú o meno conclamati.
Molto meglio dunque scartare le tante interpretazioni delle intenzioni del Papa che non pochi malintenzionati impongono all’opinione pubblica cattolica manipolando il contenuto dei suoi discorsi: ciò che conta è attenersi agli insegnamenti ufficiali, al magistero perenne della Chiesa. Solo cosí infatti - al di là di iniziative imprudenti o accenni ad argomenti dottrinali ambigui - la dottrina cristiana non ne uscirà minacciata e ogni riforma nella Chiesa sarà, come insegnato da Benedetto XVI, una “riforma nella continuità”.
Tutto ciò che esce da questa linea della continuità è artificio e ideologia e non può che provenire da quella “sporcizia del mondo” che è da sempre alla radice della “sporcizia nella Chiesa”. Si sente oggi, piú che mai, nostalgia della chiarezza e immediatezza del trascorso magistero, oggi sempre piú afflitto da un linguaggio troppo politicamente corretto e diplomatico, che non incide sulle anime e le coscienze dei piú. Come non ricordare, per esempio, le magistrali e profetiche parole di papa Pio XI nell’enciclica Quadragesimo anno, circa la degenerazione dell’economia mondiale che oggi stiamo vivendo in tutta la sua drammaticità?
«Ciò che ferisce gli occhi - affermava Pio XI - è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresí di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento. Questo potere diviene piú che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il denaro, la fanno da padroni [...] sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare» (cfr. PIO XI, enciclica Quadragesimo anno, 15 maggio 1931, nn. 105-106).
Non meno importanti, in materia fiscale, le parole di Papa Pio XII:
«Astenetevi da quelle misure [fiscali], che, malgrado la loro abilità tecnica, urtano e offendono nel popolo il senso del giusto e dell’ingiusto, sottovalutano la sua forza vitale, la sua legittima ambizione di raccogliere il frutto del proprio lavoro, la sollecitudine per la sicurezza familiare: tutte considerazioni che meritano di occupare nella mente del legislatore il primo posto e non l’ultimo. Il sistema finanziario dello stato deve mirare a riorganizzare la situazione economica, cosí da assicurare al popolo le condizioni materiali della vita, indispensabili per conseguire il fine supremo assegnato dal Creatore: lo sviluppo della sua vita intellettuale, spirituale e religiosa» (cfr. PIO XII, “Discorso ai partecipanti al Congresso dell’Istituto internazionale delle finanze pubbliche”, 2 ottobre 1948).
In un’Italia devastata dalla corruzione, vessata da un fisco scellerato e da una crisi economica costante egli afferma molto opportunamente che:
«Il pubblico potere [...] non può mai far sí che l’imposta divenga un comodo mezzo per colmare il deficit provocato da un’amministrazione improvvida, per favorire un’industria od una branca del commercio a discapito di un’altra altrettanto utile. Lo Stato dovrà evitare ogni spreco del denaro pubblico, dovrà prevenire gli abusi e le ingiustizie da parte dei propri funzionari come pure l’evasione di coloro che sono legittimamente tassati» (cfr. PIO XII, “Allocuzione al Congresso dell’Associazione fiscale internazionale sula natura e i limiti delle tasse”, 2 ottobre 1956).
Non solo l’Italia, ma l’intero Occidente è devastato da un neoliberismo disumano e pervertito, degno erede dell’epoca delle ferriere ottocentesche, la cui disumanità fece da terreno di incubazione per gli orrori del comunismo e del nazismo. Passato il dopoguerra e lasciata alle spalle un’epoca di miracoli economici dovuti ad un piú saggio capitalismo sociale il liberismo avanzò sempre piú e negli anni 80 conquistò i governi occidentali, soppiantando, a livello politico, universitario e scientifico, l’economia keynesiana dei decenni precedenti, basata sull’intervento pubblico a debito. La Scuola viennese (Von Hajek e Von Mises), rigidamente liberista, prese il sopravvento, insieme al monetarismo di Milton Friedman (Scuola di Chicago), il cui principio base era, ed è, il controllo della circolazione della moneta, quindi l’istituzionalizzazione della scarsità. L’implosione del comunismo per l’incapacità di offrire benessere materiale e libertà ai popoli, nel 1989, cambiò radicalmente la geopolitica internazionale, determinando un repentino cambiamento nelle prospettive di vita di tutti i popoli, a seguito della vittoria planetaria del modello liberista americano. Un liberismo che insieme al relativismo e al succube modernismo ecclesiastico accusano la Chiesa di rubare all’uomo la libertà, e con essa di mettere in pericolo i beni piú preziosi dell’uomo. Molti cattolici si sono fatti atei pensando che cancellare Dio dalla loro vita consentisse loro di conquistare piú libertà e piú diritti.
Essi non hanno avvertito che il liberismo economico che ha voluto la globalizzazione ha come fine il controllo completo delle risorse e degli Stati mediante un totalitarismo che non conosce limiti. I suoi ideologi la chiamano, opportunamente, “governance” nella loro lingua ufficiale, l’inglese globale, per significare la depoliticizzazione, il carattere di amministrazione dell’esistente, ovvero del mercato unico mondiale, asserito come fatto naturale e snodo finale della storia dell’umanità. Uno dei suoi esponenti, il banchiere Warburg, famiglia tra le piú potenti e ricche da generazioni, ammise fin dal 1950 che l’obiettivo finale della sua élite è l’istituzione di un unico ordine e governo planetario diretto dall’alta finanza, il cosiddetto “nuovo ordine mondiale”. C’è chi a Wall Street e nel mondo degli affari vive tutto ciò con soddisfazione. Una imprenditrice americana, nel libro pubblicato con lo pseudonimo M. E. THOMAS, “Confessioni di una sociopatica. Viaggio nella mente di una manipolatrice” (pubblicato in Italia da Marsilio, 2013) ha scritto: «L’idea di rovinare la gente è semplicemente deliziosa [...]. Il potere è tutto ciò che mi ha veramente interessato nella vita - il potere distruttore, la conoscenza, l’influenza invisibile». È il volto estremo di una mentalità - quella americana - che non poteva non scontrarsi, prima o poi, con una realtà, quella della Chiesa Cattolica, da sempre indipendente e ferma sostenitrice dei valori assoluti del Vangelo e della dignità umana.
Il professor Germano Dottori, docente di Studi strategici presso la LUISS, consigliere scientifico di Limes, consulente presso le commissioni della Camera e del Senato in materia di Affari esteri e Difesa ha scritto: «Le frizioni tra Chiesa e Stati Uniti non sarebbero venute meno neanche con la scomparsa di Giovanni Paolo II. Avrebbero invece avuto un seguito durante il pontificato di papa Ratzinger, nel corso del quale ad acuirle non sarebbe stato soltanto l’investimento fatto da Barack Obama e Hillary Clinton sull’islam politico della Fratellanza musulmana durante le cosiddette primavere arabe, ma altresí la ferma volontà di Benedetto XVI di pervenire ad una riconciliazione storica con il patriarcato di Mosca, che sarebbe stata nelle sue intenzioni il vero e proprio coronamento religioso di un progetto geopolitico di integrazione euro-russa sostenuto con convinzione dalla Germania e anche dall’Italia di Silvio Berlusconi - ma non da quella, piú filo-americana, che si riconosceva in Giorgio Napolitano. Com’è andata a finire è noto a tutti. Governo italiano e papato sarebbero stati simultaneamente investiti da una campagna scandalistica, coordinata, di rara violenza e priva di precedenti, alla quale si sarebbero associate anche manovre piú o meno opache nel campo finanziario, con l’effetto finale di precipitare nel novembre del 2011 l’allontanamento di Berlusconi da Palazzo Chigi e, il 10 febbraio 2013, l’abdicazione di Ratzinger».
Quello di papa Bergoglio non è l’unico cambiamento epocale nella Chiesa Cattolica; con la fine del pontificato di Benedetto XVI anche la Civiltà Cattolica, storica rivista dei gesuiti e da sempre fra i capisaldi dottrinali e culturali della Sede Apostolica, cambia volto. Cosí pure quotidiani cattolici come L’Osservatore Romano, Avvenire e altre testate di riferimento, assumono posizioni sempre piú critiche nei confronti del precedente Magistero. All’improvviso, lungo il solco del Sinodo sulla famiglia (2014-2015), spunta l’urgenza rappresentata dalla questione omosessuale e dai nuclei familiari “alternativi” o “non tradizionali”, come amano dire i cultori del linguaggio fraudolento; la dove “tradizionale” equivarrebbe a “vetusto”. Ma è falso presentare come una novità l’esistenza di nuclei familiari “non tradizionali”: essi c’erano già nei primi tempi cristiani, sotto l’Impero romano e fra i popoli barbari, cosí come nelle terre di missione, nel corso dei secoli fino ad oggi, dove da sempre vige pure la poligamia. Perfino i matrimoni fra persone dello stesso sesso c’erano già 2000 anni fa, per l’élite imperiale. Nerone fece due matrimoni pubblici con uomini, una volta nella parte della moglie e una volta in quella del marito (secondo Svetonio prese come moglie lo schiavo Sporo dopo averlo fatto evirare). Anche l’imperatore Eliogabalo, secondo la “Historia Augusta”, sposò un uomo facendo la moglie. Di fronte ai costumi antichi non risulta che gli apostoli abbiano escogitato strategie pastorali per ogni caso, né che si siano posti dei problemi nel giudicarli secondo ragione e fede, testimoniando la volontà di Dio al riguardo. L’apostolo Paolo usò parole severissime e mise in guardia i cristiani dal conformismo e dalla cultura mondana. E con la “stoltezza” di quella predicazione i cristiani conquistarono il mondo al Vangelo.
Troppe volte si assiste a pastori che piú che aspirare alla catechesi e alla formazione autentica dei fedeli aspirano a suscitare domande e ricerche sterili, fini a se stesse. Ma il cristianesimo non è solo ricerca, è soprattutto la “Risposta di Dio diventata carne”. L’errore da non ripetere è quello del post-Concilio quando si sostituí la fede con il dubbio metodico e sistematico e con l’incertezza, cosa che portò ad uno dei tracolli piú devastanti nella storia della Chiesa. Giovanni XXIII annunciò che la Chiesa ormai avrebbe usato la medicina della misericordia invece di quella della severità; nella pratica pare che essa sia stata adottata dai sacri pastori soprattutto a proprio favore. Non si sono forse concessi loro per primi le libertà, le licenze e le deviazioni che prima la severità puniva? Ci sarà una ragione se durante il Sinodo sulla famiglia, il vescovo di Astana, mons. Thomas Peta accennò all’odore del “fumo infernale” (già denunciato da papa Paolo IV) in alcuni passi dell’”Instrumentum Laboris” e anche negli interventi di alcuni padri al Sinodo. Egli identificò questo fumo di satana in tre punti:
1. La proposta di ammettere alla sacra Comunione chi è divorziato e vive in una nuova unione civile;
2. L’affermazione che la convivenza è un’unione che può avere in se stessa alcuni valori;
3. L’apertura all’omosessualità come cosa data per normale.
Non meno sconcertante fu il discorso di papa Bergoglio nella Christuskirche luterana di Roma del 16 novembre 2015, tanto che si potrebbe dire che il magistero eucaristico non sia esattamente il punto forte di questo papato. Sulla scorta di questi e di numerosi altri fatti, che non vengono riportati in questa sede, aumentano sempre piú le critiche indirizzate al Papa, anche da parte di persone autorevoli.
Profonda inquietudine hanno suscitato le parole di mons. Gaenswein, segretario di Benedetto XVI, nella conferenza del 21 maggio 2016:
«Nel conclave dell’aprile del 2005, (...) Joseph Ratzinger (...) uscí eletto dopo solo quattro scrutini a seguito di una drammatica lotta tra il cosiddetto “Partito del sale della terra” (“Salt of Earth Party”) intorno ai cardinali López Trujíllo, Ruini, Herranz, Rouco Varela e Medina e il cosiddetto “Gruppo di San Gallo” intorno ai cardinali Danneels, Martini, Silvestrini e Murphy-O’Connor; gruppo che, di recente, lo stesso cardinal Danneels di Bruxelles in modo divertito ha definito come “una specie di mafia-club”. L’elezione era certamente l’esito anche di uno scontro, la cui chiave quasi aveva fornito lo stesso Ratzinger da cardinale decano, nella storica omelia del 18 aprile 2005 in San Pietro; e precisamente lí dove a “una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie” aveva contrapposto un’altra misura: “il Figlio di Dio e vero uomo” come “la misura del vero umanesimo”.
Parole mai smentite ufficialmente da alcun organo della Santa Sede, anzi confermate da altre fonti autorevoli, a tal punto che numerosi esponenti del cattolicesimo USA in una lettera indirizzata al neo-presidente Donald Trump hanno sollecitato un’inchiesta che risponda alle seguenti domande:
• A che scopo la National Security Agency ha monitorato il conclave che ha eletto Papa Francesco?
• Quali altre operazioni segrete sono state attuate da agenti del governo USA sulle dimissioni di Papa Benedetto e sul conclave che ha eletto Papa Francesco?
• Agenti governativi hanno avuto contatti con la “Mafia del cardinale Danneels”?
• Le transazioni monetarie internazionali con il Vaticano sono state sospese durante gli ultimi giorni prima delle dimissioni di Papa Benedetto. Le agenzie di governo degli Stati Uniti sono state coinvolte in questo?
• Perché le transazioni monetarie internazionali sono riprese il 12 febbraio 2013, il giorno dopo che Benedetto XVI ha annunciato le sue dimissioni? È stata una pura coincidenza?
• Quali iniziative, se del caso, sono state effettivamente prese da John Podesta, Hillary Clinton, e altri legati alla gestione Obama, coinvolti nel dibattito che intendeva fomentare una “Primavera cattolica” [“rivoluzione colorata”]?
• Qual era lo scopo e la natura della riunione segreta tra il vice presidente Joseph Biden e Papa Benedetto XVI in Vaticano il o intorno al 3 giugno 2011?
• Quali ruoli sono interpretati da George Soros e da altri finanziatori internazionali attualmente residenti nel territorio degli Stati Uniti?
Nessuna di queste domande ha ancora ottenuto una pubblica replica.
Un Crocifisso con falce e martello: il dono del Presidente della Bolivia a Papa Francesco (2015)
Oggi, ad un’Europa allo sbando, in crisi, invecchiata, che ha volontariamente reciso le sue radici cristiane e che viene invasa ad onta delle sue frontiere, papa Bergoglio ha chiesto ripetutamente di spalancare le frontiere alla marea migratoria esaltando proprio quel multiculturalismo che di solito è una maschera del relativismo, spesso dell’odio anticristiano e, soprattutto, una porta spalancata alla sua islamizzazione. Non a caso Benedetto XVI, nel suo dialogo con Marcello Pera intitolato Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam, Milano 2004, dice: «La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie» (ibid., p. 71). È questa rinuncia alla sua identità e ai suoi valori che fa invecchiare l’Europa e la rende un fragile vaso di coccio nella competizione internazionale. Papa Ratzinger aggiunse: «C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sí, in maniera lodevole, di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama piú se stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è piú in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa ha bisogno di una nuova - certamente critica e umile - accettazione di se stessa, se vuole davvero sopravvivere» (ibid., p. 70-71).
Oggi il cuore stesso d’Europa, Bruxelles, è piú islamico che cristiano, l’Europa è “disarmata” come una “terra di nessuno” dove chiunque può sbarcare (come sostengono anche recenti rapporti dell’EuroPol) e, in barba alle dichiarazioni buoniste, l’Unione Europea si arrende addirittura alla Turchia pur di fermare temporaneamente l’invasione. È una profezia fin troppo facile: un’Europa in mano a queste assurde tecnocrazie e senza solide radici cristiane non ha alcun futuro.
In essa, l’impero liberista vuole una Chiesa ridotta alle funzioni di “assistente sociale”, che consola i perdenti nell’ospedale da campo dei poteri forti, ma non disturba i suoi manovratori. La presidente mancata, Hillary Clinton oltre un anno fa, ad un convegno di femministe abortiste, affermò: “I codici culturali profondamente radicati, le credenze religiose e i pregiudizi strutturali devono essere modificati” (cfr. The Daily Caller, 23-04-2015). Le chiese dunque dovrebbero accondiscendere supine al laicismo “liberal” dell’impero a stelle e strisce. In realtà, in queste parole non c’è nulla di nuovo, si tratta delle stesse folli pretese del vecchio modernismo di stampo ottocentesco. Ciò che piú ferisce però non sono le utopie di personaggi mondani, ormai privi di futuro, quanto quelle di coloro che dovrebbero difendere e custodire la fede autentica trasmessa a noi dagli apostoli.
Robert Spaemann, uno dei maggiori filosofi e teologi cattolici, amico personale di Benedetto XVI, ha scritto su Die Tagespost un duro articolo dal titolo eloquente: “Anche nella Chiesa c’è un limite di sopportabilità” (Die Kirche ist nicht grenzenlos belastbar, 17 giugno 2017). Egli scrive: «alcune affermazioni del Santo Padre [Bergoglio] si trovano in una chiara contraddizione con le parole di Gesú, con le parole degli apostoli e con la dottrina tradizionale della Chiesa... Se nel frattempo il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (Card. Müeller) si è visto costretto ad accusare apertamente di eresia il piú stretto consigliere e ghostwriter del papa, vuol dire che la situazione è davvero andata sin troppo oltre. Anche nella Chiesa cattolica romana c’è un limite di sopportabilità».
Spaemann ha criticato anche l’abituale ambiguità di Bergoglio specie su certi temi, toccati nell’Amoris laetitia: «Papa Francesco non ama la chiarezza univoca. Quando, poco tempo or sono, ha dichiarato che il cristianesimo non conosce alcun ‘aut aut’, evidentemente non lo disturba affatto che Cristo dica: ‘Il vostro parlare sia sí, sí, no, no. Il di piú viene dal maligno’ (Mt 5, 37). Le lettere dell’apostolo Paolo sono piene di ‘aut aut’. E, infine: ‘Chi non è per me, è contro di me!’ (Mt 12, 30)».
Copertina del del settimanale inglese Spectator - 7 novembre 2015
Spaeman era già intervenuto il 28 aprile 2017 contro l’Amoris laetitia” spiegando che vi sono “frasi decisive, che cambiano in maniera sostanziale l’insegnamento della Chiesa”, “che si tratti di una rottura è qualcosa che risulta evidente a qualunque persona capace di pensare che legga i testi in questione... Se il papa non è disposto a introdurre delle correzioni, toccherà al pontificato successivo rimettere le cose a posto ufficialmente”.
Un altro importante filosofo cattolico, Josef Seifert, collaboratore di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, è intervenuto con altre critiche non meno severe, che ha motivato cosí: «il Papa non è infallibile se non parla ex cathedra. Vari papi (come Formoso e Onorio I) furono condannati per eresia. Ed è nostro santo dovere - per amore e per misericordia verso tante anime - criticare i nostri vescovi e persino il nostro caro Papa, se essi deviano dalla verità e se i loro errori danneggiano la Chiesa e le anime» (cfr. SEIFERT J., Pure Logic, and the Beginning of the Official Persecution of Orthodoxy within the Church, Bd. 6, Nr. 2 (2017), 22-33).
Fondamentali, soprattutto per questo papato, appaiono le parole di Benedetto XVI circa la liturgia: «Nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa» (cfr. BENEDETTO XVI, Cantate al Signore un canto nuovo: saggi di cristologia e liturgia, Milano 20052, 9). È questa una delle sue affermazioni piú note e forse anche una delle meno comprese. Eppure al cuore del problema della crisi vocazionale nella Chiesa, dell’apostasia di intere nazioni, della distruzione della famiglia e del crollo della vita morale e sociale in tutti i suoi risvolti, si trova il modo in cui si celebra la liturgia. Circa vent’anni fa il futuro Benedetto XVI scriveva che è proprio... «nella liturgia [che] si tratta della nostra comprensione di Dio e del mondo, del nostro rapporto con Cristo, la Chiesa e noi stessi». Sí, la liturgia esprime e modella il mondo dell’uomo che vi partecipa, attraverso un insieme di codici, prevalentemente non verbali. La liturgia, nel suo aspetto di azione rituale, influisce giorno dopo giorno sull’uomo, pone un ordine nella sua vita, suscita e modula in lui reazioni emotive, fornisce cornici di significato e riferimenti simbolici: in una parola, plasma la sua vita. Come affermava l’antropologo Victor Witter Turner, grande studioso dei rituali religiosi... «se vogliamo indebolire o togliere vigore a una religione dobbiamo innanzitutto eliminare i suoi riti, i suoi processi generativi e rigenerativi. Perché la religione non è solo un sistema cognitivo, un insieme di dogmi: è esperienza significativa e significato ricavato dall’esperienza» (cfr. WITTER TURNER V., Antropologia della performance, Bologna 1993, 115).
In altre parole se vogliamo cambiare una società, dobbiamo cambiare la sua religione e se vogliamo cambiare la religione dobbiamo modificare i suoi riti. È solo collocandoci a questo livello di comprensione che possiamo cogliere l’importanza delle parole del Cardinal Robert Sarah (giugno 2016): «La liturgia è la porta della nostra unione con Dio. Se le celebrazioni eucaristiche si trasformano in autocelebrazioni umane, il pericolo è enorme, perché Dio sparisce. Bisogna cominciare a porre nuovamente Dio al centro della liturgia». La Chiesa infatti esiste per Dio, e quando nel culto questo aspetto viene oscurato o persino negato, allora l’esito è inevitabile: «la Chiesa diventa una società puramente umana, una semplice ONG [...]. Se invece Dio è al cuore della liturgia, allora la Chiesa ritroverà il suo vigore e la sua linfa».
Il Prefetto della Congregazione per il Culto divino suggerisce la necessità di «una conversione interiore», di ritrovare «la sacralità e la bellezza della liturgia» ed anche «il silenzio: questa capacità di tacere per ascoltare Dio e la sua parola». E poi aggiunge con grande chiarezza un’indicazione molto concreta: «Convertirsi significa rivolgersi verso Dio. Sono profondamente convinto che il nostro corpo debba partecipare a questa conversione. Il modo migliore è certamente quello di celebrare - sacerdoti e fedeli - volti insieme verso la stessa direzione: verso il Signore che viene. Non si tratta, come talvolta si pensa, spalle ai fedeli o di fronte a loro. Il problema non è lí. Si tratta di volgersi insieme verso l’abside, che simboleggia l’Oriente dove troneggia la croce del Signore risorto. Grazie a questo modo di celebrare, sperimenteremo il primato di Dio e dell’adorazione, fin nel nostro corpo. Comprendiamo che la liturgia è primariamente la nostra partecipazione al sacrificio perfetto della croce. Ne ho fatto personalmente l’esperienza: celebrando cosí, al momento dell’elevazione, l’assemblea, con il sacerdote al suo vertice, viene come assorbita dal mistero della croce».
Molti sacerdoti e fedeli pensano erroneamente che tale orientazione sia stato abolita dal Concilio Vaticano II e che occorra una sorta di indulto per celebrare versus orientem, perciò il Cardinal Sarah avverte il bisogno di fare chiarezza: «In quanto prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, ci tengo a ricordare che la celebrazione versus orientem è autorizzata dalle rubriche del Messale, che precisano il momento in cui il celebrante deve voltarsi verso il popolo. Non c’è dunque bisogno di alcuna particolare autorizzazione per celebrare rivolti al Signore». Al fine di indicare un graduale percorso di realizzazione il Cardinale richiama una proposta da lui fatta su L’Osservatore Romano, e cioè che «i sacerdoti e i fedeli si voltino verso l’Oriente almeno durante il rito penitenziale, il canto del Gloria, le orazioni e la preghiera eucaristica». E aggiunge: «L’orientazione dell’assemblea verso il Signore è un mezzo semplice e concreto di favorire una vera partecipazione di tutti alla liturgia», la quale «non dev’essere intesa come la necessità di fare “qualcosa”. Su questo punto abbiamo deformato l’insegnamento del Concilio. Al contrario si tratta di lasciare che Cristo ci raggiunga e di unirci al suo sacrificio». Oggi emerge, nella Chiesa, a livello di vertice, ciò che da cinquant’anni si è innescato dalla base. La liturgia è divenuta sempre meno sacra e sempre piú incentrata sull’inventiva dei celebranti e sul protagonismo di animatori sempre piú preoccupati di esibire se stessi che di esaltare la centralità del Sacrificio di Cristo, che forse non comprendono nemmeno piú. Le omelie sono diventate melense e sentimentali, o comizi politici, e il canto sempre meno liturgico. Chi avrebbe dovuto correggere, si è messo talvolta ad imitare queste stesse tendenze. Restituire spazio a Cristo è l’unico modo per dare una svolta a questo processo di secolarizzazione che ha travolto il mondo e impoverito una Chiesa afflitta da un clero sempre piú autoreferenziale e malato di protagonismo anche nei suoi vertici. Questo e non la pedofilia e il piú grave scandalo nella Chiesa.
Christine de Marcellus Vollmer sul periodico The Catholic Thing (15 luglio 2017) ne ha offerto un’analisi lucida ed efficace, in un momento in cui vi sono perfino vescovi che puniscono i sacerdoti se citano le parole di San Paolo sulla sodomia. Eppure nessuno interviene se altri vescovi chiudono un occhio su responsabili ecclesiali che si uniscono a persone dello stesso sesso, se noti prelati e membri di dicasteri vaticani formulano auguri per i Gay Pride e altre cose ancor piú gravi. La Vollmer ricorda che il problema degli abusi nella Chiesa, mascherato con furbizia dai media sotto il termine “pedofilia”, in realtà è efebofilia, o pederastia. Si tratta dunque di comportamenti omosessuali nei confronti di adolescenti dai 15 ai 17 anni (non bambini) perlopiú maschi. Una realtà evidenziata anche dal fatto che negli USA l’80 per cento dei condannati erano omosessuali. Una realtà, quella dell’omosessualità, cresciuta numericamente nel corso degli anni fino a coinvolgere la compagine ecclesiale. Ma l’omosessualità non è un problema a se stante, si tratta invece di una rivolta che ha sommerso la cultura occidentale. Anche nella Chiesa la dottrina è stata rigettata, la famiglia è stata sovvertita, la tradizione è stata rovesciata; secoli di saggezza sono stati resi ridicoli, la moralità è stata tacciata di “intolleranza” e “fanatismo” fino a sconvolgere l’intero tessuto sociale. Gli anni ‘70 e ‘80 del Novecento hanno testimoniato l’inizio di cambiamenti anche legali che confondevano e mettevano a disagio molti fedeli. Nella Chiesa cattolica la gerarchia - educata in tempi precedenti - mantenne un’apparenza di ortodossia, ma il dissenso era tollerato ed era fin troppo chiaro che v’erano due tipi di pastori. Molti nel clero e tra i fedeli accettarono la profetica enciclica di Paolo VI, Humanae Vitae (1968), anche se all’epoca non la comprendevano appieno. Per contrasto, quelli formati al relativismo e al permissivismo degli anni ‘60 l’accolsero con indifferenza quando non con disprezzo. Papa Paolo VI giustamente osservò che “il fumo di Satana si era infiltrato nella Chiesa”.
Una formazione troppo indulgente e permissiva nei seminari portò molti futuri preti a credere che l’autorità non abbia il diritto di imporre alcunché e favorí quei candidati omosessuali che poi avrebbero commesso ogni nefandezza. L’arrivo sulla scena di Giovanni Paolo II, con la sua carica profetica sconvolse una compagine ecclesiale ormai assuefatta a quella triste situazione ma riempí di passione e stimolò la generazione seguente verso una riforma profonda e convinta. Quando Benedetto XVI seguí a Giovanni Paolo II portò avanti l’opera di riforma. Tre decenni di brillante evangelizzazione dei papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno avuto un enorme successo anche fra i laici e hanno suscitato una nuova generazione di preti e vescovi uniti nella fede cattolica integrale e nella morale. Molti fra quelli della generazione precedente non hanno visto di buon occhio questo processo e hanno usato il loro potere anche in modo arbitrario per osteggiare quanto accadeva. Significativa al riguardo è la vicenda del cosiddetto Sankt Gallen Club per promuovere un loro candidato al soglio di Pietro. La generazione degli anni ‘70 è ancora al potere nella Chiesa e questa è la ragione principale per cui oggi vediamo una grande divisione in seno ad essa.
Molti fedeli cattolici sono fortemente motivati a vivere secondo la vera dottrina morale e sociale della Chiesa, ma restano disgustati quando vedono pastori formati nel permissivismo e nel relativismo che vengono promossi, non di rado nonostante gravi scandali pubblici, e altri vescovi e sacerdoti dalla vita esemplare rimossi dai loro incarichi, trasferiti e degradati in modo ignominioso, pubblicamente ripresi senza motivo e abbandonati alla gogna mediatica, dagli stessi superiori che invece dovrebbero difenderli. Di fronte alla confusione e al disorientamento provocati nei cattolici dal moltiplicarsi di interventi di pastori che svuotano di senso la fede che la Chiesa ha professato per venti secoli, cresce la domanda sul compito di quanti vogliono mantenersi fedeli alla Tradizione e al magistero autentico.
Statua di Lutero in Vaticano (13 ottobre 2016)
Lo scorso 11 agosto 2017, con una lettera di 25 pagine, inviata al Papa e resa pubblica il 24 settembre 2017, numerosi teologi, chierici e laici, contestano apertamente il suo magistero ponendone dolorosamente in rilievo alcuni aspetti. In essa si afferma che il Papa, nella sua esortazione apostolica Amoris laetitia e mediante altre parole, atti e omissioni ad essa collegate, abbia sostenuto 7 posizioni eretiche, riguardanti il matrimonio, la vita morale e la ricezione dei sacramenti, favorendo la diffusione di queste opinioni erronee nella Chiesa Cattolica. La lettera, divulgata anche attraverso Internet, si propone in modo rispettoso ma molto chiaro di porre in evidenza le responsabilità del Pontefice circa le ambiguità che tali posizioni possano incoraggiare. L’accluso comunicato stampa afferma che esse... «...rendono chiaro, oltre ogni ragionevole dubbio, che questi [papa Bergoglio] desidera un’interpretazione dei suddetti passaggi da parte dei cattolici in un modo che, di fatto, è eretico». Nella lista di questi atti e omissioni al primo posto si indica la mancata risposta ai dubia che quattro cardinali (Walter Brandmuller, Raymond Burke, Carlo Caffarra e Joachim Meisner) hanno rivolto al pontefice, oltre al fatto che egli ha anche evitato di incontrarli. Quindi si cita, tra gli altri, la risposta che il Papa ha dato alle linee guida dei vescovi della regione di Buenos Aires, linee guida che permettono, in certi casi, l’accesso all’eucaristia anche ai divorziati risposati conviventi more uxorio. «È stato dato scandalo alla Chiesa e al mondo, in materia di fede e di morale, mediante la pubblicazione di Amoris laetitia», si legge nel testo della lettera, «e mediante altri atti attraverso i quali Vostra Santità ha reso sufficientemente chiari la portata e il fine di questo documento... di conseguenza, si sono diffusi eresie e altri errori nella Chiesa; mentre alcuni vescovi e cardinali hanno continuato a difendere le verità divinamente rivelate circa il matrimonio, la legge morale e la recezione dei sacramenti, altri hanno negato queste verità e da Vostra Santità non hanno ricevuto un rimprovero ma un favore». La parte finale della lettera, con il titolo “Delucidazione”, espone due cause di questa crisi epocale. Una causa è il “modernismo”: teologicamente parlando esso sostiene di voler “adattare” la religione cattolica a tutte le conquiste dell’epoca moderna nel dominio della cultura e del progresso sociale. Tuttavia il modernismo, proprio per il fatto di prendere a strumento di ricerca scientifica nel campo del fenomeno religioso il metodo storico nato sotto il segno della critica razionalistica e dell’agnosticismo religioso, può portare anche fuori della tradizione cattolica, giungendo a posizioni critiche e speculative che negano il soprannaturale e la sua presenza nella storia. Per queste ragioni il modernismo venne condannato da Papa San Pio X nel 1907, riemergendo tuttavia durante la seconda metà di questo secolo, soprattutto nel periodo post-conciliare. La seconda causa della crisi è l’apertura alle dottrine luterane propugnata da Papa Bergoglio. La lettera mostra come Lutero abbia diffuso numerose concezioni erronee su matrimonio, divorzio, grazia, libero arbitrio e legge divina che di fatto corrispondono a quelle che il Papa ha promosso mediante parole, atti e omissioni. Lungi dal giudicare il grado di consapevolezza con il quale il Papa ha propagato le tesi sopra elencate i firmatari della lettera professano la loro lealtà alla Santa Chiesa Romana e insistono rispettosamente affinché egli le condanni come si conviene. Tale richiesta è oggi piú che giustificata dal gravissimo disorientamento pastorale provocato dall’interpretazione ideologica dei documenti del Concilio Vaticano II e anche del magistero post-conciliare secondo quella “ermeneutica della rottura” che fu denunciata a suo tempo da papa Benedetto XVI e che consiste nella chiara percezione che non si tuteli e proponga piú una dottrina della fede ma solo programmi di riforma della Chiesa cattolica al fine di omologarla alle altre religioni sulla base di una pseudo-etica mondialista patrocinata dalle ideologie politiche dominanti.
L’auspicio è che tale grave situazione venga chiarita definitivamente e in tempi brevi al fine di evitare per quanto è possibile dolorose divisioni e incomprensioni all’interno del popolo di Dio. In ogni caso alla prepotenza di chi, avendo un potere ecclesiastico di indottrinamento, ne abusa per snaturare i fini apostolici per i quali Cristo ha istituito la Chiesa, deve contrapporsi una resistenza attiva anche da parte di chi il potere non lo ha ma ha la coscienza del proprio dovere davanti a Dio. Ognuno, secondo la propria condizione, deve fare la sua parte nella Chiesa, spinto dal dovere assoluto di professare personalmente la verità rivelata e trasmetterla integra agli altri, sia nel dialogo diretto, sia con l’uso dei mass media, ri-orientando cosí un’opinione pubblica cattolica sempre piú disorientata. Tutto ciò va fatto, in ogni caso, nel rispetto delle singole persone che esercitano nella Chiesa una legittima autorità di magistero e di governo, sia tenendo conto dei limiti delle proprie conoscenze, sia soprattutto valutando il giusto rapporto tra i fini che ci si propone di raggiungere e i mezzi che a tal fine si adoperano.
Alla domanda che un mondo sempre piú ostile e arrogante pone su... “chi siamo noi per giudicare” occorre ribadire fermamente: siamo sentinelle, persone che amano le anime dei fratelli, chiamate ad occuparci della salvezza di tutti, custodi chiamati a proteggere la Chiesa, la famiglia e il mondo dal male, persone che hanno espressamente ricevuto da Cristo Signore il mandato per farlo.
Cosí la Chiesa di questo inizio di millennio si dirige verso acque tempestose, cosa che non solo non deve far perdere coraggio ma, al contrario, esige una testimonianza cristiana piú forte e decisa che mai. Il Signore è vivo e operante nella sua Chiesa, specie in questo tempo di prova, occorre pertanto combattere finché la tormenta non sia passata... et tempora bona veniant.
Papa Benedetto XVI a proposito del sole che è Cristo ha scritto:
«Ora si guarda a oriente, al sole che sorge. Non si tratta di un culto solare, ma è il cosmo che parla di Cristo. In riferimento a Lui viene ora interpretato l’inno solare del salmo 19 [18], dove si dice: “egli (il sole) è come uno sposo che esce dal suo talamo (...)”. Ciò viene ora inteso a partire da Cristo, che è la vera parola, il Logos eterno e, dunque, la vera luce della storia [...] Il fatto però che si veda Cristo simboleggiato nel sole che sorge rinvia anche a una cristologia escatologicamente determinata. Il sole simboleggia il Signore che tornerà, l’ultima alba della storia. Pregare rivolti ad oriente significa andare incontro a Cristo che viene. [...] Infine, questo volgersi a oriente significa anche che il cosmo e la storia della salvezza sono tra loro collegati. Il cosmo entra in questa preghiera, anch’esso attende la liberazione. Proprio questa dimensione cosmica è un elemento essenziale della liturgia cristiana. Essa non si compie mai solo nel mondo che l’uomo si è fatto da sé. Essa è sempre liturgia cosmica» (cfr. RATZINGER J., Introduzione allo spirito della liturgia).
14 febbraio 2018
Mercoledí delle ceneri.
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Un fenomeno inedito: manifesti non firmati contro il Papa a Roma (2017)
Dopo Benedetto XVI il dissenso diventa rigorosamente anonimo
Un altro fenomeno inedito: l'entusiastico saluto della Massoneria a Papa Francesco (2013)